E’ sotto gli occhi di tutti la trasformazione digitale dell’ecosistema business nei paesi sviluppati, così come è innegabile l’accelerazione che l’emergenza pandemica ha imposto. Tuttavia, non è né il primo salto tecnologico né operativo, al quale assistiamo ed è bene valutarne con lucidità vantaggi e limiti.

 

Innovazione e rivoluzione

Solo per citare alcuni dei precedenti enormi progressi, ricordo l’avvento del trasporto multimodale e dei container refrigerati, la rete internet, l’introduzione dei voli low cost, i telefoni cellulari e successivamente gli smartphone, le e-mail, i pagamenti elettronici. Per ogni singola, pur portentosa, innovazione è stato spesso usato (e talvolta abusato) il termine “rivoluzione”.

Si tratta evidentemente di fattori che hanno impattato enormemente sul commercio internazionale e hanno costretto i professionisti del settore ad una progressiva e significativa revisione delle competenze, delle strategie e dell’approccio complessivo alla materia, fermo restando che, come è sempre stato, sussiste la necessità di disporre di ampie e articolate abilità trasversali e “tradizionali” di ordine culturale, linguistico, tecnico, relazionale e negoziale, che nessuna attività digitale è in grado di surrogare.

 

Futuro digitale

In relazione a quanto sopra, sono in molti a profetizzare che, poco alla volta, gli eventi virtuali e in particolare le fiere on-line, sostituiranno completamente quelli in presenza con palesi benefici nel risparmio di costi, tempi, energie e semplificazione dei processi, ad esempio procedure documentali, doganali, fiscali, ecc..

Tutto fondato e plausibile, almeno teoricamente. Per altro, essendo io uno dei 100 senior digital export manager, selezionati e formati da ICE su tutto il territorio nazionale, nel 2020, dovrei sostenere questa teoria a spada tratta anche per autopromozione.

In realtà, se da un lato ritengo convintamente che vi saranno svariate nuove abitudini che, fortunatamente, si consolideranno fino a diventare irreversibili, dall’altro, continuo a pensare che esistano sia fattori squisitamente tattici che antropologici, insostituibili e ineludibili, dei quali sia bene tenere conto nei nostri piani strategici futuri.

Ovvero, nella pratica, da ora in avanti, verosimilmente, videochiameremo i nostri clienti molto più spesso di quanto gli telefoneremo, parteciperemo sempre più ad aventi formativi virtuali e aderiremo a piattaforme di business matching; inoltre entreranno a fare parte della nostra quotidianità aziendale, strategie di inbound marketing, lead generation, marketing automation, che estendono e amplificano le opportunità, ma scommetterei anche che, quando saranno ripristinate adeguate garanzie sanitarie, le fiere classiche, torneranno floride e frequentate quanto e più di prima.

 

Le fiere

La fiera è la più antica forma di marketing conosciuta ma resta ancora oggi uno dei mezzi più potenti di cui un’azienda possa disporre. E sottolineo ancora oggi, a ragion veduta, e con il conforto dei numeri, dei quali si può trarre un’impressione probante dalla tabella qui di seguito, prodotta del CEIR, la più importante fondazione al mondo per l’analisi delle fiere B2B.

Le fiere complessivamente generano un PIL indotto di 197,5 miliardi di dollari, se ne contano circa 32.000 ufficiali, nel mondo, e da quando esistono moderni strumenti di censimento, il numero è costantemente aumentato anno dopo anno. Ad oggi si contano 1.217 sedi con un minimo di 5.000 mq di spazio espositivo e moltissime altre più ridotte. L’Europa, per altro, è in cima a tutte le classifiche di settore, comprese quelle per tasso di crescita.

Abbiamo dunque a che fare con un mondo di cavernicoli che negano l’avanzare della storia?

Non esattamente, se da statistiche ufficiali risulta che circa il 50% del fatturato internazionale delle PMI italiane si genera in correlazione alla partecipazione a fiere, e oltre il 75% del complesso di visitatori e espositori, afferma di avere aumentato il proprio volume d’affari, a seguito della frequentazione di una fiera.

 

La forza della presenza

Le ragioni sono forse meno immediate e note di quanto si possa immaginare, lo scopo principe dell’esposizione ad una fiera è infatti comunicare. E’ la comunicazione la chiave, non la vendita immediata, ed è evidentemente d’uopo che cerchiamo di farlo nel modo più funzionale e proficuo possibile. Un’adeguata comunicazione, principalmente allo stand, ma anche in senso più estensivo e complesso, durante la manifestazione, ci porterà ad avviare o consolidare la presenza nei mercati esteri e a migliorare l’immagine dell’azienda innescando un effetto domino, spesso di lunga durata.

Si possono infatti elencare numerosi risvolti commerciali, promozionali e persino psicografici, che una fiera in presenza permette di attivare mentre, per il momento, la versione virtuale non è grado di offrire o non certamente con lo stesso impatto.

Sopra ogni cosa, la crescita della rete di contatti personali, che porta sovente all’identificazione di nuovi clienti, fornitori, distributori, ma anche la raccolta dei informazioni sul settore e sulla filiera, con un immediato confronto di competitività e capacità di innovazione, nonché la presa di coscienza di orientamenti e tendenze dei clienti in quel paese. In buona sostanza, una sintetica ma efficacissima ricerca di mercato con annesso benchmark.

Si aggiungono poi, l’occasione di ottenere riscontri significativi e rapidi sui prodotti e servizi proposti, la raccolta di spunti per lo sviluppo di nuovi prodotti, servizi ed idee, l’eventuale emersione di alleanze strategiche e sinergie, e i riverberi sul mercato domestico di tipo reputazionale oltreché commerciale, insiti nella partecipazione ad una fiera internazionale.

In ultimo sottolineo quattro aspetti tipicamente “umani”, raramente richiamati, ma oggettivamente fondamentali per comprendere il valore aggiunto di una fiera in presenza, e che chiamano in causa una certa esperienza e un evoluto grado di consapevolezza dei contesti interpersonali e identitari.

Il primo, è il fattore prettamente relazionale che, pur declinato nelle significative dissonanze culturali fra le persone provenienti da diverse aree del mondo, in presenza, se ben interpretato, rimane decisivo, e continua a fare la differenza fra il successo e l’insuccesso di un affare.

Il secondo è legato al fatto che il visitatore che per raggiungere il luogo della fiera, investa un certo tempo e sopporti spese e fatica, più o meno consapevolmente, risulti più motivato a concretizzare e dare quindi un senso ai propri sforzi, rispetto a colui che si colleghi facilmente da un terminale nel proprio ufficio.

Il terzo non va sottostimato, ed è un ingrediente di attrattiva esotica o “paraturistica”, che deposita naturalmente nell’atto di viaggiare verso altri paesi,, spezzare la routine, e concedersi qualche piccolo diversivo di interesse personale, compatibile con la missione professionale.  E’ un ingrediente sempre esistito e che potrebbe conoscere un importante rimbalzo a seguito delle lunghe restrizioni forzate, e che dispone le persone in uno stato particolarmente favorevole ad esplorare nuove opportunità.

L’ultimo si riferisce ad una mia abitudine, che consiglierei di prendere in considerazione, ovvero di prevedere un soggiorno di un paio di giorni, oltre il termine della manifestazione che, solitamente, riesco ad utilizzare per fare visita ai potenziali clienti incontrati allo stand, la cui sede sia a distanza ragionevole. E’ un’abitudine acquisita negli anni, che mi ha portato sovente notevoli risultati, potendo “battere il ferro finché è caldo” e dandomi l’occasione di verificare le reali caratteristiche dell’azienda interessata, e magari di riconoscere un potenziale inespresso durante la chiacchierata in fiera.

Saverio Pittureri
Easy Trade Srl

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