Considerazioni preliminari

La necessità di vendere e concretizzare gli investimenti effettuati e, non di rado, le lunghe attese per vedere qualche risultato, conducono spesso le piccole imprese a scelte precipitose di acquiescenza rispetto alle poche proposte pervenute dai Paesi bersaglio.

Nel legittimo timore di perdere i potenziali interessati, si pongono poche domande e condizioni all’interlocutore, e talora non si stabilisce nemmeno un rapporto contrattuale formale.

E’ assolutamente vero poi, che esista quasi sempre uno scarto fra l’ideale ed il reale, e che siano molto comuni i rapporti commerciali ibridi o non ortodossi, fondati su accordi peculiari e difficilmente riconducibili ad una precisa fattispecie giuridica.

Queste “invenzioni” possono funzionare bene anche a lungo (ma anche farci perdere anni senza riscontri), se si sviluppano sull’esperienza di persone capaci e con conoscenza del mercato, tuttavia rimane preferibile conoscere, e quando possibile orientarsi, sulle opzioni formalmente riconosciute e più confacenti ad una certa realtà aziendale e settore merceologico.

Forme di promozione e distribuzione

Tecnicamente esiste un numero piuttosto ampio di rapporti commerciali inquadrabili in una cornice legislativa accreditata, che spaziano dalla grande distribuzione, alla vendita al dettaglio con punti vendita propri o altrui, alla vendita on-line, alle trading company, la compartecipazione con aziende locali, i consorzi e le ATI, le agenzie governative, i franchising, i “piggy-back” e svariati altri.

Non esiste invece una soluzione migliore tout court, piuttosto ciascuna forma presenta evidentemente vantaggi e punti deboli sia in termini assoluti che in rapporto ad un determinato contesto, ma anche un diverso grado di impegno finanziario, di risorse umane, una diversa necessità di know-how organizzativo e diversi esiti attesi in termini di volumi e di tempi.

Come è intuibile poi, non tutte le tipologie di rapporti menzionate, si prestano indistintamente ad ogni prodotto ed ogni mercato, ed è compito dell’azienda esportatrice identificare il canale e/o l’intermediario più adatto alla propria proposta di prodotto e servizio, e compatibile con la propria politica commerciale.

Può avvenire, e non è una decisione peregrina, che un’impresa scelga di “assaggiare” un mercato, attraverso un approccio poco impegnativo in termini finanziari e, solo successivamente, alla luce delle risultanze emerse, passi ad una forma di penetrazione più coinvolgente, ovvero che opti di attuare contemporaneamente più di una strategia alternativa e/o complementare, diversificando investimenti e rischi.

Agente o distributore?

Premesso quanto sopra, in questo scritto ci concentriamo solo sulle due figure centrali, sia nei desiderata che nella concreta operatività quotidiana delle piccole imprese: il distributore e l’agente internazionali. Indipendentemente da quale delle due strade si scelga di percorrere, vorrei rimarcare alcune distinzioni e alcune accortezze, che si rivelano universalmente e trasversalmente nodali.

La precipua e preminente differenza fra le due figure riguarda il legame con l’azienda italiana. Il distributore o concessionario tratta in nome e per conto proprio, acquistando e rivendendo i prodotti del cedente italiano, a propri clienti, per i quali risulta normalmente il solo interlocutore, quindi il solo ad averne la gestione.

L’agente invece, pur conservando una propria piena autonomia, agisce per conto del preponente e quando sia dotato di potere di rappresentanza, anche in nome dello stesso, e funge meramente da intermediario nei confronti degli acquirenti, che rimangono tecnicamente clienti dell’azienda mandante italiana.

Il quadro giuridico

Essendo le due figure radicalmente diverse (per quanto non manchino casi di operatori promiscui), e ai distinguo generali, si sommano quelli declinati e moltiplicati per i diversi mercati mondiali, il risultato è che il tema del confronto risulti di una vastità disarmante. Non possiamo quindi che fornire alcuni consigli e ammonimenti, fatalmente generici e incompleti, sperando tuttavia, che in qualche modo si dimostrino funzionali, ai fini di un primo orientamento.

Caldeggiando in ogni caso, il ricorso ad un professionista preparato, che possa supportare adeguatamente l’azienda culturalmente, commercialmente e giuridicamente, in un determinato contesto e con una determinata controparte.

Il primo punto raccomandabile riguarda il privilegiare sempre i rapporti regolati da contratti in forma scritta, ovviamente coerenti con l’impianto giuridico del mercato di riferimento, e caratterizzati da obbligazioni precise per le parti, obiettivi ben definiti e previsioni nel caso di mancato raggiungimento degli stessi.

Alcuni riferimenti importanti, in linea generale, per la disciplina dei contratti, sia di distribuzione che di agenzia, si possono trarre da varie convenzioni internazionali, norme comunitarie, norme transnazionali, usi e prassi; fra questi, certamente la Convenzione di Vienna del 1980, quella di Roma del 1980 e quella di Bruxelles del 1968, nonché i principi UNIDROIT e dagli INCOTERMS (applicabili ai singoli acquisti e non all’impianto contrattuale d’insieme) contengono i collegamenti più significativi.

Sono però soprattutto da considerare gli specifici diritti nazionali, che possono riservare sorprese non gradite, anche quando contrattualmente dovessimo concordare foro e legge italiana, sia per l’eventuale non riconoscimento delle sentenze, che per la prevalenza del diritto locale su quello scelto dalle parti, ad esempio nei casi ove viga la Sharia, ma non solo.

Consideriamo inoltre che, poiché ci poniamo nella posizione di azienda venditrice, tipicamente la “prestazione caratteristica” che contraddistingue il rapporto commerciale, si svolga nel Paese della controparte acquirente, dunque in linea di massima, in mancanza di pattuizione scritta, questo aspetto fa sì che si applichi la giurisprudenza di detto Paese.

In questa brevissima disamina, infine, non dimentichiamo che in molti Paesi (fra di essi i grandi Paesi europei) l’agente ha diritto ad un’indennità di fine rapporto e, talora per “fatti concludenti”, quando gli vengano concessi un compenso fisso e/o alcuni benefit possa rivendicare di fronte ad un giudice, un rapporto occulto di dipendenza.

Le decisioni più opportune

Alla luce di quanto sopra rappresentato, con tutti i limiti menzionati, e in funzione delle strategie configurate, andiamo a sintetizzare quali possano essere i più caratteristici e significativi pro e contro delle due figure, nell’ottica del fabbricante italiano.

Si è già fatto cenno al controllo sui clienti, che tipicamente il distributore esercita, il quale, in tal modo, ha di fatto in mano il mercato e, in caso di risoluzione del rapporto, può riuscire a veicolare gran parte dei suddetti clienti verso un nuovo prodotto . Detto controllo tuttavia implica anche il farsi carico di servizi post-vendita, assistenza tecnica, garanzia, procedure e spese di incasso e rischi di insolvenza.

Alcune delle incombenze sopraelencate, possono essere parzialmente ribaltate sul produttore ma restano rischi imprenditoriali in capo al concessionario, di cui evidentemente si sgrava la controparte italiana, il principale dei quali è la giacenza della merce sulla quale il distributore investe.

Il distributore, salvo eccezioni, si occupa anche di tutte le pratiche di sdoganamento, ottenimento di eventuali concessioni e licenze, attività promozionali precipue (per prevenire l’invenduto di cui sopra) e raccolta di informazioni sul mercato e sulla concorrenza.

Il contratto frequentemente prevede obbligazioni articolate e vicendevoli fra le parti, tipicamente ve ne sono di acquisto, di esclusiva, di formazione, di partecipazione ad attività di marketing, ecc… che possono essere modulate in funzione del tipo di mercato in questione e delle esigenze specifiche.

Quando, per entrambe le parti, sussistano la buona fede e l’aspettativa verso il successo del prodotto, diventa interesse comune instaurare una collaborazione sinergica e un programma strategico condiviso, nonché applicare una certa flessibilità soprattutto nelle prime fasi di apertura del mercato, quando lo sforzo e l’investimento, normalmente prevalgono sui guadagni.

Nel rapporto con l’agente invece, sia le possibilità di collaborazione che i vincoli contrattuali sono normalmente più ridotti. Il rischio di inadempimento del cliente finale si riverbera direttamente sul preponente (salvo alcune singolarità locali), tuttavia si possono prevedere anche clausole per coinvolgere l’agente nell’azione di recupero del credito. L’impresa mandante è abitualmente responsabile sia delle operazioni inerenti il recapito della merce, che della garanzia e del servizio post vendita.

La fattispecie dell’agente però, può presentare gradi molto diversi di organizzazione e complessità, soprattutto per quanto riguarda i rapporti di agenzia internazionali, per cui, oltre all’ovvio raggiungimento di obiettivi di vendita, talora possono essere previsti anche impegni più ampi, fra i quali la raccolta di informazioni sul mercato, l’assistenza ai clienti, la pubblicizzazione dei prodotti, il deposito e la consegna ai clienti per conto del preponente, l’aggiornamento sulle normative e la già citata assistenza sui crediti.

Nei suddetti casi, si tratta solitamente di strutture abbastanza grandi e composite, che si servono di più persone o anche di subagenti, e che, nella pratica operativa, si collocano un po’ a metà strada fra l’agente e il distributore. In tali circostanze però, è bene definire formalmente e con estrema chiarezza i compiti e i limiti dell’intermediario, a maggior ragione, quando detta agenzia rappresenti anche prodotti e società diverse.

All’altro estremo, esistono soggetti per i quali si adatta maggiormente un rapporto episodico o occasionale, che possono essere segnalatori, broker o procacciatori, i quali implicano costi molto limitati per l’impresa e minori vincoli (quali ad esempio il trattamento di fine rapporto). Queste figure possono rivelarsi particolarmente utili nell’esplorare un determinato mercato che conosciamo poco, nel quale successivamente si può scegliere di immettere un maggiore impegno o meno, con maggiore cognizione di causa.

conclusioni

Come ricordato nelle premesse, è frequente il caso in cui si debba guardare oltre la formalità “scolastica” sulla classificazione dell’intermediario incaricato, e valutare piuttosto l’efficacia dell’azione.

Andrebbero tuttavia investigati alcuni capisaldi sostanziali, quali la consapevolezza delle caratteristiche di mercato, delle preferenze e degli umori della clientela, la determinazione nella diffusione dei prodotti ed insieme del nome e del marchio, con obiettivi di fidelizzazione diretta o indiretta, la capacità di prevenzione e la risoluzione di problemi commerciali, tecnici e amministrativi. Tali requisiti dovrebbero essere la nostra bussola, nella scelta di coloro che si mostrino più in sintonia coi nostri desiderata e successivamente nella costruzione di accordi coerenti.

L’altro consiglio fondamentale è quello di non abbandonarsi all’inerzia e attendere che le cose succedano ma, viceversa, con qualsiasi interlocutore e in qualsiasi mercato si agisca, essere sempre proattivi e partecipi nelle attività impostate, insistere fino a rischiare di sfiorare l’invadenza, per condividere le informazioni e le strategie con l’intermediario, e naturalmente confrontarsi sui risultati che via via maturano.

E’ il solo modo per ottenere diversi effetti virtuosi contemporanei: aumentare il proprio grado di consapevolezza del mercato, fare sentire all’intermediario la nostra partecipazione e motivazione, e magari la nostra fiducia, ed eventualmente, rendersi conto precocemente se questi sia o meno il partner più adatto per noi.

Saverio Pittureri
Easy Trade

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