Alcune premesse orientative
Quando si parla di MENA, ovvero l’acronimo che identifica l’insieme dei Paesi del Nord Africa e dell’area Mediorientale, per altro non da tutti identificato con gli stessi confini e membri, da sempre i malintesi, i pregiudizi, o ben che vada il folclore, prevalgono largamente sui fatti oggettivi.
Il risultato di una simile percezione, che si assomma ad una oggettivamente problematica decrittazione interculturale vicendevole, ha storicamente prodotto una distorsione della realtà, e una dissonanza di risposte, nell’interazione fra gli occidentali e gli abitanti della regione, fino alla frequente deriva di un rifiuto reciproco, aprioristico.
Negli ultimi venti anni, per altro, la distanza culturale e ideologica, fra mondo occidentale e mondo arabo si è notoriamente inasprita, e la frattura innescata da una cascata di celebri eventi traumatici e da scelte politiche discutibili, ha innalzato un muro, senza precedenti, di sospetto e discredito da ambo i lati, tanto che capita frequentemente che non sia semplice generare un rapporto personale confidente.
Evidentemente, detti sbarramenti relazionali producono importanti ripercussioni sui risultati commerciali delle nostre imprese, in quella porzione di mondo. Un buon rapporto di business, infatti, difficilmente decolla in un clima antropologico così compromesso, o quantomeno occorrono molto più tempo e cautela, rispetto al passato, perché prenda piede.
Andremo ad sviscerare, in due (o forse tre) articoli concatenati, questi temi tratteggiati, insieme a vari altri, la cui cognizione, di fatto, risulta necessaria, tanto quanto le informazioni economiche e finanziarie, per affrontare i mercati MENA con qualche speranza di successo.
E’ quasi pleonastico ricordare che, per quanto una regione tanto vasta presenti dei tratti omogenei (e pertanto venga presa in considerazione come tale), le differenze fra i diversi popoli e Paesi, siano spesso molto significative e bersaglio di generalizzazioni grossolane, propedeutiche ad ulteriori errori fallimentari.
Nell’immagine rappresentata qui di seguito, i Paesi identificati con un colore più scuro sono universalmente percepiti come appartenenti al MENA, mentre l’inclusione di quelli in colore più chiaro, per varie ragioni, non è unanimemente accettata.
Numeri, popolazioni e (false) credenze
Cominciamo a dirimere i primi fraintendimenti macroscopici, forse ovvi per molti ma non per tutti, e via via andremo a raffinare, per quanto possibile, l’analisi.
Gli abitanti del MENA, non sono esclusivamente arabi, benché certamente lo siano in numero preponderante, non lo sono naturalmente gli israeliani, ma non lo sono nemmeno gli iraniani, tantomeno i turchi. Cionondimeno la cultura islamica, di matrice araba, impatta grandemente anche nei Paesi non arabi dell’area.
I musulmani, d’altro canto, non coincidono con gli arabi. I primi sono, la grande comunità Ummah, in costante crescita, che conta quasi 2 miliardi di fedeli nel mondo, un quarto della popolazione del pianeta, mentre gli arabi, secondo i numeri più recenti diffusi dalla Lega Araba, sono “solo” intorno a 450 milioni, e sono comunque una delle comunità umane più vitali e in più rapida espansione.
Il colore della pelle può essere di tutte le gradazioni e non dipende solo dal Paese di provenienza. Per quanto riguarda le lingue, l’arabo classico è relativamente poco diffuso, e praticato tipicamente dalle persone più erudite, mentre le variazioni locali e i dialetti, sono così numerosi e diversi, da rendere possibile che un nordafricano e un mediorientale, fatichino a capirsi. In Iran invece si parla persiano non arabo, in Turchia naturalmente il turco, e in Israele l’ebraico.
L’arabo però rimane la lingua eletta dell’Islam, la sola che possa esprimere la sacralità del Corano, quindi ogni buon musulmano si sforzerà di impararla, per poter recitare le preghiere nel modo più indicato. Questo rende l’arabo una lingua molto rilevante, per diffusione e numero di persone coinvolte nel mondo. Considerazione che ha una ricaduta commerciale e di comunicazione aziendale non trascurabile.
Somiglianze e differenze
Sono anche significative le differenze di costumi nazionali, la gerarchia dei valori e delle aspirazioni, e l’approccio con il quale le persone affrontano il mondo contemporaneo, di conseguenza pur avendo un background parzialmente condiviso, capita che gli abitanti del MENA, provenienti da contesti nazionali distinti, non diversamente da qualsiasi altra area del mondo, apparentemente omogenea, non sempre si stimino reciprocamente.
Vi sono paesi che applicano la legge coranica e altri aperti ai sistemi internazionali. Allo stesso modo, vi sono governi che incoraggiano il turismo occidentale e altri che lo inibiscono senza compromessi.
Negli ultimi 20 o 30 anni, abbiamo visto monarchie assolute, dittature spietate, regimi patriarcali, repubbliche socialiste, e persino caute riforme democratiche. C’è chi tollera vini e liquori e chi frusta i trasgressori sulla pubblica piazza, c’è chi fa nascondere anche gli occhi alle donne e chi consente l’uso del bikini sulle spiagge.
I contrasti più drammatici però rimangono quelli economici. Dieci milioni di persone sono miracolate dal petrolio e altre cento languono nelle aree rurali o nelle periferie urbane a sopravvivere. La crescita demografica è imponente quasi ovunque, per esempio, in Egitto nasce un bambino ogni 20 secondi. Il Qatar è uno dei Paesi più ricchi al mondo, e il Sudan uno dei più poveri.
I’Islam, il fattore aggregante
Che cosa unisce allora i Paesi del MENA? Forse l’elemento più caratterizzante è proprio l’Islam (eccetto parzialmente in Israele, ovviamente), il credo largamente prevalente e disciplinatamente praticato in ogni Paese. In nome di Allah, i musulmani si ritrovano fratelli, anche se non tutti lo invocano allo stesso modo. in molti Paesi, tutto si ferma 5 volte al giorno, all’ora della preghiera, e tutte le sfere della vita quotidiana, in un modo o nell’altro, sono permeate dal sentimento religioso.
Islam in arabo significa: sottomissione (alla volontà di Dio), e questo concetto, pur con declinazioni distinte, investe in modo determinante le abitudini quotidiane, ed è il filtro attraverso il quale affrontano l’esistenza, quasi tutte le comunità nazionali della regione. Non a caso, l’espressione “Inshallah”, (se Dio vuole) è una delle più frequenti e note, nei dialoghi fra musulmani. Le altre religioni sono variamente ammesse o represse, a seconda del Paese preso in esame, ma comunque residuali come numero di praticanti.
Tahar Ben Jalloun, lo scrittore e intellettuale marocchino, ebbe a dire che “il sacro Corano è scritto in un arabo di tale splendore, di una così profonda ricchezza e poesia che anche se ci si attiene scrupolosamente alla lettera del testo non si riesce a renderne il lirismo, le metafore; tutt’al più si può parlare di interpretazioni. Maometto era l’inviato di Dio, ma era un uomo, non faceva miracoli. Il vero miracolo è il Corano”.
Tutto ciò, oltre a rendere molto complessa qualsiasi traduzione in altre lingue, accende il confronto, sul tafsīr ovvero l’interpretazione autentica, data dai dotti musulmani, agli ardui passaggi del Corano, con finalità di esegesi. Si tratta di un tema profondo, estremamente sentito, che continua a suscitare un dibattito ardente, e detta disputa si spinge molto oltre il mondo musulmano.
Qu’ran in arabo vuol dire testualmente recitazione, e difatti si legge ritualmente ad alta voce, salmodiando. Il Libro Sacro è diviso in 114 sure o capitoli, in ordine di lunghezza, in tutto 6200 versetti, 77.934 parole. Vi sono gare internazionali di interpretazione che si tengono alla Mecca annualmente, e molti dei partecipanti conoscono a memoria il testo integrale.
Un piccolo riassunto storico (senza pretese…)
Per capire il MENA di oggi, è utile, se non indispensabile, avere un’idea del percorso tortuoso che ha prodotto la realtà con la quale ci rapportiamo.
Le prime tracce di civiltà della regione, risalgono al II° millennio a.C., con il favolistico regno di Saba e altre culture discendenti. Per molti secoli, la struttura sociale è rimasta pressoché immutata, da un lato, nella porzione meridionale della penisola arabica, si costituirono nuclei stanziali che disponevano di conoscenze sorprendentemente avanzate tecniche e idrauliche, e si dedicavano ai commerci di spezie e resine, dall’altro, a settentrione, si muovevano tribù nomadi, prevalentemente beduini (ovvero letteralmente “uomini del deserto”), che erano allevatori di ovini e dromedari, e percorrevano le steppe seguendo le esigenze delle greggi, ma erano anche piuttosto bellicosi, non disdegnando di assaltare altri gruppi nomadi o carovane di mercanti per depredarli.
L’antica struttura tribale, ulteriormente suddivisa in clan e quindi famiglie, in qualche modo, riverbera tutt’ora nei rapporti sociali e professionali di buona parte del mondo arabo, ove vi è una cognizione della famiglia e dei legami di sangue, molto allargata rispetto ai costumi occidentali. Si pratica abitualmente una forma di mutua solidarietà e supporto personali fra i membri, ma vengono favoriti anche i contatti d’affari e la spartizione del potere politico in ambito intratribale, fino ai massimi livelli.
Nel 610, il profeta Maometto (traslitterato dall’arabo come Muhammad ma anche con varianti lievemente diverse), dopo essersi ritirato sul monte Hirà, durante la notte del destino, ebbe diverse visioni suggerite dall’Angelo Gabriele, e cominciò così a professare quella che considerava la religione originaria dell’uomo: l’Islam. Il 622, segna l’inizio formale dell’era islamica, con il tortuoso viaggio del Profeta, di quasi 500km, fra deserti inospitali e aspre montagne, da Mecca a Medina, noto come l’Egira, “la migrazione”. Per il calendario islamico perciò, il ventesimo secolo si inaugurerà solo fra seicento anni.
Non fu immediata, né sempre pacifica, l’accoglienza dell’Islam, presso tribù da secoli politeiste e non tutte originariamente arabofone, e dovette passare attraverso una campagna determinata di battaglie e conversioni. All’inizio del VII secolo, infine, il Profeta riuscì nell’intento di fare degli arabi una nazione, fondando uno stato teocratico nel quale ogni arabo musulmano si potessero riconoscere.
Sviluppo dell’Islam e espansione territoriale
Alla morte di Maometto, gli arabi vararono l’istituto califfale e, in un primo tempo, le energie si concentrarono nel consolidamento della struttura politica e sociale del nuovo Stato dei fedeli, successivamente si inaugurò l’era delle conquiste espansionistiche, che fu fortunata e poderosa.
La diffusione del dominio arabo-musulmano tuttavia, non fu solo dovuta a successi militari, diverse popolazioni precedentemente assoggettate ai bizantini o ai persiani, preferirono sottomettersi agli arabi piuttosto che continuare a pagare i gravosi tributi imposti dai dominatori antecedenti.
Nelle zone conquistate, il potere politico era riservato ai nuovi occupanti, ed era normalmente praticata la schiavitù, tuttavia, secondo la legge coranica, i convertiti ottenevano pieni diritti civili, ed erano obbligati unicamente al versamento di modeste tasse personali, mentre coloro che preferivano non convertirsi, erano soggetti ad una tassazione superiore, sebbene non esorbitante, ed è rilevante osservare che gli era concesso mantenere libertà di culto e una qualche autonomia nei diritti civili.
Intorno al 661, i musulmani cominciarono a differenziarsi. Dapprima con il kharigiti, con l’alidismo (poi evoluto nello sciismo), con il mutaziliti e da ultimo il sunnismo. Il sunnismo, oggi è la corrente largamente maggioritaria, seguita numericamente dallo sciismo, e infine dall’Ibadismo. A loro volta, le correnti citate si distinguono in numerose scuole, componendo, nell’insieme, una galassia molto articolata e realmente difficile da comprendere per un europeo. Fra queste distinte concezioni dell’Islam, nel corso della storia, la convivenza non è sempre stata facile, ed è tutt’ora è motivo di divergenze profonde.
Nello stesso anno 611, a seguito di sanguinose battaglie intestine, il califfato divenne un’istituzione ereditaria, e la capitale si spostò prima a Damasco poi a Baghdad, per volontà di due diverse dinastie che si susseguirono alla guida della Nazione Araba.
Le campagne di conquista
Accanto ai frequenti riassetti di forze interne, proseguivano intanto le conquiste militari di ampliamento territoriale, e dopo aver sconfitto l’impero bizantino e quello persiano, gli arabi allargarono la propria influenza in Nord Africa fino al Marocco, e a nord est fino all’Armenia, fra la fine del settimo e l’inizio dell’ottavo secolo.
Nel 711 i berberi entrarono in Europa e si impadronirono della Spagna, scalzando i Visigoti, e venendo chiamati “mori” o “saraceni” dagli europei. Sono ancora presenti meraviglie architettoniche, un ampio retaggio culturale e, non ultimo, anche un certo influsso genetico, in Spagna in particolare, e più in generale nelle aree mediterranee raggiunte dall’occupazione saracena.
E’ del 717 il celebre assedio di Costantinopoli, nel corso del quale però, la flotta araba soccombette, dovendo temporaneamente rinunciare alle mire verso la penisola balcanica. Dalla Spagna, si insediarono in Sicilia, nei primi anni del nono secolo, dove rimasero oltre 200 anni, con frequenti incursioni e scorrerie verso le coste della Sardegna, Corsica, Provenza, e di buona parte dell’Italia meridionale e insulare, dando vita talvolta ad insediamenti stabili, che fusero le proprie tradizioni e conoscenze con quelle preesistenti greco-latine, producendo in quei territori indubbi progressi, in molti campi
La resa dei conti in Europa
I mori tentarono la sorte anche attraverso la terra ferma, e con il proposito di sottomettere altri Paesi europei, oltre alla Spagna, valicarono i Pirenei, conquistando ampi distretti della Francia meridionale, ma l’esercito di Ab dar-Rahman, venne definitivamente fermato dai franchi di Carlo Martello, nella celeberrima battaglia di Poitiers, a 300 km da Parigi, ovvero nel pieno cuore dell’Europa occidentale. Secondo molti storici, un esito diverso di quello scontro, avrebbe condizionato significativamente la futura storia europea.
Non a caso, il re merovingio arruolò anche contingenti di sassoni, gallo-latini e altri popoli germanici, con lo spauracchio di una sorta di minaccia “continentale” alla tradizione cristiana. Per altro, si diffuse proprio nel Medio Evo, dopo le suddette campagne di conquista, la prima forma di narrazione distorta e fuorviante sull’indole degli arabi. Quando i soldati europei, si trovarono di fronte nemici barbuti, esaltati, che non avevano paura della morte, e si lanciavano senza armatura negli scontri ravvicinati, non pensarono ad una radicale differenza culturale (anche in ambito bellico), ma ad una sorta di possessione innaturale e quasi demoniaca.
In sostanza, per secoli, la Nazione Araba riuscì ad ampliarsi, resistette alle Crociate e all’invasione dei mongoli, conobbe lo splendore di Costantinopoli, di Isfahan e del Gran Mogul, e nell’epoca d’oro islamica, l’impero era più vasto di quello di Alessandro Magno, estendendosi dall’Atlantico al sub-continente indiano.
La decadenza dell’impero Islamico e la parabola Ottomana
Nei secoli successivi però, seguendo un destino comune ad altri imperi nella storia, l’ampiezza smisurata fece progressivamente collassare il sistema, con un’amministrazione sempre meno efficiente, rivendicazioni nazionali in molte province, un contrasto crescente fra il potere centrale e le periferie sfruttate, e forze armate pletoriche e relativamente coese. Tutto ciò favorì la disgregazione del potentato arabo e l’ascesa dell’impero ottomano, il quale, in un tempo relativamente breve, conquistò buona parte dei territori del califfato, e durante il sedicesimo secolo, ridisegnò totalmente la mappa del potere in Medio Oriente.
Quindi, salvo alcune porzioni (i territori degli attuali Iran e Marocco), che per vari motivi riuscirono a conservare una propria indipendenza, gran parte degli arabi divennero di fatto sudditi ottomani, e in quella condizione restarono fino alla prima guerra mondiale, quando l’impero ottomano venne radicalmente smembrato, sotto i colpi degli alleati, dopo essere arrivato. all’acme dello splendore, fra il XVI e XVII secolo, a occupare dall’Algeria all’Azerbaijan, controllando gran parte delle regioni balcaniche a nord, e avere assediato Vienna, senza però riuscire a prenderla.
Con la caduta dell’impero ottomano, il mondo arabo precipitò in una crisi senza precedenti. Le potenze vincitrici si divisero le spoglie e, quasi tutti i Paesi arabi, dal Marocco all’Iraq, divennero colonie, protettorati o zone di influenza occidentali. Il colonialismo formale o economico si impose spesso con brutalità, e le popolazioni locali vennero soggiogate e depredate, talora per decenni.
Colonialismo ed età moderna
Il processo di liberazione per l’ottenimento dell’indipendenza, occupò un arco temporale importante, fra gli anni ’20 e gli anni ’60, del novecento, quando la Francia, per ultima, lasciò i territori nordafricani. Non sarebbe appropriato generalizzare, in quanto le forme di colonialismo inflitte, furono abbastanza diverse, le une dalla altre, qualche volta lasciando un’eredità di infrastrutture, sistemi pubblici e servizi, e qualche altra meramente spogliando le risorse locali.
Anche il post colonialismo, è stato mal gestito, e di frequente ha visto dilatarsi gli squilibri, le diseguaglianze sociali e l’arretratezza economica; un insieme di condizioni che ha portato, come effetto collaterale, un esodo di popolazioni rurali verso la aree urbane, e una polveriera di tensioni interne, generate dall’aspirazione, spesso frustrata, ad una vita migliore.
In buona sostanza, la storia del novecento nella regione, è complessa e controversa, sfortunatamente costellata di molte prevaricazioni ed errori da parte di tutti gli attori in campo, e ha gettato le basi per il panorama accidentato dei rapporti attuali. La costituzione dello stato di Israele, infine, nel 1948, che non ha visto il contemporaneo riconoscimento internazionale di uno stato palestinese (riconoscimento tutt’ora limitato), ha ulteriormente esacerbato i rapporti regionali e internazionali, suscitando dissidi che rimangono all’ordine del giorno nelle cronache dell’area.
La liberazione dal giogo straniero, e il ripudio di tutti i modelli importati, i codici, e i comportamenti occidentali, interpretati come portatori di dissolutezza e minaccia per l’identità culturale dei popoli arabi, sono diventati perciò obiettivi essenziali del rinascimento islamico degli ultimi decenni. Sono stati i fallimenti politici, sia delle potenze internazionali che dei governi locali, a portare alla ribalta l’integralismo. In qualche modo, è stata una risposta populista, che chiunque potesse capire, ad un malcontento stratificato, alla povertà, alla privazione di democrazia, la corruzione, alle ingiustizie, ma soprattutto alla mancanza di prospettive realistiche e credibili.
L’epoca contemporanea e il quadro socio-economico attuale
E’ evidente che la stabilità politica di una regione tanto strategica, influenzi i destini e gli equilibri politici ed economici del mondo. Non a caso, per ottenerla, quasi tutti gli scranni dei capi di governo sono stati, a lungo, più o meno apertamente difesi dai servizi segreti occidentali e, non a caso, la guerra in Iraq del 2003, e le crisi siriana e libica, hanno impattato in modo fragoroso sugli equilibri economici planetari, anche, ma non solo, per le ripercussioni sul mercato globale dell’energia.
Naturalmente non tutti, nel corso del tempo, hanno lavorato “contro” la pace e l’interesse dei popoli del MENA, ma purtroppo, a dispetto dei molti volenterosi tentativi di mediazione, conciliazione e dialogo, il destino della regione rimane tutt’ora precario e mutevole.
L’esplosione violenta del fondamentalismo islamico, seguita all’attentato dell’11 settembre 2001, ha rafforzato la polarizzazione e la diffidenza reciproca, fra occidente e mondo arabo (uno dei veri obiettivi del terrorismo, purtroppo centrato), portando non solo una parte di popolo, ma anche alcuni noti pensatori arabi a giudicare la globalizzazione come un demone imperialista da respingere, mentre altri, per contro, vedono in una parte del modello di vita occidentale, alcune delle risposte alla risoluzione dei problemi, in parte sopra descritti, che affliggono storicamente la regione (la disoccupazione, per dirne una, in alcuni stati, supera il 40%).
Sono gli arabi stessi le prime vittime di questi contrasti, e di questa cornice apparentemente cristallizzata, tutto il mondo ne ha preso atto nel 2011, quando le piazze si sono riempite dell’energia naturale delle nuove generazioni, alla ricerca di una affermazione, di lavoro, libertà individuali e di una via allo sviluppo propria, non necessariamente ispirata ad un modello precostituito. Il fenomeno della cosiddetta “primavera araba”, che per una breve stagione ha travolto tutta l’area del MENA.
Purtroppo, gli effetti dei venti di rinnovamento sono calati abbastanza rapidamente, lasciando il senso di una situazione gattopardesca, dove pareva cambiasse tutto e ha finito per non cambiare quasi nulla; con qualche eccezione virtuosa, come la Tunisia, dove qualche seme si direbbe aver germogliato.
Nel 2018, infatti, è stata eletta la prima sindaca nella storia del mondo arabo, a Tunisi, mentre da pochi giorni, Najla Bouden Romdhane, è ufficialmente la prima premier della storia, in un Paese arabo. Secondo alcuni si tratterebbe solo un’operazione di facciata, ma comunque importante, tanto che, ad oggi, non sarebbe stata praticabile in molti altri Paesi della regione, né tantomeno del resto del Pianeta.
Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, dovremmo aspettare una definitiva modernizzazione sociale e istituzionale per relazionarci con questi Paesi e farvi business? O magari dovremmo arrenderci allo stereotipo apocalittico, ora abbastanza condiviso; ovvero quello di una parte di mondo “perduta”, oscurantista e segregazionista, affollata di martiri della Jihad, la cui meta ideale rimane la restaurazione dell’antico califfato?
Naturalmente no! Ribadisco con forza che l’incomprensione e la riduzione a cliché preconfezionati, sono i veri nemici, dell’una e dell’altra parte. Si usa dire che faccia molto più rumore un albero che cada di quanto non ne faccia un’intera foresta che cresca, e questo adagio ben si applica alla realtà del MENA.
A dispetto di tutti gli errori storici, remoti e contemporanei, e delle operazioni politiche talora mirate a distruggere più che a costruire, la regione del MENA, nel 2021, si presenta come un’area popolata in gran parte da giovani, con talenti, aspirazioni e imprenditorialità, non diverse da quelle dei giovani europei, i quali non aspettano altro che un’opportunità per sviluppare le proprie idee di business e far crescere il proprio Paese.
Evitare di proporsi a questi mercati, di dialogare con le imprese locali, in questo momento storico, sarebbe un grave errore strategico commerciale. Rappresentano il futuro, da molti punti di vista, e la crescita vorticosa in termini numerici, dalle cifre di PIL a quelle delle movimentazioni di import-export, parlano chiaro.
Nella seconda parte, entreremo approfonditamente proprio negli aspetti più strettamente correlati alle relazioni business.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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