Premesse
Affrontiamo oggi l’ultimo capitolo (per ora) della piccola dissertazione sulle opportunità di business nelle regione del MENA. In questo segmento conclusivo ci concentriamo sulla relazione interculturale, con le insite complessità interpretative e le dissonanze, ma anche talune chiavi di lettura contestualizzate e qualche suggerimento pratico per provare a costruire rapporti non conflittuali e possibilmente empatici.
Da secoli, i popoli del MENA risentono di una tendenziale percezione distorta. Il più delle volte ne proiettiamo un’immagine che li vede come bugiardi, lavativi, infidi, crudeli, retrogradi. Li cataloghiamo sbrigativamente dentro poche categorie prototipiche: “sceicchi” miracolati dal petrolio, “venditori di tappeti”, sacerdotesse della danza del ventre, cantatrici di zhagarit (l’urlo acuto che le vibrazioni della lingua trasformano in un trillo di gioia), migranti opportunisti, quando non terroristi, tenutari di harem o trafficanti di schiavi. Evidentemente iperbole, sulle quali mi permetto di ironizzare, ma fino a un certo punto…
E’ facile comprendere che si tratti del frutto di pigrizia mentale, e di stereotipi consolidati, ulteriormente esasperati, da diversi anni, da una narrazione strumentale, alla ricerca di un bersaglio confortevole. Una strategia piuttosto condivisa e premiante, che si nutre di un esplosivo coacervo di eventi drammatici, picchi di disperazione e collisioni culturali.
Ironicamente, fanno i conti con una matrice di disprezzo e diffidenza, non troppo diversa da quella all’origine dei pregiudizi sugli italiani, dai quali mi sono dovuto difendere, per molti anni, lavorando nei quattro angoli del mondo (e che perlopiù mi venivano confessati, schernendomi, solo molto tempo dopo i primi contatti, e solo una volta definitivamente dissipati dalla mia condotta radicalmente divergente da quel paradigma).
I fanatici integralisti nel mondo arabo naturalmente esistono, ma sono una irrisoria minoranza della quale si dolgono per primi tutti gli altri arabi, travolti in ogni senso da questa piaga.
Il grande contributo della cultura musulmana
Per tentare di scardinare alcuni preconcetti, giova ricordare quanto ampio e ramificato sia stato il contributo della cultura islamica allo sviluppo dell’umanità.
La storia del sapere nel mondo musulmano allinea pensatori di una versatilità e modernità sconvolgenti. La loro partecipazione al progresso delle conoscenze nelle scienze naturali, geografia, ingegneria, fisica, ecc.. è assolutamente fondamentale. Hanno inventato l’algebra, il sistema decimale e il concetto dello zero, sviluppato grandemente la medicina, l’alchimia (genitrice della moderna chimica) la geometria e l’astrologia, con gli annessi studi astronomici, e alcune scoperte sulla rifrazione della luce fondamentali per la fisica.
Da ricordare, fra le altre, vi sono anche l’introduzione dell’astrolabio e la determinazione dell’anno tropico in 365 giorni, 5 ore, 46 minuti e 24 secondi, l’identificazione di molte sostanze chimiche, la prima descrizione dei processi di sublimazione, riduzione, distillazione, gli studi sullo spazio e il moto dei corpi, l’intuizione della febbre come difesa del sistema immunitario, il riconoscimento del morbillo e vaiolo e varie altre malattie contagiose, e la prima descrizione del sistema circolatorio corporeo e del metabolismo. In occidente, la fama di medici quali Avicenna e Razī fu così duratura, che i loro lavori divennero libri di testo fino al XVIII° secolo, mentre di notorietà non minore fruirono gli studi di filosofi quali Averroè e Geber, considerato per secoli, anche in ambito cristiano, il più grande alchimista mai esistito.
Pochi poi sanno, ad esempio, che il mesopotamico Al-Jazari, può essere considerato, a buon diritto, uno dei più grandi scienziati e inventori di tutti i tempi, in breve un genio assoluto. Fra le sue creazioni più cospicue, ci furono l’albero a gomiti, la serratura a combinazione, il meccanismo del pistone alternato, l’orologio meccanico a contrappesi, il primo disegno registrato di un robot umanoide programmabile, una turbina a vapore e un motore a vapore funzionanti, uno spiedo autorotante, una pompa monoblocco a sei cilindri, una parziale pompa a vuoto, una sveglia meccanica, un orologio astronomico a molla, un orologio tascabile preciso al minuto, e forse tralascio qualcosa.
I luminari musulmani non furono da meno riguardo alle discipline umanistiche, introducendo in occidente la filosofia ellenistica, che diede un contributo formidabile alla formazione del pensiero dottrinale in Europa continentale, e non mancano scrittori, poeti e dotti, che hanno lasciato un’impronta molto significativa nella fioritura intellettuale dell’intera umanità. Gli arabi crearono biblioteche e strutture d’insegnamento pubbliche anche in Europa che, come nel caso di Cordova, costituirono di fatto le prime università del vecchio continente, alimentate dal sapere della cultura persiana antica, da quella indiana e da quella greca ed ebraica.
Anche al di fuori del mondo arabo, nel MENA, sussiste un’eredità di eccellenze. Ai persiani, ad esempio, dobbiamo, fra le altre, il servizio postale, le prime monete, i mulini a vento, la prima forma di animazione e persino il primo occhio artificiale. Agli antichi turchi, la banda musicale, le staffe dei cavalli, molte armi micidiali, lo yogurt, e molto altro.
Così vicini così lontani
Tutto ciò detto, il riverbero malevolo della discrepanza culturale ha radici profonde. Lowell Thomas, compagno d’avventure di Lawrence d’Arabia scrisse : “Noi misuriamo i liquidi e pesiamo i solidi. Gli arabi fanno il contrario. Noi mangiamo con coltelli, forchette e cucchiai, loro con le mani. Noi usiamo tavole e sedie, loro si accovacciano sul pavimento. Entrando in casa d’altri noi ci togliamo il cappello, loro le scarpe”
Aggiornando e integrando questo assunto, oggi potremmo facilmente aggiungere che ci scavalcano nelle code, interrompono con naturalezza una conversazione rilevante (anche rispondendo al cellulare), camminano tenendosi per mano fra uomini (un’eredità ancora presente anche in Sicilia) ma restano invece qualche passo avanti alla moglie, più coperta di un artificiere, si cospargono di profumi e colonie, ammettono la poligamia, e possono infliggere pene sanguinarie.
Villani, rozzi? A mio modo di vedere, nonostante quanto sopra, complessivamente no, hanno solo un diverso modo di vivere. Criticabile, per molti versi, bizzarro e poco leggibile per il nostro filtro di comprensione del mondo, ma soprattutto diverso, tanto diverso che, come ricordato molte volte, sovente genera negli occidentali sentimenti ostili e repulsivi.
In realtà, numeri alla mano, ai nostri giorni, la poligamia riguarda non più del 10% dei musulmani, e il fenomeno è diffuso soprattutto nelle aree rurali, tra i poveri delle periferie urbane e le comunità del deserto. A provocarlo, più che la tradizione, è il bisogno. La mortalità infantile è alta, più mogli assicurano una prole più numerosa, più braccia per il lavoro, più sostegno per la vecchiaia.
E’ invece realmente, e purtroppo sistematicamente, applicata la pena di morte. La triste classifica mondiale per il maggior numero di esecuzioni capitali (escludendo la Cina dove è segreto di stato), vede in cima Iran, Arabia Saudita, Egitto e Iraq, in classifica però allineano, fra gli altri, anche i civili USA, Giappone, Singapore e Tailandia. La pena di morte può essere inflitta per assassinio, traffico di droga, violenza sessuale, ma persino per apostasia. I colpevoli possono finire sulla forca o davanti a un plotone di esecuzione, per le donne è comune anche un colpo di pistola alla nuca, che permette di non scoprire il capo. In Arabia Saudita, i metodi più comuni sono ancora la decapitazione e la crocifissione.
Come già ricordato nei precedenti articoli, anche molti arabi “restituiscono la cortesia”, e non sono immuni da un filtro di pesanti condizionamenti e preconcetti nel giudicarci, sui quali, a mio parere, è non solo interessante ma anche formativo indagare. Talora nutrono persino una sorta di “complesso di superiorità” morale, considerandoci faceti, corrotti e inaffidabili. Salvo rari casi, saranno ovviamente ugualmente gentili verso di noi ma, nell’interesse della riuscita del business, è bene, nella relazione e nella conversazione, non dargli motivo per inspessire i suddetti paraocchi.
Come comportarsi negli incontri d’affari
Vado qui di seguito a proporre, non certo una guida esaustiva, ma qualche consiglio pratico relativo a situazioni ricorrenti, senza dimenticare che la soggettività resta imperativa e, di conseguenza, l’attenzione, la capacità di lettura delle circostanze peculiari e la moderazione, rimangono le nostre risorse migliori, e il binario sul quale, nel dubbio, è sempre raccomandabile orientarsi.
Ci si presenta abitualmente in modo completo, descrivendo chiaramente anche il proprio ruolo aziendale. Non esiste un equivalente di “signor”, alle volte viene preso a prestito il titolo nobiliare hashemita “Sayyed”. L’uso dei cognomi in genere ha una connotazione meno formale che in occidente. L’eventuale presenza, prima del secondo nome, del suffisso “bin”, significa “figlio di” o quando “bint” vuol dire “figlia di”. L’uso diffuso del solo primo nome, anche al primo incontro, non ci deve far dimenticare né i ruoli né la formalità della circostanza. Un amico o un conoscente che si stima, verrà molto probabilmente chiamato con il termine “Kunya” oppure “Abu” (padre di) seguito dal nome del figlio maggiore.
I saluti, sia di accoglienza che di commiato, tendono ad essere abbastanza cerimoniosi, non a caso il termine salamelecchi, venne coniato nel XV° secolo, proprio richiamando l’apparente ridondanza dei convenevoli negli incontri fra gli arabi. I titoli: “duktur” (dottore), frequentemente sostituito da “shaikh” (capo anche nel senso di ruolo tribale e seguito solo dal nome proprio, non dal cognome), “mohandas” (ingegnere) e “ustadh” (professore), vengono usati più o meno come in Europa. Qualora si abbia a che fare con un membro di una famiglia reale (non così raro nei Paesi arabi, dove possono ricoprire anche ruoli politici o diplomatici, e sono davvero molto numerosi), l’appellativo più appropriato è quello di “sumu almalek” (qualcosa di simile a “vostra altezza”). Se non ci viene risposto ad un saluto per più di due volte (e siamo certi l’interlocutore l’abbia sentito) significa che non siamo i benvenuti
Piccola cortesia molto gradita, può essere rappresentata dall’uso di alcune semplici parole in arabo, di facile apprendimento, quali: “salam-aleikum” e in risposta “aleikum-salam” (ovvero la pace sia con te) per salutare, o “shukran” (grazie) per ringraziare e “afwan” (prego). E’ estremamente diffusa nella conversazione corrente la locuzione “Inshallah” (se Dio vuole), ma suggerirei, da “infedele”, di utilizzarla con parsimonia e, nel caso, appropriatamente, poiché chiaramente va ad intercettare la sensibilità religiosa individuale, non sempre immediatamente decifrabile.
La settimana lavorativa è di 5 giorni, considerando che inizia di sabato e non di lunedì, e che la domenica è un giorno feriale. Le attività commerciali nei Paesi arabi, in genere aprono alle 9:00 del mattino, chiudono ( o sospendono l’attività) circa mezzora per le preghiere del mattino, poi si fermano per la pausa pomeridiana e riaprono dalle 17 alle 22 (in questo lasso di tempo chiudono per le preghiere del Maghrib e dell Isha).
Dobbiamo sempre considerare i tempi della preghiera (5 volte al giorno) per agevolare un buon svolgimento di qualsiasi incontro d’affari, e se riceviamo un ospite musulmano in Italia, è certamente apprezzato se siamo in grado di predisporre uno spazio adatto alle orazioni, mettendo anche a disposizione un bagno per le abluzioni rituali, e magari una bussola che possa identificare la direzione della mecca. Quasi sempre i musulmani sono rigorosi praticanti, e se nel nostro interlocutore è presente la zibiba, la protuberanza callosa in mezzo alla fronte, provocata dalla lunga abitudine alla preghiera, naturalmente si dissipa subito ogni dubbio.
Sempre nel caso che l’incontro si svolga nel nostro Paese, è arcinoto ma giova ripeterlo, che i musulmani, ma anche gli ebrei, non mangiano carne di maiale né consumano alcol. Se invece siamo ospiti, in alcuni Paesi del Golfo, è preferibile non rendere evidenti simboli religiosi cristiani (come catenine o braccialetti con la croce), né portare con sé immagini di nudo (anche il numero estivo di una banale rivista settimanale andrebbe esaminato preventivamente).
Usi e costumi…
Gli arabi attribuiscono una grande importanza all’ospitalità ed alla cortesia, e sono tradizionalmente generosi con gli ospiti e caritatevoli verso i poveri. Per meglio dire, la generosità è una delle virtù più ammirate nel mondo arabo, anche dove vi sia una scarsa conoscenza dell’interlocutore, pertanto un omaggio viene percepito come un segno di rispetto e di benevolenza, senza necessariamente sottendere richieste o pressioni specifiche legate alla discussione d’affari.
E’ percepito come piuttosto rude rifiutare un’offerta di cibo, bevande o altra gentilezza. Prima di un incontro d’affari, vige quasi sempre la cerimonia del caffè o del tè aromatizzati. Da una grande “dallah” di ottone viene versato caffè leggero al cardamomo, in appositi piccoli calici. L’incaricato al caffè continuerà a versare finché l’ospite non agiterà il suo calice vuoto e rovesciato, per indicare di avere ricevuto caffè a sufficienza, congedando con tale gesto l’uomo incaricato.
Se il nostro interlocutore arabo si presenta scalzo (e probabilmente è circondato da molti tappeti) è buona norma se ugualmente ci togliamo le scarpe e le lasciamo fuori dalla stanza. Quando si è seduti, è preferibile fare attenzione a non rivolgere la suola della scarpa in direzione di una persona, poiché essendo considerata, nella tradizione islamica, uno dei punti più spregevoli della topografica umana, potrebbe essere percepito come offensivo.
I biglietti da visita nel mondo arabo sono comuni, ma non indispensabili, nel caso dovrebbero essere scritti in arabo o almeno in arabo e inglese sui due lati. Per quanto riguarda cataloghi, listini prezzi e materiale promozionale, risultano molto incisivi se scritti unicamente in arabo piuttosto che in più lingue, per quanto, in molti Paesi l’inglese sia largamente praticato dalla stragrande maggioranza della popolazione, essendo la lingua con la quale si rivolgono alla numerosissima forza lavoro asiatica. Se anche il sito web della nostra azienda presenta, fra le opzioni, la traduzione in arabo, ed è “responsive” (usano in grande prevalenza la navigazione mobile), naturalmente ne ricaviamo un “plus” molto importante.
La trattativa commerciale
La segretaria o il segretario, salvo rari casi, non hanno il permesso di fissare gli appuntamenti per conto del proprio datore di lavoro. Per ragioni culturali, è consuetudine consolidata prendere appuntamenti per un momento della giornata e non per un’ora specifica. Senza generalizzare eccessivamente, rispetto al tempo esistono un sentire arabo e uno occidentale, molto distinti, di cui gli arabi sono decisamente più consapevoli di noi.
Ricordo, ad esempio, alcuni anni fa, un cliente marocchino, ottimo e affidabile da ogni punto di vista, che disattendeva puntualmente gli appuntamenti presi e ribaditi per settimane, a dispetto delle mie sistematiche, insistite quanto vane, richieste di rispetto degli accordi. Stazionavo, a volte anche più di un giorno di seguito, nel suo ufficio, per ore, e prima di andarmene, arreso alla sua latitanza, dalla figlia-segretaria, mi sentivo riferire, con ovvio disagio: “Bukra (domani), Inshallah”. Quando il cliente finalmente arrivava, carico di regali, e sinceramente felice di vedermi, mi trattava letteralmente come un fratello ed eravamo inseparabili, ma soprattutto comprava davvero tanto, tuttavia non ricordo di averlo mai sentito espressamente scusarsi per il ritardo…!
Questo singolare senso del tempo arabo, fa anche sì che l’andamento delle trattative possa attraversare due fasi a velocità totalmente diverse, ovvero parta con ritmi molto lenti e lunghe pause, una modalità estenuante e scoraggiante, agli occhi di un occidentale, dove non si percepisce alcun progresso, con molti ritorni a capo e inceppi, poi accada, con una certa ricorrenza, che vi siano accelerazioni improvvise e quasi si sia incalzati a decidere in tempi strettissimi. Questa evoluzione può naturalmente riguardare anche le trattative condotte a distanza.
E’ nota la propensione del mondo arabo per la negoziazione sui prezzi, e non è un caso che negli esercizi di qualsiasi genere, non vengano mai esposti. Esiste una vera e propria liturgia nella determinazione del corrispettivo, che ha importanti implicazioni culturali e psicologiche, e sottende un confronto dialettico talvolta raffinato e uno sfoggio di abilità commerciali. Questa fase pertanto, deve essere percepita come parte integrante della relazione, e affrontata con la necessaria leggerezza e preparazione, sapendo preventivamente (e adeguandosi…) che il prezzo proposto per quanto competitivo, non sarà mai quello definitivo. Per altro, una nostra rigidità su questo fronte, non di rado, viene avvertita come mancanza di rispetto e naturalmente non facilita la conclusione positiva della transazione.
Cechiamo infine di non essere insistenti o petulanti sui pagamenti, durante la trattativa, quanto piuttosto di tutelarci poi concretamente sul piano tecnico e contrattuale. Questo perché secondo l’Islam, il buon musulmano non può lasciare debiti che gli eviterebbero l’accesso al paradiso, e dal momento che vi scorrono fiumi di acqua limpida, latte e miele, tra giardini ombrosi e fioriti, e i beati vengono accolti dalle Uri, giovani stupende “dai grandi occhi scuri e preziose come rubini e coralli”, è comprensibile come il credente sia incentivato ad adempiere ai propri impegni finanziari, e il dubitarne platealmente metterebbe in discussione un principio di fede.
Paese che vai…
Nello “small talk”, che precede, interlude e segue la trattativa (e contribuisce a creare simpatia e fiducia, se siamo bravi), evidentemente non sono strettamente necessarie nozioni approfondite di storia del Paese o di storia e cultura dell’Islam, tuttavia è molto apprezzato se, durante gli scambi, emerge una qualche cognizione di causa da parte nostra, anche in virtù dei molti luoghi comuni, duri a morire, più volte richiamati in questo articolo. Non diversamente dagli italiani, la stragrande maggioranza degli arabi è appassionatissima di calcio (europeo), ne ho conosciuti di abbonati a squadre inglesi, pur vivendo nel Golfo!
Argomentare, anche con energia (senza giungere al litigio), è inaspettatamente benaccetto, e anzi percepito come espressione di personalità tanto che tendenzialmente ingenera stima. E’ possibile che vi venga richiesto di descrivere la vita o le abitudini del vostro Paese, indugiare su arte, storia e made in Italy (riconosciute universalmente), è la linea di condotta più semplice e meno azzardata. Se siete in disaccordo su questioni di politica o economia internazionale che vengano sollevate, non vi è nulla di grave, anzi, purché le vostre tesi non urtino la sensibilità del vostro ospite.
Non bisogna mai, in alcun caso, rischiare di mettere a repentaglio la dignità e l’autorità di una persona di fronte ad altri, anche quando abbiamo rimostranze importanti nei suoi confronti, soprattutto se siamo nella sua casa o nel suo ambiente di lavoro. Tale comportamento garbato sarà rivolto verosimilmente anche a noi, e tendenzialmente ci verrà detto che un certo affare va studiato più attentamente, quando non convince o va al di là delle possibilità dell’interlocutore. In quel caso non si innescherà alcun tiro alla fune sul prezzo, che definisce un segnale inequivocabile di interesse.
Indovina chi viene a cena…
Se i rapporti si strutturano sufficientemente, è frequente che la giornata in ufficio si possa concludere con un invito a cena. Le cene sono spesso abbastanza informali, e non di rado organizzate nella casa dell’ospitante. Sovente sono precedute dalla conversazione in un’ampia stanza che è solitamente prospicente all’ingresso, la “Dewaniya” (da cui deriva il nostro termine “divano”), attrezzata con divani, cuscini e pochi altri arredi, salvo eventuali tavolini per le bevande. Nella “Dewaniya”, quando si intrattengono gli uomini, non sono presenti donne. In alcuni Paesi, questo ambiente è presente anche in edifici pubblici, come luogo di trattative e persino di importanti decisioni politiche. Si mangia, solitamente con le mani, da un unico grande piatto di portata per tutti i commensali, che nuovamente sono esclusivamente uomini. Un eventuale ritrosia o rifiuto del cibo (almeno un assaggio di ogni portata) è un messaggio negativo piuttosto forte, che non si giustifica nemmeno con la disabitudine a certi alimenti.
Raramente saranno presenti quadri nell’abitazione, Il Corano non vieta esplicitamente la rappresentazione della figura umana o più in generale di esseri viventi, proibisce piuttosto l’idolatria, il divieto è invece inequivocabilmente presente nella Sunna, e poiché il creato è opera esclusiva di Dio, la sua rappresentazione ne risulta fatalmente impura. Dette immagini sono quindi tassativamente escluse nei luoghi dove si pratica la preghiera, ma poco popolari ovunque. Per contro, la liceità della rappresentazione di immagini di esseri inanimati, senza il Rūḥ di Dio, ovvero cose e vegetali, ha dato vita allo sviluppo dell’arte dell’arabesco e della calligrafia, sia nello spazio sacro (moschee) che nello spazio profano.
Personalmente ho indossato più di una volta il thawb (il tipico abito arabo) a queste cene. In un caso mi era stato regalato (confezionato da un sarto, su misura), e l’indossarlo rappresentava evidentemente un segnale di gratitudine e considerazione verso il donatore. Non consiglierei tuttavia di farlo indiscriminatamente, soprattutto con un grado di conoscenza dell’ospite limitato, e senza la necessaria disinvoltura, poiché potrebbe essere facilmente frainteso il significato dell’iniziativa.
Ho avuto anche la fortuna di essere invitato ad un matrimonio, durante il quale molti colpi d’arma da fuoco sono stati esplosi verso il cielo, ho dormito in una tenda nel deserto, mangiato l’agnello cotto per tutto il giorno, in un buco nella sabbia, assistito a canti e danze antiche, inscenati in mio onore, bevuto il latte di cammello appena munto e sentito ululare gli sciacalli al tramonto. Non garantisco che l’attivare relazioni d’affari con partners arabi vi offrirà le stesse coinvolgenti esperienze di vita, ma non possiamo nemmeno escluderlo!
Nel nostro business nel MENA, avremo a che fare con manager o proprietarie d’azienda donne?
La condizione della donna è proprio uno dei temi più sensibili riguardo alla distanza culturale fra mondo occidentale e mondo arabo. Riassumendo grossolanamente, nel MENA, non è troppo difficile interagire con controparti femminili in Israele, è possibile in Nord Africa e Turchia, assai raro o addirittura improbabile nei Paesi del Golfo.
In verità, i diritti riconosciuti e le responsabilità delle donne, all’interno delle società di cultura prevalente musulmana, variano molto da Paese a Paese, in base a diverse interpretazioni della dottrina islamica e dei principi di laicità adottati. Detti diritti, evidentemente spaziano dallo status legale, abbigliamento, istruzione, facoltà concesse, accesso al mondo del lavoro, ecc… e, non a caso, prima della pandemia, il tasso medio di partecipazione alla forza lavoro sul totale della popolazione femminile, nella regione MENA, era solo del 28%, che è significativamente inferiore alla media globale, e ora è precipitato addirittura al 20%!
In sostanza, in alcuni stati, le donne hanno ormai ottenuto l’accesso ad attività e diritti, una volta destinati quasi esclusivamente agli uomini, mentre nei Paesi più tradizionalisti, ovvero in quelli che tendono all’applicazione a pieno titolo della sharīa, (dove gli Hadith, la Sunna, gli insegnamenti attribuiti al Profeta, che insieme alle regole del Corano costituiscono le fonti del diritto islamico), vige un diverso modello. In tali contesti, il “sentiero da seguire”, la legge divina viene decodificata in maniera molto rigorosa, e le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di diritti e di libertà personali, sono piuttosto considerate, in qualche modo, subordinate all’uomo.
Donne e diritto islamico
Per fare qualche esempio, nei Paesi dove la condizione di genere è maggiormente penalizzante, la donna viene dichiarata uguale di fronte a Dio, ma la sua testimonianza in tribunale, vale la metà di quella di un uomo. Sempre per le fonti coraniche, nella spartizione dell’eredità le tocca una quota minore, il marito può ottenere il divorzio semplicemente ripetendo tre volte, in presenza di testimoni: “io ti ripudio”, la moglie, viceversa, deve rivolgersi ad un tribunale e solo in casi molto particolari, di acclarati maltrattamenti o indifferenza da parte del marito, può sperare di ottenere il provvedimento; i figli in ogni caso restano col padre.
La donna, finché rimane in famiglia, è sottoposta all’autorità del padre, successivamente, quando si sposa, passa sotto l’autorità del marito. Paradossalmente esclusa da questa tutela (wilāya) è la nubile non più giovane (anīs), che può in tutto e per tutto gestirsi senza dipendere dall’altrui beneplacito. Per la maggioranza delle donne, è quindi molto complesso rendersi autonome, o semplicemente condurre una vita sociale indipendente, così come frequentare persone al di fuori della famiglia e, evidentemente, dedicarsi ad attività professionali, sportive o ludiche.
I costumi vigenti e le lenta marcia verso l’emancipazione
All’uomo è raccomandato di essere gentile e giusto verso le mogli e di provvederne al mantenimento. La sura “della Luce”, il v. 31 prescrive che le credenti abbassino gli sguardi e “custodiscano le loro vergogne, non mostrino troppo le loro parti belle ad altri che agli uomini della famiglia, e non battano i piedi sì da mostrare le loro parti nascoste”.
Circa l’obbligo esplicito di portare il velo e coprire il volto, non c’è alcun versetto che lo definisca espressamente, e nemmeno il v. 59 della sura “delle Fazioni alleate” lo afferma, sebbene reciti: dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano dei loro mantelli. Può sembrare illogico, ma i Paesi arabi sono fra i mercati più remunerativi al mondo per la moda italiana, che viene indossata in casa o sotto l’abaya.
Sempre nei Paesi di cui sopra, le donne studiano in aule separate, nelle moschee pregano in una sezione invisibile, negli uffici non possono lavorare a contatto con i colleghi maschi e, al ristorante, dove non andranno mai sole, possono accedere alle sole aree per famiglie. Se viaggiano, devono essere accompagnate da un parente, preferibilmente maschio. In Arabia Saudita solo dal 2018 possono guidare l’auto ed assistere ad eventi sportivi.
L’introduzione del suffragio femminile, in Paesi a maggioranza musulmana (che non corrisponde all’ammissione all’elettorato passivo) e, non sempre universale, per i Paesi del Golfo, si colloca fra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo (evidentemente laddove si svolgano elezioni popolari); ultima arrivata è l’Arabia Saudita nel 2015, mentre in Nord Africa tale diritto era già stato ampiamente acquisito in precedenza.
L’atteggiamento nei confronti delle donne, per non fare gaffe
Evidentemente rimane valido il principio generale di sapersi adattare, con flessibilità e buon senso, alle diverse situazioni, tuttavia in linea di massima, nei Paesi più restrittivi, è sconveniente rivolgersi ad una donna, anche solo per i saluti o i complimenti tipici, che si farebbero alla cucina o alla casa, in un contesto occidentale.
Si dovrebbe evitare anche di guardare una donna con insistenza e, a maggior ragione proporre una stretta di mano, salvo che non sia la signora a tenderci la mano per prima, e ovviamente astenendosi da qualsiasi altro contatto fisico più confidenziale. Occorre prestare qualche attenzione anche nella condivisione di spazi stretti accidentali, come ascensori, mezzi di trasporto, luoghi pubblici (laddove non siano già predisposte separazioni obbligate).
Ciò detto, mi è capitato di scambiare opinioni in tutta serenità con donne, in ambienti domestici o comunque “protetti”, anche in Paesi del Golfo, ma si è trattato di situazioni, nelle quali esisteva già fiducia e consuetudine con uomini di famiglia, e quasi sempre di persone abituate a viaggiare e interagire con occidentali anche al di fuori del proprio Paese.
Considerazioni contingenti
Questa fine del 2021 vede il MENA al centro di eventi di portata mondiale, in primo luogo per l’Expo di Dubai, ma anche per la Conferenza Rome Med, attualmente in svolgimento. Sul nuovo anno però si continuano a proiettare anche alcune ombre sinistre ben lungi dalla prospettiva di una soluzione stabile.
Per un verso, l’onda lunga pandemica, che genera uno scenario anomalo, a macchia di leopardo, e altamente sfidante, dall’altro le tensioni politiche vecchie e nuove, che coinvolgono i Paesi che appartengono al MENA, ma anche le potenze mondiali aspiranti a gestirne la regia, senza dimenticare le incertezze correlate alla transizione energetica, la crisi climatica, passando per la raggelante ferita dell’emigrazione, fino ad un’inflazione incontrollata. A queste sopraggiunte criticità, si sommano questioni incancrenite, come la diffusa polarizzazione e personalizzazione del potere, difficili da affrontare nel breve periodo, sia per le nazioni ricche che per quelle povere.
Va da sé che i summenzionati orientamenti, dettati dall’attualità, debbano essere attentamente valutati e amalgamati con le informazioni consolidate, prima di affrontare un progetto di business regionale, soprattutto con orizzonte breve.
Sull’impatto del covid19, la raccolta dei dati nella regione è stata imperfetta, inaffidabile e limitata, a causa di fattori quali test insufficienti, sistemi di raccolta dati inefficienti e mancanza di trasparenza. Le risposte dei governi sono state diverse, e spesso vincolate da fattori quali l’accesso al vaccino e la forza dei sistemi sanitari.
Per fare qualche esempio, mentre Israele è stato un Paese laboratorio per il resto del mondo, l’Iran inizialmente ha negato l’esistenza di incidenze del virus, prima di attuare un blocco inefficiente e ritardato; dal canto loro, i Paesi del Golfo hanno scelto di imporre rigidi “lockdown” e dure sanzioni in caso di violazioni delle normative sulla quarantena.
La Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (IFRC) ha riportato sostanziali disparità nella distribuzione dei vaccini. Meno del 5% dei vaccini che sono stati somministrati nella regione ha raggiunto paesi che stanno affrontando “crisi umanitarie protratte”, e le economie più ricche hanno avuto più successo nel vaccinare i propri cittadini.
Le previsioni per il prossimo futuro
Tale disparità nella distribuzione dei vaccini avrà inevitabilmente un impatto diretto sul recupero economico e sociale dei diversi Paesi. Le donne sono state colpite in modo preferenziale e sproporzionato dalla pandemia nella regione MENA, poiché hanno affrontato “una maggiore esposizione al virus“, in quanto, da un lato, in prima linea nell’opera assistenziale, hanno agito come principali fornitrici di accudimento per i membri della famiglia, e dall’altro hanno avuto un accesso più difficile alle cure mediche.
Nel complesso, il grado di recupero delle economie MENA, nel 2022, varierà a seconda delle differenze nelle scelte politiche. Le leadership nei paesi più ricchi, con una minore dipendenza dal debito estero, che possono anche permettersi di offrire uno stimolo fiscale più forte, un alto tasso di vaccinazione, maggiore protezione contro shock futuri (compresi quelli già incipienti, legati al clima), avranno maggiori possibilità di riconquistare la fiducia del popolo, e fornire risultati di ripresa economica più rapidi rispetto a quelli delle nazioni più povere.
Il mondo intero attraversa un periodo di riassetto, e mentre l’economia globale cerca di riprendersi dagli effetti dei blocchi e mobilità ridotta durante la pandemia di Covid-19, deve già pensare alle soluzioni a medio e lungo termine per fare fronte ai prossimi ardui cimenti, già chiaramente delineati, fra i più importanti dei quali: la transizione energetica. E mentre è probabile che il trend a lungo termine della domanda globale di petrolio diminuisca nel prossimo decennio, l’ attuale compravendita mondiale di greggio corrisponde già ai livelli pre-Covid con oltre 100 milioni di barili al giorno.
L’accordo di cooperazione tra i maggiori produttori, denominato OPEC+, in vigore da dicembre 2016, continua a reggere, tuttavia c’è un divario crescente fra i membri firmatari, nella reattività della propria capacità estrattiva. Alcuni produttori, tra cui Russia e Nigeria, sono decisamente meno flessibili e meno in grado di aumentare lo sfruttamento di capacità inutilizzata. La rottura tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita nel luglio 2021, ha messo inesorabilmente in evidenza alcune delle incongruenze tra i principali attori, nelle gestione delle riserve e nelle strategie di esportazione, in un’orizzonte temporale che vede il mix energetico globale meno dipendente dal petrolio, nel medio-lungo periodo, ma ancora strettamente vincolato nel breve, con tutte le considerazioni strategiche e politiche che ne derivano.
Il Medio Oriente, per altro, sta diventando l’ennesimo teatro competitivo fra Cina e USA. La Cina fa molti affari nella regione, importando oltre il 40% del suo greggio dai produttori del Golfo, e ha identificato il MENA come un importante hub, nella “Belt and Road Initiative”. Allo stesso tempo, per altri versi, il Medio Oriente non rappresenta un fulcro fondamentale per la Cina, quantomeno rispetto a regioni più vicine a casa, come il Mar Cinese Meridionale o l’Asia Centrale e, in questa fase, il colosso asiatico deve concentrarsi prevalentemente sulle forti pressioni politiche ed economiche interne, e sulle relazioni con vari paesi ostili, alla sua periferia. Gli Stati Uniti, per contro, hanno importanti e storici alleati e partner economici regionali, ma i loro interessi nell’area MENA sono da tempo in declino, e Biden, per le annose e articolate controversie dell’area, ha tracciato una chiara linea di condotta, improntata più sull’influenza diplomatica che sulla presenza diretta.
Questo vuoto emergente, lasciato dagli Stati Uniti, ha da tempo innescato una corsa per il potere e l’influenza nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente, che dovrebbe servire da campanello d’allarme affinché l’Unione europea svolga un ruolo più ampio nella distensione dell’attuale crisi. Per dirla in modo diverso, le tradizionali fonti di attrito tra Turchia, Grecia e Cipro, ora combaciano con un’altra serie di tensioni geopolitiche interconnesse e controversie energetiche nel Mediterraneo orientale, che vedono coinvolto, oltre alla Turchia, un gruppo di paesi tra cui Francia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.
Il rompicapo politico
Pertanto, non solo è cresciuto il numero di Paesi coinvolti nella crisi , ma il contenuto della disputa si è anche ampliato, per includere nuove questioni, tra cui le recenti scoperte energetiche nel Mediterraneo orientale, e il sempre più esteso “imbroglio libico”, e tutto ciò sta accadendo in un momento in cui gli Stati Uniti, come detto, stanno ridimensionando la propria impronta regionale. Una recentissima de-escalation tra Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Israele, in verità, parrebbe delinearsi, e l’elemento più importante è rappresentato dall’arresto delle attività di perforazione ed esplorazione nelle acque contese. L’incertezza e la precarietà degli equilibri tuttavia restano molto elevate, e tutti richiedono che l’Europa sviluppi una visione e un impegno geopolitico più incisivi.
Durante il vertice ministeriale di settembre a Dushanbe, è stato annunciato che l’Iran avrebbe iniziato il processo per diventare un membro a pieno titolo dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), guidata da Cina e Russia, un’adesione a cui l’Iran aspirava fin dal 2008. Questo accade, quando ai primi di dicembre, era atteso l’inizio di un negoziato per la ricerca di un rinnovato compromesso fra lo stesso Iran e gli USA, dopo quello sancito nel 2015, e disatteso dall’amministrazione Trump, che vedrebbe il presunto programma nucleare civile iraniano severamente limitato, in cambio della revoca delle sanzioni internazionali.
Ancora più sorprendentemente, nel maggio 2021, il Wall Street Journal ha riferito che la Cina stava costruendo una struttura militare negli Emirati Arabi Uniti. Con un accordo di cooperazione per la difesa, in vigore dal 1994, gli Emirati Arabi Uniti sono profondamente impegnati con Washington, negli affari politici e di sicurezza, e gli accordi di Abraham del 2020, sembrerebbero consolidare ulteriormente questo aspetto, così come l’accordo per la vendita degli F-35 agli stessi Emirati Arabi Uniti. Evidentemente le intese parallele fra EAU e le due superpotenze suonano abbastanza stridenti e, se da un lato sono la testimonianza tangibile di questo particolare momento storico di transizione, dall’altro rappresentano un viatico intricato e vagamente inquietante di contrappesi.
Anche la Russia non resta esclusa dalla partita, essendosi affermata, negli ultimi anni, come un intermediario solido e credibile per la sicurezza della regione, da un lato con energiche operazioni militari in Siria, dall’altro, sia in relazione allo scontro strisciante fra Iran e Israele, che alle mire egemoniche turche, nelle aree di confine sudorientale; sebbene la Turchia sembrerebbe ora avere intrapreso una strada di riconciliazione e relazioni politiche ed economiche normalizzate con i vicini, quantomeno rispetto all’isolamento sostanziale e “all’interventismo preventivo” della precedente stagione.
Conclusioni
A chiusura di questo percorso di (relativo) approfondimento sul MENA, caratterizzato da molti inevitabili limiti, e srotolato lungo tre articoli, in primo luogo ringrazio chi abbia voluto leggermi, e auspico possa aver trovato spunti e informazioni utili. Non fosse altro, mi auguro di aver stimolato qualche curiosità, che notoriamente è l’anticamera della conoscenza. Conoscenza, che non solo ci affranca dai luoghi comuni, ma che soprattutto rappresenta l’arma definitiva, troppo spesso sottovalutata, per ottenere risultati brillanti di business.
Rettifiche e integrazioni sono gradite soprattutto quando documentate, così come ogni genere di commento che stimoli il confronto fra professionisti con esperienze magari diverse.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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