Il finanziamento Invitalia

Lo spunto per queste riflessioni mi sorge da una telefonata-intervista, finalizzata ad una verifica di qualità circa l’utilizzo del voucher Invitalia. Il noto strumento finalizzato ad assicurare le prestazioni di un TEM, per le aziende beneficiarie, ai fini dell’internazionalizzazione aziendale. Intervista che mi è stata fatta da un ente preposto, in quanto la mia società ha ottenuto, fin dalla prima edizione del 2015, allora gestita dal MISE, l’inserimento nell’elenco dei fornitori accreditati.

In breve, pronunciandomi “contro il mio interesse”, ho descritto varie perplessità sulle modalità con le quali detto finanziamento viene messo a terra, perplessità maturate alla luce di tre edizioni di partecipazione, confronto coi colleghi e con le imprese, durante queste tre edizioni, le regole sono modificate per alcuni aspetti, ma l’impianto dell’iniziativa è rimasto abbastanza coerente.

Come capita anche per altre opportunità finanziate, le intenzioni sono ottime ma, può capitare che nell’applicazione si generino alcune distorsioni, sia sostanziali che percettive, le quali finiscono con il frustrare le aspettative delle imprese e scoraggiare le stesse alla prosecuzione delle attività. E’ una constatazione che stanno maturando anche in qualche stanza del MAICE, e le interviste commissionate presumo possano essere propedeutiche ad una messa a punto della proposta, per future occasioni. Evidentemente non è facile strutturare una formula priva di falle e realmente efficace per gli obiettivi perseguiti, resta il fatto che sia auspicabile un tentativo di miglioramento.

 

Gli equivoci da parte delle aziende

Le aziende destinatarie dei voucher, per antonomasia, hanno scarsa esperienza di internazionalizzazione, diversamente non ne necessiterebbero, ma detta scarsa esperienza può essere frequentemente cagione di cognizione dissonante, rispetto a quanto le prestazioni del TEM possano realisticamente offrire.

Tipicamente il TEM, in queste realtà, deve partire da zero o quasi, quindi cominciare con lo strutturare le attività preliminari che consentano di lavorare nel modo migliore per l’azienda assistita. Dovrà conoscerne le virtù e i punti deboli e costruire un progetto solido dal punto di vista organizzativo, strategico e di impiego delle risorse. Successivamente si tratterà di scegliere uno o più mercati e analizzarli dettagliatamente, di selezionare e adeguare i prodotti e i servizi, di solito sconosciuti nel Paese di destinazione, aggiornare ed allineare gli strumenti di comunicazione e finalmente cominciare a promuovere le offerte aziendali.

Il suddetto lavoro preparatorio, per quanto possa essere capace ed esperto il TEM interessato, ovviamente comporta dei tempi di ideazione e costruzione, e fatalmente la successiva attuazione del piano è condizionata da disponibilità finanziarie, spesso non illimitate. Evidentemente la conoscenza del settore da parte del professionista, e magari il contatto con qualche distributore affidabile, possono accelerare i tempi, ma non sempre e non necessariamente, perché il distributore anche quando “amico”, se opera professionalmente, è verosimile che per prendere in considerazione nuovi prodotti e servizi, richieda comunque un adeguato sostegno a 360°, ovvero attività di marketing appropriate, iniziative formative, prodotti ad hoc per il suo mercato, garanzie tecniche e contrattuali, customer care.

Ovvero una dotazione di servizi, know-how e strumenti, che vanno comunque strutturati e organizzati, per sperare di avere successo stabilmente nei mercati altamente competitivi dell’epoca corrente. Tutto ciò si traduce, più di ogni altra cosa, in un investimento di tempo, non sempre brevissimo. Tale tempo cozza con quello previsto dal voucher e detta discordanza pilota l’azienda, non ben consapevole, verso la frustrazione.

Diverso è ovviamente il caso in cui esista già una certa attività di export che vada implementata, e siano già presenti almeno alcuni dei presupposti strutturali per una buona attività sui mercati esteri. In un simile frangente, l’incremento delle vendite, il consolidamento e ampliamento dei rapporti, l’allargamento del parco clienti in alcuni mercati, risultano spesso essere obiettivi raggiungibili nell’arco dell’anno previsto, salvo che non sopraggiungano ostacoli non preventivabili.

Tornando alle aziende meno esperte, numericamente preponderanti fra le assegnatarie, le reazioni al mancato ottenimento dell’agognato fatturato, possono manifestarsi attraverso diverse espressioni e gradazioni, ma difficilmente qualcuna di loro si rivela costruttiva. Ad esempio, dopo alcuni mesi di lavoro, l’imprenditore può invocare “concretezza” e spingere il TEM a contattare i potenziali clienti “all’arma bianca”, qualora il TEM per condiscendenza o quieto vivere si presti, finisce per operare come un call-center, con poche o nulle possibilità di successo, nel 2022; il rapporto, a quel punto, rischia di attorcigliarsi in una spirale di sfiducia, dalla quale diventa difficile uscire. Diversamente, l’imprenditore può nascondere la delusione e approdare placidamente al termine del mandato (considerando che in fin dei conti, ci “rimette poco”), maturando però una sostanziale diffidenza verso le attività di export, o verso i consulenti, o verso le iniziative finanziate, ovvero verso tutte e tre le cose. Il che ovviamente riverbera con un’incidenza esiziale sul futuro di quell’impresa.

Il bilancio finale pertanto si configura deleterio per tutti i protagonisti, per l’impresa, come già ricordato, per il TEM che si macchia di una reputazione negativa, e per l’organismo erogante, che ha investito denaro pubblico in un’attività disfunzionale. I ritorni negativi possono addirittura innescare un effetto domino verso altre imprese, che fanno propria l’esperienza negativa riferita (è noto che i commenti avversi siano molto più rapidi e incisivi di quelli positivi), e rifuggono le iniziative di cui sopra. Forse non è un caso quindi, che da un lato, un buon numero di piccole imprese che avevano ottenuto il finanziamento in una delle edizioni precedenti, non compaiano nella lista dei richiedenti dell’ultimo bando e, dall’altro, le domande in senso assoluto siano state molte meno di quelle previste, e questo ha permesso di posticipare di molti mesi la chiusura prevista dell’iniziativa.

 

Le inosservanze da parte dei consulenti

Alla luce di quanto sopra, e per deontologia, sarebbe corretto che il professionista spiegasse già in sede di approccio quali possano essere le aspettative corrette per l’azienda, e che il percorso di internazionalizzazione non sia una corsa di velocità, ma somigli più ad una gara di fondo, nella quale siano resistenza, strategia, capacità e intelligenza, le armi per vincere. Dovrebbe anche ricordare che occorrono alcuni piccoli investimenti per partire, e che il voucher non sia un bottino da arraffare, ma un’opportunità per avviare un percorso virtuoso e consistente che si proietti nel tempo.

Purtroppo, mi viene viceversa riferito, da alcune imprese, che, in qualche caso, vengano fatte promesse poco realistiche pur di ottenere l’incarico, o che vi siano società accreditate che collezionino contratti con indubbia abilità, per poi subappaltarli ad altri consulenti “meno visibili”, senza neppure conoscerli. In questo quadro, poco edificante, non mancano segnalazioni di presunte negligenze e incompetenza, che andrebbero ovviamente verificate prima di sottoscriverle.

Anche senza prendere per oro colato le rimostranze delle suddette imprese, queste indubbiamente offrono lo spunto per una riflessione seria su quanto sopra.

A mio avviso, ad esempio, un singolo consulente difficilmente può seguire più di 5 aziende diverse, con la necessaria dedizione, tantopiù che il compito non si esaurisce nella presenza settimanale, ma occorre ovviamente studiare, preparare il lavoro, e operare con una certa continuità anche in remoto. Quindi, per quanto ci sia disposizione al sacrificio e adozione di orari elastici, con più di 5 aziende, parlo per esperienza personale, ritengo improbabile offrire un servizio adeguato. E già stabilire un limite di questo tipo, credo aiuterebbe la qualità della performance.

Per altro, anche qualora sorgano delusioni, incomprensioni, aspettative disattese in corso d’opera, o anche quando le eventuali leali premesse vengano dimenticate, resta comunque un dovere professionale e etico del TEM, continuare a fare del proprio meglio e svolgere, in coscienza, le proprie mansioni con il massimo impegno, fino all’ultimo giorno, per l’oggi e per il domani dell’azienda assistita, e non “tirare a campare”, perché tanto poi non proseguirà il rapporto.

 

Conclusioni

Come premesso è tutt’altro che facile costruire un finanziamento nazionale che possa essere realmente d’aiuto per le imprese, ma se non altro, mi permetterei, per il futuro, di suggerire alcuni correttivi, in parte già accennati più sopra, poiché il lodevole intento di fornire un abbrivio alle aziende, alla prova dei fatti, il più delle volte, non funziona.

In primo luogo, sarebbe perciò utile trovare un meccanismo che misuri non esclusivamente i risultati di fatturato, per il primo anno, ma anche risultati di organizzazione, comunicazione, strategia, ecc… e che sulla base dell’ottenimento di questi ultimi, incoraggi le aziende alla continuità, fornendo un sostegno finanziario, in qualche modo più duraturo, ovvero per un anno successivo o meglio ancora per due. In questo modo si eviterebbero gran parte dei malintesi connaturati con la formula attuale e si otterrebbe un reale beneficio di lungo respiro per le aziende assegnatarie.

Forse anche una maggiore attenzione, sia su quali possano essere le finalità delle aziende richiedenti, e come arrivino alla richiesta di finanziamento, che, dall’altro lato, sull’organizzazione del lavoro dei soggetti fornitori di servizi TEM, potrebbe aiutare a normalizzare i rapporti fra le parti, e renderli non solo più soddisfacenti ma anche più appropriatamente indirizzati.

Saverio Pittureri
Easy Trade

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