La rassegnazione al rifiuto
E’ lapalissiano che l’obiettivo prioritario dei nostri sforzi per strutturare un’attività di export interessante, sia quello di trovare clienti soddisfatti disposti ad acquistare con continuità. Fra le diverse strategie per raggiungere questo obiettivo, raramente viene data evidenza al risultato che può prodursi, profondendo qualche sforzo, nel lavorare sui “no”.
Se è vero, universalmente e trasversalmente, che non si possa piacere a tutti (anche al di fuori del contesto business…), è però auspicabile, nel business, cercare, con determinazione, di allargare la platea dei consensi, da un lato utilizzando ogni risorsa disponibile e, dall’altro, non sprecando le energie già investite. A tal proposito, le aziende approcciate, a prescindere dall’esito, ci costano un certo lavoro di selezione e promozione; fatica totalmente sprecata se ci accontentiamo di prendere atto dell’indisponibilità.
Il rifiuto della nostra proposta, da parte del potenziale cliente, statisticamente risulta un’eventualità largamente preponderante rispetto all’accettazione, ed è quindi normalmente percepita come naturale e inevitabile. Proprio detta ineluttabilità fa sì che buona parte delle imprese non ritenga di investire preziose energie sulle “bocciature”, e preferisca concentrarsi sul prossimo possibile cliente. Approccio comprensibile e rispettabile, che tuttavia priva l’azienda di fondamentali informazioni e opportunità.
Quando e perché?
Una prima domanda che ci dobbiamo porre, in relazione a nuovi potenziali clienti, riguarda la fase dell’approccio e/o della trattativa, in un determinato mercato, che venga più frequentemente bloccata dal diniego.
Se, per esempio, dovesse emergere che non si arrivi quasi mai a poter formulare un’offerta specifica, sarebbe da prendere in considerazione che la nostra comunicazione sia poco seducente, oppure trasferisca sensazioni di sfavore, sconvenienza, non competitività. Esaminando la nostra comunicazione dovremmo farlo a 360° nella forma, nelle modalità e nei contenuti, sia per quanto riguarda i contatti diretti con il potenziale cliente, che in relazione alla nostra comunicazione strutturale e istituzionale.
Cionondimeno, la causa prevalente dei fallimenti, potrebbe anche depositare in alcuni errori nella valutazione culturale e/o commerciale del mercato, quando, per qualche ragione, non risulti ricettivo rispetto alla nostra proposta, perlomeno così come formulata, oppure, talvolta, in una nostra scarsa capacità di profilazione dei soggetti ai quali rivolgersi, o magari nella sottovalutazione di concorrenti solidi e capaci, che abbiano in qualche modo saputo dettare regole e percezioni nel settore.
Qualora viceversa accada che ci sia data l’opportunità di formulare un’offerta, ma questa venga, sistematicamente o quasi, rigettata, è altamente probabile che le nostre condizioni di vendita non siano allettanti in quel contesto. La più ovvia motivazione peculiare potrebbe riguardare il prezzo, ma non solo e non necessariamente, vi possono essere grandi dissonanze anche per le modalità di pagamento, di garanzia, di consegna, di minimo d’ordine, di servizi accessori, ecc…
Solo per citare una delle cause più ricorrenti, molte aziende italiane, ostinatamente, non derogano per alcun motivo dal pagamento anticipato con i clienti esteri, modalità che ovviamente rende tutto più “facile”, non costringendo a studiare soluzioni alternative (comunque altamente tutelative, se ben congeniate), però, nella stragrande maggioranza dei casi, mortifica il fatturato in modo davvero significativo. Gli imprenditori se ne rendono conto, solitamente con stupore, solo quando finalmente accettano di sperimentare accordi diversi.
Reagire al silenzio
Come accennato, le cause dell’insuccesso, possono essere molteplici e, non di rado, concomitanti. Un’indagine di mercato approfondita (che sarebbe meglio attivare ex ante piuttosto che ex post), spesso potrebbe dare svariate risposte, ma in verità, non tutte e non sempre.
Uno strumento certamente più economico e, quantomeno altrettanto efficace nel merito, si sostanzia nel cercare di instaurare un minimo di rapporto con il potenziale cliente e, sulla scorta di detto rapporto, creare le condizioni per chiedere conto direttamente a lui, anziché tentare di indovinare.
Si tratta di un proposito tutt’altro banale, laddove il cliente non manifesti alcun interesse ad un accordo commerciale con la nostra azienda, ma per esperienza diretta, garantisco che in molti casi, è comunque possibile, se sussistano abilità relazionali, linguistiche e, sopra ogni cosa, capacità di interpretazione interculturale.
Naturalmente l’iniziativa di costruire un abbozzo di rapporto personale, al di là delle capacità soggettive, risulta molto più agevole quando il candidato cliente si incontri di persona, piuttosto che attraverso conversazioni a distanza. Questa è una delle innumerevoli ragioni, più volte richiamate nei miei interventi precedenti, che consigliano di pianificare periodiche missioni nei paesi target.
E’ poi intuibile che l’adozione di provvedimenti correttivi, di qualsivoglia natura, sul prodotto, sulla comunicazione, sui prezzi, ecc… che implichi investimenti e strategie imprenditoriali di lungo periodo, necessiti di essere corroborata da una sostanziale convergenza di riscontri in quella direzione, dal ricorso a fonti diversificate, e quando possibile, dall’assunzione di impegni almeno informali, in capo ad alcune controparti, per l’accensione di rapporti commerciali, una volta applicate le rettifiche opportune.
Conclusioni
Per quanto mi trovi d’accordo il concetto che il customer care si debba focalizzare prioritariamente sui clienti esistenti, producendo ogni sforzo per monitorarne il grado di soddisfazione e prevenire fughe verso i concorrenti, mi preme far notare che, quando possibile, valga la pena dedicare un certo tempo ed energia anche all’analisi dei “no”, che sono una fonte straordinaria di informazioni e opportunità di crescita in quel determinato mercato.
E’ peraltro abbastanza probabile, costruendo un dialogo con gli interlocutori riluttanti, di riuscire a recuperarne una parte, e trasformarli in clienti, una volta appianati gli ostacoli che ne avevano generato le resistenze. Come ogni altra attività di internazionalizzazione, anche questa deve però essere contestualizzata e inserita in una strategia complessiva e lungimirante, di medio-lungo periodo, al fine di raccogliere risultati soddisfacenti e duraturi.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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