Di cosa tenere conto
Come stabilire un prezzo ottimale, rimane una questione di assoluta centralità, per qualunque mercato, segmento, e Paese si affronti, nonché per qualunque prodotto o servizio si intenda proporre. Esiste una vera e propria pletora di opzioni e formule, più o meno complesse, alcune delle quali complementari, altre alternative, per formare il prezzo di vendita.
In senso generale, è beninteso che esso si determini in primo luogo sulla base dei costi complessivi, ai quali venga assommato un margine di guadagno ammissibile, ma è fondamentale che sia strutturato contestualmente, ed in congruenza, anche ad altre decisioni strategiche, e tenendo conto di un gran numero di variabili, scaturite sia dal mercato, che dalle condizioni e dalle aspettative dell’impresa, a breve, medio e lungo termine.
Ciascuno dei suddetti fattori infatti, riverbera in qualche modo, e si può sostanziare, ad esempio, in un servizio fornito, un progetto di comunicazione peculiare, uno stratagemma commerciale, e in molti altri tipi di spese e rischi, espliciti od impliciti (ciclo di vita del prodotto, struttura e requisiti del mercato, tipo di partner e di canale, segmento bersaglio, forma di ingresso, interventi sul prodotto e sul packaging, classificazione doganale a destino, e/o altri oneri applicabili, utilizzo di depositi, logistica, margini di filiera, programmazione delle vendite per volumi e periodicità, marchio, trasporti, mix di prodotti esportati, valuta e cambio, eventuali forme di finanziamento, forme di pagamento, tempi di consegna, termini di resa, rischi dell’operazione, barriere non tariffarie, potenzialità commerciali in prospettiva, e l’elenco potrebbe continuare).
Prezzi e strategia
In conseguenza a quanto sopra, si evince che l’appropriatezza di questa scelta, da un lato discenda da numerosi e articolati risvolti, ma dall’altro abbia poi anche ricadute, a consuntivo, su ogni aspetto della vita aziendale: sulle finanze, il flusso di cassa, la possibilità di sostenersi e di investire. E’ dunque una decisione ad alto coefficiente di difficoltà e responsabilità, estremamente strategica e, talvolta, davvero creativa, se non quasi visionaria.
Devo aggiungere che, nella pratica quotidiana delle PMI, che sono la mia platea di riferimento, il più delle volte, il prezzo viene attribuito, e magari periodicamente aggiustato, sulla base di considerazioni meno lungimiranti, ovvero tenendo conto, essenzialmente in modo lineare, esclusivamente dei costi visibili e della presunta marginalità,
Benché in termini diversi, e con distinte logiche, il tema del prezzo mantiene la sua rilevanza, sia quando si parli di B2B che di B2C, e in entrambi gli ambiti, non sarebbe da affrontarsi una sola volta o sporadicamente, quanto piuttosto seguire dinamicamente, quasi come un metronomo, le risposte del mercato e l’idoneità progressiva del nostro business-plan, nella ricerca un equilibrio sequenziale, intelligente e funzionale.
Costi fissi e variabili
Ho accennato come la base di partenza per il calcolo, dovrebbe essere un’elevata consapevolezza dei costi, e resta ovviamente fondamentale, anche qualora vi si applichino le menzionate considerazioni aggiuntive. Notoriamente, esistono costi fissi e variabili, ma mentre i primi, solitamente risultano sostanzialmente chiari agli imprenditori, sui variabili, come già ricordato, spesso si riscontra una certa alea di incertezza, per via di voci in qualche modo sommerse, come il costo del tempo extra-produzione, i costi organizzativi e varie altre spese normalmente presenti. Evidentemente non è una buona premessa per un calcolo corretto del margine di contribuzione.
Nei fatti, la risposta più diffusa risulta quella di considerare un sovrappiù “di sicurezza” ai costi identificabili, e successivamente applicarvi un margine di guadagno (una sorta di declinazione delle tecniche di “cost-plus” e “mark-up standard”, piuttosto informale). E’ un approccio che sovente può funzionare, pur non restituendo un quadro preciso. Laddove però, si renda necessario adeguare il prezzo ad un contesto, per qualsiasi motivo, più sfidante, la piena cognizione della struttura dei costi agevola indubbiamente le decisioni.
Evidentemente, la citata struttura dei costi, compresi quelli fissi, viene influenzata tipicamente, in corso d’opera, dall’impatto dei riscontri reali di mercato, in una sorta di “riflesso circolare”, sia attraverso il principio delle economie di scala che quello della curva di apprendimento, secondo i quali se si riescono ad aumentare i volumi di produzione (e di vendita…), e nel contempo si acquisisce esperienza, si riducono i costi unitari, lo spreco di risorse, e si standardizzano i processi, migliorandone l’efficacia.
Orientamento alla domanda di mercato
Un primo assunto che potremmo adottare, mutuato dal mondo dello sport, recita: “primo non prenderle”; diciamo che funzionerebbe universalmente, ma diventa imperativo se ci riferiamo ad un mercato estero, dove un errore può rendere totalmente sterili i nostri sforzi e farci accusare perdite esiziali.
E’ perciò opportuno, oltre a prevedere le sopraelencate attente valutazioni sull’ecosistema economico di riferimento, identificare il break-even point, cioè il il punto di pareggio (presunto) fra costi e ricavi, dal quale si possa desumere il numero di unità di prodotto che si debbano produrre e vendere, ad un certo prezzo ,per raggiungerlo, quindi dove si verifichi l’incontro fra le curve della domanda e dell’offerta, in un intervallo di tempo definito.
Un altro concetto cardine, da mettere a fuoco, è quello del “costo marginale”, ovvero il costo da sostenersi per un’unità aggiuntiva di prodotto, utile per le stime di costo e di prezzo, a condizione che il potenziale produttivo dell’impresa non sia già pienamente espresso.
E’ lapalissiano infine, che il variare di uno qualsiasi dei fattori sopraelencati, sposti conseguentemente il break-even point
Se “non prenderle” è il risultato minimo anelato, evidentemente si possono mettere in campo molte strategie più evolute per provare anche a vincere la partita! In riferimento agli obiettivi stabiliti, si può ad esempio proporre un “prezzo di penetrazione” (molto vantaggioso per il cliente, al fine di entrare nel mercato e/o massimizzare i volumi di vendita, nel breve periodo) oppure, concettualmente all’opposto, un “prezzo di skimming” o un “prezzo di prestigio”, atti sia a selezionare un determinato segmento di clienti, che a generare un certo posizionamento, mediante le percezioni di valore ed esclusività, che si possono o meno accompagnare alla leva della scarsità (quantità ridotta o disponibilità limitata nel tempo di un bene).
Alternativamente o complementariamente, si possono utilizzare svariate altre opzioni, il “prezzo psicologico” (tipo 9,99 Eur), il “prezzo di confronto”, che prevede l’immissione sul mercato di due articoli comparabili, uno dei quali artatamente valorizzato mediante il prezzo (alto o basso in relazione all’obiettivo), il “price lining”, con riferimento a fasce di prezzo correlate a specifiche linee di prodotto, il “prezzo obiettivo”, che viene attentamente studiato, in funzione a quanto il consumatore si mostri disposto a pagare, il “bundle pricing”, che consiste nell’offrire più prodotti aggregati, ad un unico prezzo riconosciuto come conveniente, il “premium pricing” che il cliente accetta di buon grado, in nome di una qualità percepita superiore (le cui connotazioni però possono variare sensibilmente da paese a paese).
Gran parte delle suddette strategie (e non sono le sole), vengono preferenzialmente attuate nella sfera del marketing indirizzato al consumatore finale ma, in una certa misura, possono trovare spazio anche nel B2B, pur mediate da filtri tecnici e psicologici meno palesi.
Naturalmente, per funzionare, le stesse devono non solo essere inglobate in un progetto strutturato e sostenute da varie attività propedeutiche, ma anche contemplare possibili cambi di rotta e rettifiche tempestive, se e quando necessari.
Va infine tenuta in debita considerazione l’attuale potenza dei media, che sono in grado di veicolare le preferenze, fare percepire vantaggi competitivi veri o presunti, formare o distruggere una reputazione e/o una moda, e a tutti gli effetti, generare un bisogno, in tempi rapidissimi, impensabili in passato.
L’impatto della concorrenza
Quando ci si affacci ad un nuovo mercato, che lo si faccia in punta di piedi, ovvero che si abbiano il proposito e le risorse per farlo con forza, non si può trascurare una ricerca sui prezzi praticati dalla concorrenza presente; fatti salvi i casi, attualmente piuttosto rari, di incarnare il ruolo del pioniere per un certo bene, o di disporre di un prodotto senza alcuna concorrenza reale, nemmeno surrogata, in quel particolare mercato.
Il cosiddetto “benchmarking” risulta sicuramente più attendibile e funzionale quando condotto su imprese, non solo concorrenti, ma con simile dimensione e struttura dei costi alla nostra (assumendo i loro calcoli come idonei).
Facendo tesoro delle conclusioni dell’indagine menzionata, la direzione della nostra condotta complessiva, in termini di offerta, di comunicazione, di servizio, ma evidentemente anche, se non soprattutto di prezzo, dovrà indirizzarsi alla conquista di una quota di mercato, il che potrà avvenire tipicamente proprio a spese della concorrenza, sebbene in qualche misura, con adeguati messaggi e caratteristiche distintive, talvolta sia possibile attrarre anche nuove categorie di clienti tout court.
Alcune delle scelte tattiche improntate sulla concorrenza, quando sussistano i presupposti di sostenibilità finanziaria, possono contemplare l’allineamento ad abitudini già consolidate e remunerative, stabilendo un “prezzo di consuetudine”, oppure un prezzo lievemente inferiore o superiore a quello mediamente accettato, a seconda delle finalità perseguite, o persino un “prezzo civetta” (ovviamente in caso di B2C), che richiami l’attenzione del consumatore sulla nostra azienda e sulla nostra proposta commerciale complessiva.
Naturalmente le opzioni di cui sopra, qualora dovessero farci meritare visibilità, potrebbero indurre reazioni da parte della concorrenza, che legittimamente tenterebbe di salvaguardare le proprie posizioni. Chiaramente, nel medio-lungo periodo, il mercato tende ad assorbire questi meccanismi autoregolamentandosi, e si va a costituire un sistema di competizione dinamica, fisiologico e caratteristico, nel quale, il nostro compito diventa quello di ritagliarci uno spazio stabile.
Più nutrita e consolidata si palesa la presenza di concorrenza, in condizioni di libero mercato, più si delinea la tendenza all’insorgenza di un effetto di “perceived value pricing”, per un certo bene, da parte dei consumatori. E’ un elemento che sfugge al controllo dell’impresa, e che rende la curva della domanda più rigida alle variazioni di prezzo, ma tale orientamento può essere anche sfruttato dall’azienda a proprio vantaggio (introduzioni di migliorie, valore aggiunto tecnologico, servizi), per sparigliare il quadro.
Variabili e obbligazioni
In teoria, l’impresa potrebbe scegliere di determinare il prezzo anche sulla base di specifici traguardi di profitto, e anche in questa evenienza si declinano vari approcci e relative tecniche, da quella del “profitto obiettivo” a quella del “return on sales” fino al metodo del “return on investment”. Non indugio in delucidazioni, in merito, anche perché per le PMI che si approccino ad un mercato estero, questi ultimi restano criteri tendenzialmente velleitari.
E’ invece di rilievo trasversale e imprescindibile, la verifica ed il conseguente adeguamento, della presenza di eventuali vincoli legislativi in merito alla fissazione del prezzi, che possono avere carattere generale, oppure riguardare selettivamente alcuni mercati, canali di vendita, categorie merceologiche. A titolo esemplificativo, si possono incontrare limiti alle vendite promozionali, oppure vi possono essere prezzi calmierati o imposti per alcuni generi, o può sussistere l’obbligo di esibizione dei prezzi, talora anche il divieto di imposizione di prezzi di vendita ai distributori.
Non di rado, vengono effettuate verifiche anche su pratiche di dumping, possibili accordi di cartello, prezzi ingannevoli o “predatori”, e “discriminazione dei prezzi” che, in qualche caso, adombrano un retrogusto protezionistico. Esistono poi veri e propri mercati statalizzati o fortemente regolamentati (tabacchi, alcolici, ecc…), dove sostanzialmente scompaiono gli eventuali vantaggi competitivi e la partita si gioca su principi totalmente differenti.
Si è volutamente trascurato di trattare il “tranfer pricing”, in questo elaborato, essendo un concetto un po’ collaterale alla “galassia prezzo”, che verosimilmente verrà approfondito in altre occasioni.
Conclusioni
In buona sostanza, tanto per cambiare, è sempre bene muoversi preparati e studiare preventivamente, non limitandosi ad agire secondo le regole che magari abbiano pagato, fino ad oggi, per la nostra attività domestica, ma essere flessibili, talora sacrificare una parte di marginalità o accettare che il break-even point possa configurarsi relativamente lontano nel tempo.
Ciò detto, bisogna anche essere pronti ad accettare il fatto che laddove non esistano le condizioni per renderci competitivi, e con prospettive concrete di marginalità accettabile, almeno nel medio-lungo periodo, sia preferibile rinunciare, piuttosto che scegliere di sbattere la testa infinite volte, come una mosca sui vetri in estate, e a consuntivo dover fare i conti con danni economici significativi.
Saverio Pittureri
Easy Trade Srl
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