Una unicità che parte da lontano

Riprendiamo oggi il racconto, per sommi capi, delle caratteristiche del Sudafrica, e per quanto possibile, di quali siano gli elementi di attenzione per un’impresa italiana che voglia approcciarne il mercato. Per farlo, facciamo un passo indietro, alle caratteristiche del cammino coloniale nel Paese.

Benché già alla fine del XV° secolo, il portoghese Bartolomeo Diaz, avesse scoperto il Sudafrica, il primo insediamento stabile fu ad opera degli olandesi, solo nel 1652, nella Penisola del Capo, che probabilmente doveva essere favolosa, ma anche piuttosto inospitale. Dapprima, tale avamposto, ebbe la funzione di stazione di rifornimento per i bastimenti della Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) poi gradualmente prese ad ingrandirsi. I coloni olandesi si dedicavano principalmente all’agricoltura e all’allevamento, e ricevettero il nome di boeri, “contadini” (in seguito sarebbero stati definiti afrikaner).

I boeri, benché continuassero ad espandersi, per quasi due secoli mantennero rapporti sostanzialmente buoni con le popolazioni locali. Fino a che sorsero contese per l’uso di vasti pascoli, e si scatenarono vere e proprie guerre, in particolare con la tribù degli Xhosa (quella di Nelson Mandela). Nel contempo venivano importati in gran quantità schiavi dall’Indonesia, dal Madagascar e dall’India, per lavorare la terra. Cosa che proseguirono a fare anche gli inglesi, successivamente. La ragione principale deposita nel fatto che i locali, pur robusti e ovviamente adattati all’ambiente, risultavano difficilmente assoggettabili, rispetto ai più docili orientali.

I risultati di queste deportazioni, sono molto evidenti ancora oggi. Il protratto melting pot genetico fra coloni, discendenti di schiavi e popolazioni indigene, ha generato una etnia peculiare, frequentemente denominata “cape coloured”, che costituisce la componente predominante della popolazione della provincia del Capo.
Così come nel KwaZulu-Natal, e in particolare nell’area di Durban sono numerosissimi gli abitanti di chiara origine indiana.

Lo stesso giovane avvocato Gandhi, futuro Mahtma, vi trascorse 22 anni, fra la fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso, cruciali per la sua formazione umana e la sua coscienza politica. Fu costernato, vedendo il diniego delle libertà civili e dei diritti politici verso gli immigrati indiani, ed incominciò a protestare e fare pressioni, contro la discriminazione legale e razziale subita dagli indiani in Sudafrica, tanto da essere incarcerato nel 1913.

Ufficialmente, l’attuale ripartizione delle comunità etniche vede gli africani all’80,2%, i bianchi all’8,4%, i “coloured all’8,8% e gli indiani al 2,5%. In realtà però, si presenta una situazione molto più fluida, complessa e variegata, di quanto cerchino di riassumere le statistiche, anche, se non soprattutto, in termini di retaggio culturale, e non è un caso che il Paese sia noto come Nazione Arcobaleno. Questa articolata eredità, che impatta significativamente sulla società contemporanea ha un riverbero essenziale anche sull’ecosistema business.

 

L’avvento degli inglesi

A partire dalla fine del diciottesimo secolo, gli inglesi tentarono più volte di occupare la colonia del Capo, fino a riuscirvi nel 1797, per un’annessione formale che ebbe luogo nel 1806. Pur con diversi scontri sanguinosi, inglesi e boeri continuarono per lungo tempo a convivere, in qualche modo, ma i boeri non si adattarono mai all’occupazione britannica, in modo particolare da quando il Regno Unito dichiarò formalmente l’abolizione dello schiavismo nel 1833.

La scoperta di miniere di diamanti e oro, incoraggiò ulteriormente l’immigrazione e l’interesse dell’Impero Britannico per l’area del Capo, ma anche per l’entroterra, colonizzato dai pionieri boeri, chiamati voortrekker. Ne sfociarono due successive guerre boere, nell’ultimo ventennio del diciannovesimo secolo. La prima della quali vide gli inglesi a mal partito, per la scelta infelice di divise color rosso vivo, che li rendeva facili bersagli.

Nonostante l’orgogliosa resistenza boera, e la ricerca di un’alleanza con i tedeschi, che controllavano l’attuale Namibia, alla fine, gli inglesi, come in molte circostanze della propria storia coloniale, ebbero il sopravvento. Non mancarono certo pagine cupe, nel corso delle guerre, con la creazione di veri e propri campi di concentramento, e strategie estreme, in nome delle quali vennero compiute razzie e devastazioni, e si presero le popolazioni nemiche, indistintamente, per fame.

Con il trattato di Vereeniging, il Regno Unito si assicurò formalmente il controllo dell’intero Paese, nello stesso documento viene specificato che le persone di colore non avrebbero avuto diritto di voto in nessuna delle province del Sudafrica, eccetto la Colonia del Capo.

La gestione britannica, come di prassi, tentò una anglicizzazione della popolazione boera, con l’insegnamento obbligatorio della lingua inglese nelle scuole, e l’istituzione delle caratteristiche strutture amministrative e burocratiche inglesi, oltre alla costruzione di infrastrutture secondo il modello del Commonwealth; questo programma, però ottenne il risultato di alimentare ulteriormente il rancore della comunità boeri. Quando i liberali ottennero il potere in Gran Bretagna (1906), il programma fu abbandonato, e l’afrikaans venne rapidamente riconosciuto come una delle lingue ufficiali del Sudafrica.

 

Il novecento e l’arrivo dell’indipendenza

L’Unione Sudafricana prese parte alla prima guerra mondiale a fianco del Regno Unito. Poco dopo, ottenne un mandato della Società delle Nazioni per il controllo dell’Africa del Sud-Ovest (oggi Namibia), strappata ai tedeschi. Nonostante l’aumento del suo prestigio internazionale, l’Unione stava attraversando un periodo di forte crisi interna, con attriti sempre più violenti fra i nazionalisti boeri e la rappresentanza inglese.

Nel 1931, con l’approvazione dello Statuto di Westminster, da parte del parlamento britannico, il Sudafrica ottenne una parziale autonomia. Partecipò alla seconda guerra mondiale come parte dell’Impero britannico, al fianco degli alleati, nonostante una parte significativa del National Party, il maggiore partito boero, simpatizzasse apertamente per la Germania nazista. Le truppe sudafricane combatterono in Etiopia, in Africa settentrionale ed in Europa.

Dopo la fine della guerra, nel 1948, il National Party si impose alle elezioni, instaurando il regime di apartheid che istituzionalizzava la segregazione razziale, già presente nei fatti, in larga parte del Paese, in quest’ottica furono istituiti i bantustan, ovvero i territori destinati alle popolazioni nere, delle diverse etnie, a cui complessivamente venne concesso il 13% del territorio del Sudafrica.

Il Sudafrica sprofondò in una fase buia e inqualificabile della propria storia, e venne sostanzialmente isolato dal resto del mondo. Con un visto sudafricano sul passaporto, non si poteva entrare nella stragrande maggioranza dei Paesi del mondo. Non a caso, io ho sempre avuto due passaporti, per questa e altre incompatibilità presenti in ambito internazionale (uno dei quali lascio naturalmente sempre depositato in questura e vado a sostituire, al bisogno).

Il 31 maggio del 1961, a seguito di un referendum, il Sudafrica ottenne l’indipendenza dalla corona britannica e venne espulso da Commonwealth. Cominciò la resistenza da parte dell’ANC e nel 1963 Nelson Mandela venne condannato all’ergastolo, per terrorismo. Da lì, è storia recente, abbastanza nota, fino al 1994 quando lo stesso Mandela, dopo la vittoria elettorale schiacciante dell’African National Congress, viene eletto presidente

 

Il nuovo Sudafrica fra luci e ombre

Con un retaggio, come quello rappresentato, si può ben capire che il periodo di assestamento successivo alla fine del potere bianco, sia stato piuttosto lungo e accidentato, e di fatto, in qualche modo permanga ancora oggi. In questi anni infatti, il paese ha perso 29 posizioni nell’indice di sviluppo umano, e il 40% della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà. Prosegue il fenomeno dell’urbanizzazione, soprattutto nelle townships di periferia, dove fioriscono il lavoro nero e la criminalità, e non pochi bianchi hanno scelto di lasciare il Paese (una delle mete predilette, per alcuni punti di contatto nello stile di vita, è l’Australia).

L’attuale politica interna, è rivolta soprattutto alla lotta all’AIDS (una piaga spaventosa nel Paese), alla disoccupazione e alla criminalità, che ha raggiunto, specie nelle grandi città, in certe zone, livelli insostenibili. Altro tema delicato che il governo si trova costantemente ad affrontare, è quello della tutela delle diverse etnie, tutte molto orgogliose della propria identità autonoma. In questo quadro, i numerosi scandali per corruzione che hanno travolto i vertici dell’ANC, non hanno evidentemente aiutato a rasserenare il clima

In tema di disoccupazione, da molti anni è stato varato un programma, noto come black economic empowerment act, per incrementare la partecipazione dei “non-bianchi” ai settori chiave della vita economica sudafricana. A seconda del soddisfacimento di determinati criteri dettati dal BEE (assunzioni, ruoli rivestiti, ecc..), le aziende ricevono un punteggio da 0 a 100, con il quale accedono con minori o maggiori agevolazioni agli appalti pubblici. Lo spirito che ha animato il provvedimento è ovviamente condivisibile ma, come ogni misura sostanzialmente coercitiva, risulta abbastanza indigesta a molti imprenditori.

Ciò detto, con tutte le sue contraddizioni e il quadro d’insieme, a dir poco plastico, il Paese continua a costituire, e auspicabilmente costituirà sempre più, un catalizzatore formidabile di business per il continente africano. Con infrastrutture non dissimili dagli standard europei, ricco di risorse naturali, quali oro, platino, diamanti, cromo, ferro, manganese nickel, stagno, rame, uranio, vanadio, carbone, gas naturale, vede circa l’80% del proprio suolo, dedicato alle attività agroindustriali, in buona parte modernamente meccanizzate e tecnologicamente avanzate, il che rappresenta uno dei pilastri dell’economia nazionale.

Come già accennato, nell’articolo precedente, anche il manifatturiero e i servizi, in alcuni comparti, hanno conosciuto una crescita poderosa negli ultimi decenni. Il Sudafrica è però, soprattutto, per quanto possa interessare maggiormente le aziende italiane, un Paese dove la richiesta di determinate categorie di beni e servizi, proposti con standard occidentali, e a maggior ragione con peculiarità italiane, è consistente, siano essi destinati a innervare i processi produttivi domestici, oppure al consumo. Vediamo quindi alcune piccole linee guida comportamentali per rapportarsi ai soggetti locali.

 

Strutture aziendali e approccio, in pillole

Alla luce di quanto esposto fino ad ora, non sarà difficile cogliere la complessità della società sudafricana e conseguentemente quanto tutto ciò riverberi inesorabilmente nel mondo business.

Sia per gli influssi planetari di globalizzazione, che per un’eredità storica di concentrazione delle ricchezze, l’economia sudafricana è dominata da grandi società, mentre la quota delle piccole e medie imprese, pur crescente, risulta ancora relativamente ridotta (all’opposto del nostro Paese). Con tale background culturale, la struttura organizzativa tradizionale sudafricana, anche nelle piccole e medie imprese, appare marcatamente piramidale, o in altre parole, con una forte propensione verticistica. Per cui, parlare con qualcuno che non sia a capo di una funzione, di solito, si dimostra perfettamente inutile.

Il Sudafrica è anche permeato da una cultura collettivista, con una marcata priorità per la famiglia o altri interessi di gruppo rispetto a quelli generali. I gruppi etnici, tribali, strutturali, in Sudafrica tendono ancora a vivere fianco a fianco, piuttosto che fondersi, certo, via via, in qualche modo riescono anche a riconoscere un’identità comune, ma per mia esperienza, l’appartenenza ad un determinato cerchio sociale, etnico, culturale, è ancora una chiave interpretativa determinante, per instaurare una relazione costruttiva.

Il networking tradizionale o tecnologico, può avere molta importanza per creare collegamenti utili e qui lascio alla creatività di ciascuno pensare alle maniere per costruire il proprio. Non di rado le persone, abituate a “stare in difesa”, non si fidano istintivamente l’una dell’altra al primo incontro, per cui un lasciapassare fiduciario può fare la differenza; e la costruzione di relazioni personali stabili è fondamentale, perché ovviamente l’interlocutore sudafricano, intende fidarsi della persona con cui intrattiene affari.

Non di rado (parlo per esperienza personale), gli incontri iniziali sono utilizzati dal partner nativo, proprio per “familiarizzare” e capire se vi siano presupposti, direi quasi antropologici, per rapportarsi. Per questo raccomando tempo e pazienza, se di vuole ottenere un risultato, che però poi può diventare solido e duraturo. E anche la negoziazione vera e propria, è frequente che proceda abbastanza lentamente, rispetto ai nostri standard, e con altri accenti.

Per altro, viste anche le opportunità di impiego relativamente più ridotte, i sudafricani sono generalmente molto fedeli alle loro aziende e al loro incarico, e spesso rimangono in un’azienda per tutta la durata della loro vita lavorativa. Pertanto, quelli nelle posizioni più alte, ovvero i decisori, di solito hanno lavorato duramente e lealmente per guadagnare la loro posizione. Quindi una critica, anche scherzosa, all’impresa per la quale operano (quando anche finalizzata a valorizzare la persona in questione, nel confronto) è normalmente da evitare.

 

Business etiquette

Le persone tendono a parlare in modo molto diretto e trasparente, durante le trattative commerciali. Qualsiasi ambiguità o vaghezza, da parte nostra, può essere interpretata come un segno di inaffidabilità, disonestà o mancanza di impegno. Inoltre, i contratti e le condizioni dovrebbero essere esplicitamente dettagliate, già durante la negoziazione, per assicurare che l’accordo sia corretto e equilibrato. Personalmente, ho ottenuto risultati molto apprezzabili, partendo con accordi di consignment stock poi evoluti in formule più ortodosse di distribuzione.

Pur in considerazione di un’ovvia soggettività, tendenzialmente il businessman sudafricano arriva all’incontro preparato, con un obiettivo commerciale definito e un piano su come vorrebbe che si svolgesse la riunione. L’approccio di un afrikaner alle trattative, in particolare, e le sue aspettative, possono essere percepite come piuttosto unilaterali, ma tale sensazione è frutto di uno stile di comunicazione molto diverso dal nostro, non di irragionevolezza. Come ricordato apprezzano la chiarezza d’intenti, e non gli espedienti retorici, però non significa che non capiscano le nostre ragioni e prospettive.

La maggior parte dei sudafricani, di ogni etnia, paradossalmente non ama mercanteggiare. Raggiungere un risultato win-win è l’esito ideale di un incontro per un sudafricano e non solo teoricamente. Buona parte del tempo dell’incontro, in definitiva, la si investe a descrivere la proposta, i vantaggi e, con sincerità, anche gli eventuali punti deboli (preferibilmente corredati di potenziali soluzioni), quindi a conquistare l’interesse e la fiducia della controparte, e a trovare una sintesi dei punti di contatto sui quali costruire l’accordo, più che a parlare di sconti o trovare il modo di “strappare” un risultato.

Lo scontro diretto, in ogni caso, è piuttosto raro, e anche a causa del loro bagaglio socio-culturale, generalmente sgradito, quindi è preferibile non premerli su aree in cui si mostrino visibilmente a disagio o tantomeno provocarli intenzionalmente, questo riguarda le tematiche business, come ovviamente gli argomenti di pertinenza personale. Inoltre, le tattiche ad “alta pressione”, molto utilizzate in altri contesti, per ottenere un consenso, in Sudafrica generalmente non hanno successo.

Si noti che, particolarmente interagendo con i manager neri, può capitare che le scadenze temporali non vengano percepite come impegni realmente vincolanti, ma piuttosto come piuttosto orizzonti fluidi. Non si tratta di mancanza di serietà o di intenzioni fraudolente, quanto di un’eredità culturale tutt’ora molto caratterizzante. Occorre abilità di gestione e diplomazia nell’adeguarsi, e i risultati, anche davvero soddisfacenti, possono comunque arrivare.

 

Approcciarsi agli incontri

Gli incontri faccia a faccia sono ancora, quasi sempre decisivi, per fare affari in Sudafrica. Nonostante il covid abbia un po’ cambiato le abitudini (e nel Paese ha colpito duro), nell’ecosistema business nazionale, l’incontro rimane tutt’ora chiaramente preferito ai contatti a distanza, per quanto efficaci e funzionali, almeno quando si tratti di prendere decisioni. Allo stesso modo, il tradizionale biglietto da visita è preferito a scambi di informazioni più tecnologici.

Sarebbe di buon senso non proporre incontri, da metà dicembre a metà gennaio, ovvero in concomitanza con il picco dell’estate australe, e nemmeno durante le due settimane successive a Pasqua, soprattutto perché si tratta di periodi tipicamente di ferie, e verosimilmente troveremmo poca disponibilità dall’altra parte. E’ bene, come ovunque, presentarsi in orario, quantunque non è detto che la controparte ci ricambi la cortesia (vedi concetto del tempo sopra espresso).

Sebbene gli stili e i tempi di saluto varino considerevolmente, a seconda del gruppo etnico, la stretta di mano occidentale convenzionale è sempre ben accetta, in ogni circostanza, negli incontri d’affari. Giacca e cravatta per gli uomini e tailleur per le donne vanno sempre bene, ma è ampiamente diffusa e accettata una maggiore informalità (che io prediligo, ma ovviamente dipende anche dalle abitudini e dalla personalità dell’interessato).

Altri connotati comportamentali che si possono raccomandare, attengono prevalentemente al buon senso, e sono comuni a molte aree del mondo. Ovvero ci si aspetta che vengano salutati individualmente tutti i presenti nella stanza, anche quando numerosi, e che a ciascuno venga dato un biglietto da visita. Quando si ricevono i biglietti da visita, come segno di attenzione, è decisamente gradito se ci si sofferma un momento a leggerli e magari si chieda conferma della pronuncia del nome, talvolta abbastanza complesso.

Il rispetto è fondamentale, pertanto, durante le discussioni, si raccomanda di prestare tutta l’attenzione alla persona che parla, e non interrompere, in modo particolare quando vengano espresse emozioni accese; ascoltare con disposizione d’animo aperta e cortese, evitando, ad esempio, di armeggiare col proprio telefono, e possibilmente consiglierei di annotare quanto venga detto, anche quando di scarso interesse. Quando siamo noi a parlare evitiamo di mostrare preferenze verso una determinata persona e coinvolgiamo con lo sguardo tutti i presenti. Se si ritiene di muovere un rilievo critico a ciò che abbiamo ascoltato, questo deve essere sempre indirizzato all’idea esposta, e mai alla persona che la esprime.

Qualora si incontrino persone provenienti da culture tribali più tradizionali, che ancora osservino i propri usi, sarebbe saggio scoprire quale condotta si pratichi tipicamente. Potremmo, ad esempio, facilmente trovarci a dialogare con persone vestite con abiti tradizionali africani, anche in luoghi di lavoro, e sarebbe quasi certamente così ad una cena.

Qualche domanda rivolta al diretto interessato, sulla cultura e le tradizioni, non è necessariamente fuori luogo, al contrario, se espressa con educazione e sincero interesse, può essere letta come una manifestazione di apprezzata apertura mentale. In caso si sia invitati a cena, potremmo trovarci a consumare piatti abbastanza insoliti, che sarebbe bene almeno assaggiare.

 

Conclusioni

A coronamento di questo piccolo excursus sul Sudafrica e sulle opportunità di business che presenta, mi preme ribadire quanto sia fondamentale affrontare detto mercato preparati, e come eventuali tempi lunghi e taluni presumibili buchi nell’acqua, siano da mettere in conto. Ciò detto, quando si riesca a fare breccia, trovando il giusto registro, capendo come rapportarsi con le persone ancora prima che con le aziende, obiettivo tutt’altro che banale, si possono, non solo coltivare concrete speranze di costruire un business interessante, e a lungo termine, ma anche di “utilizzare” il Sudafrica come piattaforma di partenza per la vendita in vari altri Paesi dell’Africa australe, che al Sudafrica fanno abitualmente riferimento, oltre che di aprire un canele virtuoso verso l’intero continente, beneficiando di vantaggi reputazionali, daziari e logistici.

Saverio Pittureri
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