Lo scenario corrente
Quello della globalizzazione, dei nuovi assetti geopolitici, e del riverbero che gli scenari emergenti possono avere sui commerci internazionali, sono fra i temi più discussi degli ultimi anni. Evidentemente, il micidiale “uno-due” procurato dalla pandemia prima, e dalla guerra fra Russia e Ucraina poi, che sta inesorabilmente spaccando il mondo in due (o più) fazioni, ha avuto, continua ad avere e verosimilmente avrà, un significativo impatto sugli scambi economici globali.
L’opinione di più parte degli analisti converge sul verosimile tramonto del modello di sviluppo, così come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi, con i pregi e i difetti che si trascinava da decenni. Ci riferiamo al mercato mondiale sostanzialmente globalizzato, orientato alla massima crescita dei profitti, al reperimento delle risorse laddove disponibili più facilmente e a minor costo, e alla possibilità, relativamente agevole e libera, di vendita i propri prodotti e servizi su scala planetaria.
E’ indubbio però, che ci troviamo anche di fronte ad un quadro molto fluido, e quello che sembra incontrovertibile oggi, non necessariamente continuerà ad esserlo, su un orizzonte di medio-lungo periodo. Possono cambiare i governi, possono accendersi o risolversi conflitti e dissonanze, e con essi mutare le alleanze, le convenienze, le armonie e le distanze. Viviamo un’epoca difficile e cruciale, dalla quale il mondo potrà uscire con un riconquistato assetto stabile di qualche genere o, viceversa, Dio non voglia, precipitare in un vortice realmente inquietante di ostilità e prove di forza.
Le prospettive plausibili
A qualunque deriva assisteremo, è pacifico che qualcosa cambierà anche nell’approccio economico strategico delle nazioni. Un esempio emblematico è rappresentato dall’approvvigionamento energetico europeo, che è stato appaltato, per decenni, pressocché interamente, ad un unico fornitore. A beneficio di questo rapporto, sono state edificate anche imponenti infrastrutture dedicate, e si è generata, nei fatti, una dipendenza perniciosa, come ora risulta chiaro a tutti. Immagino e spero, che deleghe monopolistiche di questo tipo, non avvengano più in futuro, non nei settori chiave.
Più in generale, le forme di governo e le scelte politiche, naturalmente hanno da sempre un impatto enorme, non solo sui sistemi nazionali, ma anche sulle possibilità e le opportunità per le singole aziende di aprirsi al mondo. Sia per il maggiore o minore controllo (ma talvolta anche sostegno) esercitato dal soggetto pubblico, in relazione ai diversi settori del sistema economico, come per la linea di condotta adottata dai governi verso gli scambi internazionali.
Grossolanamente, laddove prevalgano orientamenti protezionistici, diventa tutt’altro che agevole importare, così come la mancanza o la decadenza di accordi, ovvero l’insorgenza di barriere tariffarie e non o altri impedimenti, mortifica evidentemente le esportazioni. L’economia mondiale, al momento è, a seconda del grado di ottimismo con cui la si guarda, ove più ove meno, malata o convalescente,. La carenza di materie prime, l’inflazione, i contrappesi nazionali e comunitari, condizionano pesantemente la vita delle imprese, che devono imparare ad essere ancora più flessibili, tattiche e “opportunistiche”, di quanto già lo fossero prima.
Sul tavolo della già citata energia, che è il vero tasto sensibile, comune a tutti i Paesi, secondo logica, si dovrebbe giocare la partita più importante per il futuro. Da un lato, perché l’energia è un elemento vitale per tutte le società, quanto lo è l’ossigeno per un organismo vivente, dall’altro, in quanto l’emergenza climatica ci sta ricordando con crescente e drammatica frequenza, la necessità impellente di una sterzata collettiva e, per quanto già prima dell’inaugurarsi dell’attuale crisi, fosse estremamente difficile la ricerca di una sintesi condivisa, in qualche modo, su questo fronte, il dialogo dovrebbe auspicabilmente trovare un modo per riaprirsi. Spero sia chiaro a tutti, quale sia l’alternativa apocalittica, ad una mancata intesa, nel giro di pochi anni.
L’auspicio, tutt’altro che certo, è che un eventuale dialogo sul tema, veicoli anche una qualche distensione sui fronti politico e economico. L’Italia, è pressocché totalmente dipendente dalle importazioni, l’82% dell’energia consumata proviene da fonti fossili, la cui disponibilità interna è poco significativa, il che, in aggiunta alle altre considerazioni, costituisce un aggravio imponente sulla bilancia dei pagamenti. Un’eventuale conversione cospicua, verso le fonti rinnovabili, realisticamente impiegherebbe decenni per compiersi, e speriamo comunque venga avviata convintamente, quanto prima. Perciò, al momento, restiamo alla finestra, navigando a vista, dopo aver tamponato l’emergenza con accordi di transizione, in attesa di capire a quali Paesi produttori sia possibile e appropriato rivolgersi, per l’approvvigionamento a medio-lungo termine.
Spostandosi su uno scenario più ampio, i rapporti fra USA e Russia, non sono mai stati così tesi dalla fine della guerra fredda, e anche fra americani e cinesi non aleggia certo un’atmosfera incantata. Sono numerose le ragioni di attrito, alcune delle quali storiche, altre acuite negli ultimi anni. La più vistosa fra tutte, riguarda il primato economico mondiale che, salvo cataclismi, vedrà la Cina mettere inesorabilmente la freccia e conquistare la vetta. nei prossimi anni. Il che non è un risultato di prestigio fine a sé stesso, ma riversa effetti macroscopici sugli equilibri geopolitici, sul peso finanziario, sulle aree di influenza, in una parola, sul potere del Paese nel panorama planetario. Non meno rilevanti e delicate, sono le questioni legate a Taiwan, ai diritti umani, alla giustizia, alle istituzioni democratiche, sulle quali il mondo occidentale mostra decisamente una diversa sensibilità.
Il recente viaggio di Blinken, salutato con molte aspettative, ha portato, almeno ufficialmente, un esito quasi risibile. La conferenza stampa del segretario di stato statunitense, ha evidenziato la comune preoccupazione per il deterioramento della stabilità internazionale, per la crisi climatica, e la tensione condivisa verso una soluzione pacifica del confitto in Ucraina, ovvero decifrando il codice diplomatico, si sottende un sostanziale nulla di fatto. Da parte cinese, si è invece fatto sapere, nell’occasione, curiosamente, con molta più trasparenza, come i rapporti siano al punto più basso dal 1979. Non dobbiamo fasciarci la testa, non preventivamente almeno, e alla suddetta missione è realistico ritenere seguiranno altri contatti, magari più proficui ma, al momento, lo stato dell’arte è quello descritto. Senza dimenticare che gli investitori cinesi detengono oltre il 10% del debito pubblico americano, è questo non è un dato trascurabile sui rapporti bilaterali.
Nella sua posizione di leader commerciale, da un lato, la Cina ha ovviamente interesse a mantenere uno status quo vantaggioso e pacifico, dall’altro il suddetto dualismo con gli USA, che prima di tutto è culturale, l’ha portata ad un riavvicinamento, che sembrerebbe più speculativo che ideologico, con la Russia. Dopo che, l’asse sino-russo si era molto annacquato, fin dai primi anni ’70, da quando cioè i due grandi Paesi, allora entrambi comunisti, affievolirono gradualmente le relazioni, formalmente per dispute sui confini ma, verosimilmente, anche per dissensi profondi di respiro internazionale. In questa fase, è chiara convenienza di entrambi (ma con palese supremazia cinese) implementare uno scambio di energia a basso costo in una direzione, e prodotti ad alto valore aggiunto in direzione opposta.
Oggi, in comune, oltre agli interessi peculiari, hanno l’obiettivo strategico di un nuovo ordine mondiale, che disarcioni gli USA dall’egemonia geopolitica, e il dollaro dal trono delle valute di riferimento per gli scambi mondiali. Sotto l’egida di questa aspirazione, potrebbero trovare consensi trasversali anche in Paesi molto lontani, in ogni senso, e senza particolari simpatie verso un’eventuale diarchia sino-russa, i quali darebbero un appoggio, più che altro, nel nome dell’antico assunto che “il nemico del mio nemico è (magari temporaneamente) mio amico”. Paesi del sud del mondo perlopiù, spesso iper-indebitati con le superpotenze, che, a parole, sentono dibattere di lotta globale alla povertà, ma non vedono alcuna inversione di tendenza concreta, rispetto allo sfruttamento di una posizione di forza, da decenni.
Per altro, la stessa Cina, ha visto opacizzarsi notevolmente l’immagine di grande Paesi in cammino, sul sentiero di un lento, ma inesorabile sviluppo democratico, che aveva costruito negli anni ’90 e 2000, con le aperture all’occidente, le conquiste sociali, la prepotente ascesa della borghesia nel Paese, e la conseguente diffusione di una forma di consumismo su larga scala. È invece, tutt’ora, ben consolidata la reputazione di “fabbrica del mondo”, e di Paese il cui PIL cresce in modo assai robusto (seppure oramai ben lontano, per ragioni tecniche e congiunturali, dagli aumenti a due cifre conosciuti in un recente passato).
Certamente, rimane un Paese decisamente lungimirante in termini strategici, tanto che, da almeno due decenni, sta proponendo una forma di “neocolonialismo” economico-finanziario, in Asia e Africa soprattutto, dove acquista materie prime, spesso con formule di countertrade, ovvero pagandole con grandi opere, infrastrutture, edificazioni, e generazione di posti di lavoro. Ma è già andata anche oltre, considerando come sia più che probabile, la prosecuzione della progressiva china di aumento dei costi in patria, che renderà inesorabilmente meno competitiva la produzione domestica, nei prossimi anni. Con tale orizzonte la Cina ha cominciato a organizzare, fin d’ora, impianti produttivi nei suddetti Paesi, pronti ad essere potenziati all’occorrenza.
In sintesi, la descritta marcata polarizzazione, come detto, ancora piuttosto fluida, sta producendo un effetto domino che tende a spostare i singoli Paesi, ovvero gli agglomerati di Paesi omogenei, sotto l’ombrello dell’ascendente di una o l’altra grande potenza o coalizione, in base agli accordi storici postbellici, alle aree geografiche, alle affinità politiche e culturali, ma più di quanto non si possa pensare anche ad un vero o presunto tornaconto economico, secondo quanto parzialmente e velocemente illustrato in questo articolo.
La conseguenza più congrua a questo scenario, condurrebbe pertanto a pensare ad una futura globalizzazione “spezzettata”, come una specie di Pangea commerciale che si sia frammentata nei diversi continenti (non corrispondenti esattamente a quelli geografici), i quali faticheranno a dialogare fra di loro, e preferibilmente intratterranno rapporti con gli altri componenti del proprio “pezzo”.
Conclusioni
Le prospettive esposte in questo scritto, comunque andranno a declinarsi, nei prossimi mesi e negli anni, come ovvio, in buona parte, passeranno sopra le nostre teste, senza alcuna possibilità di intervento e, talora, purtroppo, potranno persino travolgere alcune delle nostre imprese, come un uragano. Vorrei porre tuttavia l’accento su taluni suggerimenti per l’approccio individuale ai mercati esteri, fattore sul quale, per diversi aspetti, manteniamo invece un certo margine di manovra, che dipende dalla nostra reattività e capacità di adeguamento, già nel breve e, a maggior ragione, nel lungo periodo.
Il primo è quello di porsi in modo flessibile verso l’esplorazione di mercati “minori” accoglienti, e le opportunità che, magari, in passato, abbiamo sottostimato, valutato troppo difficili e remote, o addirittura folcloristiche, in quanto “sazi” delle nostre destinazioni consolidate e redditizie.
Il secondo è quello di non dare più per scontati mercati “saturi”, e perseverare, anche ove non avessimo ottenuto riscontri incoraggianti, poiché si stanno presentando, non di rado, occasioni in cui, i riassetti in corso, portano gli attori di un determinato ecosistema, a non fidarsi più di fornitori (magari orientali), che pur garantendo un prezzo di base competitivo, non riescano più a rispondere ad alcuni requisiti, di tempi e costi di consegna, continuità, assistenza, ecc.. e possono quindi preferire rivolgersi (o tornare) a partner europei.
Il terzo ed ultimo suggerimento, che esploro in questa sede, concerne i cosiddetti Paesi “ostici”, nei quali, il coacervo degli elementi macroscopici, sinteticamente illustrati nei paragrafi precedenti, possa avere un peso rilevante. In tale frangente operativo, è opportuno non farsi disarmare dalle apparenti (o spesso oggettive) difficoltà, poiché, con un po’ di intraprendenza e capacità tecnico-burocratica di districarsi in un percorso ad ostacoli, e perché no, di relazione interculturale, possono comunque aprirsi nicchie e canali di approccio estremamente interessanti, diversi a seconda dei settori e dei mercati, nei quali, evidentemente incontreremo poca o nessuna concorrenza diretta.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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