Il quadro generale

Le catene di fornitura tradizionali, stanno cercando un nuovo assetto, dopo il susseguirsi di eventi avversi degli ultimi anni, che ha dato luogo a una vera e propria tempesta perfetta. Il combinato disposto fra scorie pandemiche e guerra in Ucraina, ha prodotto un corto circuito planetario che, nel breve periodo, ha messo in grave difficoltà un gran numero di imprese. Nel panorama italiano lo shock causato da carenza di materie prime e prodotti intermedi, e prezzi alle stelle sta tutt’ora riverberando significativamente sulle attività produttive.

Nell’anno in corso, parrebbero farsi strada alcuni timidi segnali di inversione di tendenza, per l’allentamento di alcune tensioni, in modo particolare si va stabilizzando il mercato dell’energia, che ha condizionato, ampiamente e trasversalmente, le economie e gli scambi internazionali, sebbene i noti grandi rischi, aleggino tutt’ora sulle nostre teste, e gli sforzi diplomatici in corso non paiano riscuotere grandi successi. In altre parole, in qualche modo, stiamo prendendo le misure a questo sopravvenuto ecosistema così precario e alterato, ove nuovi grandi cambiamenti futuri sono tutt’altro che scongiurati.

 

I trend che si stanno evidenziando

La domanda mondiale è vista in generale netto declino, soprattutto a capo dei paesi più avanzati, appesantiti dall’inflazione e da politiche monetarie restrittive, nonché dai numerosi sovranismi, che danno origine a maggiori ingerenze nell’economia, con effetti distorsivi sul libero scambio. Detta flessione non viene sufficientemente compensata dalla crescita delle economie emergenti, e si prevede possa conoscere una stagione di rinascita solo dal 2024, che potrebbe riproporre ritmi di crescita globali simili a quelli pre-covid.

I paesi emergenti, per la verità, rispondono in modo disomogeneo alle circostanze complesse che attraversano i Paesi avanzati con cui si relazionano. Fra di essi, quelli dell’area asiatica, è altamente probabile che continueranno a costituire la locomotiva economica preminente, componendo, come aggregato, quasi un terzo del PIL planetario.

Il venir meno di grandi player mondiali nelle catene di fornitura essenziali, per materie prime e prodotti intermedi, ha stimolato un riassetto complesso, tutt’ora in corso. Alle volte, sfociato con l’identificazione di nuovi partner, altre, quando possibile, con la sostituzione di prodotti. Grazie a tale reazione resiliente, i numeri complessivi del 2022, sono stati meno catastrofici di quanto si potesse ipotizzare, considerando anche che molti mercati, hanno potuto beneficiare di un “rimbalzo post-pandemico”, per quanto pesantemente condizionato.

In questo quadro, si inserisce anche un cambio della geografia degli investimenti. Nei numeri, la globalizzazione parrebbe non frenare, quanto piuttosto cambiare e spostare i valori da un’area all’altra. Indubbiamente il contesto eccezionale, ha funzionato da catalizzatore, ma non va dimenticato come si sia innestato su un processo fisiologico che, ogni 10 anni, vede muoversi almeno il 10% del peso economico, fra le varie aree mondiali. Certamente, il suddetto quadro politico, impatta anche sullo scambio tecnologico, decelerando fatalmente il progresso globale, con ovvie ricadute sull’economia.

Oggi si parla molto di “reshoring” o di “derisking”, ma anche di “nearshoring” e “backshoring”, per indicare una tendenza a spostare le produzioni verso altre destinazioni, ovvero riportare in patria la filiera produttiva, con l’obiettivo di ridurre i rischi di investimento all’estero, per embarghi, ostacoli tariffari e non, di varia natura, ma senza ripartire da zero. È poco realistico però, il teorema secondo il quale le aziende italiane avrebbero convenienza a riportare la produzione entro i confini nazionali, per una lunga serie di deficit competitivi non risolti, il primo dei quali è il costo del lavoro, che rimane del 400% più elevato che in Cina.

Ed è proprio la Cina, che rimane, al momento “la fabbrica del mondo”, a costituire il metro di paragone più eloquente. A detto riguardo, le aree maggiormente nel mirino, in questo momento, sono quelle del Mediterraneo meridionale, del Far East e dell’America latina. In modo particolare, il Messico (soprattutto per le aziende americane), dove il costo del lavoro è mediamente inferiore del 42% rispetto alla Cina, il Vietnam dove si attesta sul 54% in meno e si registra, da alcuni anni, un miglioramento dell’ecosistema business davvero stupefacente, e per quanto riguarda le imprese europee, certamente la Romania, ove il costo del lavoro supera quello cinese solo del 36%, con enormi vantaggi logistici. In tutto questo, occorre non dimenticare anche l’aspetto della sostenibilità ambientale che può comportare gravi ricadute reputazionali, di cui le impese sono chiamate a tenere debito conto.

Il trend verso una nuova normalizzazione, che registra anche un certo assestamento nei cambi valutari, dovrà però superare diversi colli di bottiglia non banali, nel prossimo futuro, rimarcati da alcuni indicatori di incertezza, su scambi, investimenti, produzione manifatturiera e aumento di barriere doganali, che permangono su livelli di guardia, sebbene meno allarmanti di quelli registrati negli ultimi 3 anni. A generare una forma di zavorra contribuisce anche la strategia di rialzo dei tassi sia della BCE che della FED americana, che continua a costituire un freno all’accesso al credito, ai consumi e agli investimenti.

 

Energia e commodities

Come si accennava, stiamo assistendo ad una progressiva stabilizzazione anche sul fronte dello stress energetico. Da molti mesi, è in atto un trend di rientro del prezzo del brent, dovuto a dinamiche piuttosto complesse e articolate, fra le quali, tuttavia, la ricostituzione delle scorte e il maggior coinvolgimento di alcuni paesi produttori, sono sicuramente preminenti.

Il valore di scambio medio, è ancora poco al di sopra a quello percepito come storicamente di equilibrio, intorno ai 70 dollari al barile, e sconta le perduranti deformazioni di mercato dovute, da un lato alla redistribuzione dei flussi, con particolare riferimento al petrolio russo, che pesa per l’11% dell’intera quota mondiale, e dall’altro dalle decisioni di arroccamento protettivo dell’OPEC.

Anche il prezzo del gas naturale si è calmierato sensibilmente, rispetto ai picchi, superiori ai 330 euro/mwh, e sebbene sia altamente improbabile, per varie ragioni strutturali, che torni ai 20 euro euro/mwh o meno, pre-crisi, quantomeno pare si siano trovati nuovi equilibri e efficaci contrappesi per galleggiare fra i 30 e i 40 euro/mwh attuali, con una prospettiva di teorica accettabile stabilità, nel medio periodo.

I prezzi delle commodities non energetiche, invece, restano ancora molto sopra i valori con cui le imprese si confrontavano fino a pochi anni fa, in un quadro d’insieme frammentato e eterogeneo. Se si segnalano alcune riduzioni da un lato, vi sono anche nuovi incrementi dall’altro. Fra i fattori eclatanti, il recente naufragio dell’accordo sul grano fra Russia, Ucraina, Turchia e altri attori internazionali, è prevedibile che avrà importanti riverberi su tutta la relativa filiera. Ad ogni buon conto, vi è un panorama piuttosto frastagliato, e permangono vari altri stimoli, ad esempio legati alle aspettative di crescita per alcune aree del mondo, soprattutto emergenti, e la conseguente domanda alimentata da queste, di materie prime.

 

Come possono muoversi le imprese italiane

Evidentemente, in questo periodo, per la catena di fornitura, la legge dominante è quantomai quella dettata dal mercato, ovvero dall’incontro delle curve fra la domanda e l’offerta. Per cui, la carenza di una determinata materia prima, a cui si sommano, spesso, manovre speculative, obbliga a mettere in conto un aumento dei costi e, talora, una difficile reperibilità. Date le previsioni, sopra viste, di persistenza nel medio termine, di tale andamento, è auspicabile che le aziende si attrezzino, per quanto possibile, per ammortizzare e prevenire le eventuali perturbazioni all’orizzonte.

In primo luogo, è consigliabile essere flessibili e disponibili a cambiare fornitori, in funzione della disponibilità degli stessi ad accettare, non solo prezzi più competitivi, ma anche accordi maggiormente equilibrati e tutelativi. Per esempio, è consigliabile pianificare gli acquisti con un orizzonte a medio-lungo termine, opzione che in condizioni normali di mercato, è fisiologicamente molto gradita anche al fornitore. Evidentemente, il fornitore che preferisca operare in modo rapace e opportunistico, in questa fase, rifuggirà da questa proposta, e ci darà in tal modo una misura della sua affidabilità come partner.

La pianificazione può prevedere la durata, i volumi minimi, le tempistiche, i prezzi e le possibili escursioni degli stessi nel tempo, nonché le condizioni generali, dell’accordo di fornitura. A tal proposito, si può ricorrere ad un contratto vero e proprio, che prevenga i conflitti e regolamenti in modo articolato il rapporto. In modo particolare, sui prezzi, si può prevedere un’indicizzazione determinata o una eventuale rinegoziazione, solo in caso di superamento di un certo limite di tolleranza dei costi all’origine. Esistono anche indici e parametri di riferimento internazionali, per alcuni settori, che sono attendibili e oggettivi, a cui rimettersi.

Come bilanciamento alle suddette clausole, si può anche inserire il risarcimento di un danno procurato, in caso di mancata consegna, o comunque per l’inadempimento degli obblighi contrattuali essenziali, in modo da essere meno ricattabili, nel caso in cui il fornitore cambiasse idea sui prezzi o sulle consegne, e volesse imporre tali nuove condizioni unilateralmente, per aver trovato magari un cliente disposto a pagare di più. Evidentemente, in caso di controversie particolarmente spinose sui prezzi, in presenza di un contratto ben fatto, si può anche prevedere una figura terza, imparziale, che determini i nuovi prezzi sulla base di valori equilibrati di mercato.

Una volta definito un contratto, resta tuttavia altamente raccomandabile, un largo uso del buon senso, soprattutto in un momento come questo, ove un eventuale braccio di ferro con il fornitore ci potrebbe danneggiare in modo gravissimo, con ricadute imprevedibili. È quindi una pratica lungimirante, quella di costruire un rapporto meno asettico con il fornitore stesso, possibilmente fargli visita e coinvolgerlo, per quanto possibile, psicologicamente ed emotivamente nel nostro progetto. Tale “fattore umano” non ci garantisce certamente sonni tranquilli, ma insieme ad un buon contratto, in linea di massima, può aiutare a prevenire ostacoli e preservare una relazione mutualmente soddisfacente.

Saverio Pittureri
Easy Trade

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