L’impatto sugli scambi internazionali per le aziende italiane dopo l'elezione di Trump
Con l’elezione di Donald Trump alla presidenza USA, le dinamiche politiche ed economiche globali si stanno già vistosamente ridefinendo. Le sue annunciate scelte protezionistiche, il ritiro da accordi commerciali globali e il rafforzamento della competizione con potenze come la Cina e l’Unione Europea, molto probabilmente andranno a produrre un panorama internazionale abbastanza complesso per le aziende italiane. Come spesso accade in queste circostanze, detto scenario rappresenta una sfida e un’opportunità al tempo stesso, a seconda dei prodotti, dei mercati e delle capacità personali, ovviamente.
Divisioni politiche e la nuova era di blocchi economici
Come noto, Trump ha promesso un’agenda centrata su “America First”, e poiché si tratta del secondo e ultimo mandato, come ogni presidente che l’ha preceduto, tenderà verosimilmente ad attuare il programma in modo deciso e con meno compromessi, rispetto al primo incarico. La sua visione di politica commerciale tende a polarizzare le relazioni economiche globali, favorendo magari alleanze bilaterali piuttosto che grandi accordi multilaterali come il Trans-Pacific Partnership (TPP). Tutto ciò implicherà indubbiamente il rafforzamento del regime daziario, come già avvenuto in passato con l’acciaio e l’alluminio, ma non sono da escludersi anche blocchi e quote. Si tratta ovviamente di provvedimenti penalizzanti per gli esportatori verso gli Stati Uniti.
Fin dai tempi di Barack Obama, gli USA stanno cercando di limitare il proprio impegno in quadranti geopolitici diversi da quello dell’Indo-pacifico, nella logica del celeberrimo “Pivot to Asia” e del contenimento della Cina. In quest’ottica rientrano anche gli Accordi di Abramo, che puntano a fare di Israele il garante ultimo della sicurezza in Medio Oriente in chiave anti-Iran e al posto degli USA. Non a caso, uno dei più che probabili obiettivi di Hamas (e dell’intero “asse della resistenza” ) era quello di stroncare i processi per la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele nel quadro più ampio del suddetto ampio progetto di distensione diplomatica fra i paesi arabi e Tel Aviv, già concretizzato nelle relazioni avviate fra Israele e Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Marocco e Sudan (per altro a distanza di oltre un anno il piano è evidentemente congelato ma, per il momento, nessuno dei paesi arabi, che a livello ufficiale sostengono i palestinesi, si è defilato ufficialmente dall’intesa, e neanche Riad esclude un suo futuro ingresso).
L’escalation iniziata il 7 ottobre 2023 è stato invece un duro risveglio per i velleitari disegni americani, giù minati dal rovinoso ritiro dall’Afghanistan ad agosto 2021, il rinnovato coinvolgimento degli USA in Medio Oriente, agevola ovviamente i progetti russi rispetto all’Ucraina, nel contempo la Cina che si era adoperata per il disgelo fra Iran e Arabia Saudita nel 2023, ha preferito prendere le distanze dal conflitto, probabilmente perché le sabbie mobili diplomatiche e il grande sforzo finanziario, che stanno travolgendo gli americani, nella regione, oltre ai russi, lubrifica gli interessi cinesi nel Pacifico e più in generale nell’intero pianeta.
La suddetta frammentazione politica fatalmente condurrà alla radicalizzazione dei blocchi economici distinti già ampiamente delineati: grossolanamente da un lato gli Stati Uniti con alleati strategici selezionati, dall’altro la Cina che continuerà a espandere la sua influenza attraverso la Belt and Road Initiative. L’Unione Europea, nel frattempo, dovrebbe cercare di rafforzare la propria autonomia strategica e commerciale, diversificando mercati e alleanze, in un equilibrio tutt’altro che banale, dato lo stratificarsi di tensioni, i summenzionati conflitti irrisolti e l’assorbimento ingente di risorse per emergenze assortite, non ultime quelle climatiche ed energetiche.
L’organismo dell’ONU stesso, subisce lo scacco generato dalla possibilità di brandire veti incrociati in seno al Consiglio di sicurezza. I membri permanenti sono USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito, ed è facile intuire come, in questo momento, gli orientamenti su vari temi cruciali divergano drasticamente. La struttura rispecchia ancora gli equilibri di forza usciti dalla Seconda guerra mondiale e, non a caso, paesi emergenti come Brasile e Sudafrica chiedono che venga riformato drasticamente.
Impatto sugli scambi per le aziende italiane
Le aziende italiane, notoriamente orientate all’export, saranno direttamente influenzate da tutti questi cambiamenti. Gli Stati Uniti sono uno dei principali mercati di destinazione per il made in Italy, con settori come moda, design, agroalimentare e macchinari industriali che dominano l’export. Qui di seguito, a titolo esemplificativo, alcune implicazioni pratiche:
1. Settore agroalimentare: Prodotti come il vino, il formaggio e l’olio d’oliva, che rappresentano l’eccellenza italiana, potrebbero subire l’impatto di dazi più alti. L’esempio delle tariffe imposte durante l’amministrazione Trump sui formaggi europei (tra cui il Parmigiano Reggiano) è ancora vivo nella memoria degli esportatori italiani.
2. Macchinari industriali: L’Italia esporta una vasta gamma di macchinari industriali verso gli Stati Uniti, soprattutto nel settore manifatturiero e agricolo. Eventuali restrizioni o tariffe aumentate potrebbero rendere questi prodotti meno competitivi rispetto ai concorrenti asiatici o statunitensi.
3. Moda e lusso: Il settore della moda e del lusso, da Gucci a Prada, potrebbe subire meno impatti grazie alla sua resilienza e al posizionamento premium. Tuttavia, un rallentamento dell’economia statunitense o una maggiore concorrenza interna potrebbero ridurre la domanda per beni di alta gamma.
Opportunità alternative e diversificazione
Da quanto sopra, ne deriva che le aziende italiane, mantenendo comunque una elevata dinamicità e reattività agli scenari mutevoli, dovranno necessariamente guardare a nuovi mercati e rafforzare la loro presenza in regioni emergenti. Sempre per esemplificare:
• Cina e Sud-Est asiatico: Nonostante le tensioni USA-Cina, questi mercati rimangono una straordinaria opportunità per i prodotti italiani di alta qualità, ancora in buona parte inespressa, grazie alla crescente classe media e alla domanda di beni di lusso e agroalimentari.
• Paesi del Golfo e Medio Oriente: Con l’espansione di investimenti in infrastrutture e consumi di lusso, il Medio Oriente rappresenta un altro target importante, che viene già abbastanza esplorato dalle imprese nazionali ma vi sono grandi margini di crescita.
• Africa e America Latina: Anche se meno maturi, questi mercati offrono tuttavia opportunità per i settori agroalimentare e manifatturiero, in particolare, ma non solo. Occorre, senza dubbio affrontarli con piena consapevolezza, in ogni senso, e professionalità elevata.
Strategie per le imprese italiane
Per affrontare la nuova realtà tratteggiata, le aziende italiane dovrebbero anche rinnovare le strategie, evidentemente, studiare e, quando necessario, arruolare soggetti idonei a svilupparle.
• Adattamento ai mercati locali: La modifica di prodotti e strategie di marketing per adattarsi a normative e gusti locali, presenta ostacoli non sempre banali. In modo particolare per chi, fino ad oggi, si sia confrontato esclusivamente o prevalentemente con contesti “occidentali”.
• Digitalizzazione e e-commerce: L’espansione della presenza digitale, per raggiungere i consumatori direttamente, riducendo la dipendenza dai distributori locali, è un’altra leva di grande importanza che per necessità o semplicemente per integrazione deve essere necessariamente esplorata.
• Partnership strategiche: La collaborazione con altre aziende italiane oppure di Paesi diversi per proporre soluzioni di filiera, sfruttare le rispettive qualità in modo sinergico e condividere costi e rischi dell’internazionalizzazione.
Conclusione
L’elezione di Trump segnerà un’epoca di maggiore incertezza e di crescente frammentazione nelle relazioni economiche globali. Per le aziende italiane, tale cambiamento implicherà sfide significative ma anche non trascurabili chances di diversificare e innovare, con possibili ricadute virtuose generali. I settori tradizionali del made in Italy, se supportati da strategie lungimiranti e adattive, potranno quasi sicuramente continuare a prosperare benché in un panorama economico in profonda trasformazione, magari mettendo a fuoco nuove tecniche, orientandosi verso mercati più ricettivi, e sviluppando maggiori competenze rispetto al passato.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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L'importanza di evidenziare i vantaggi per l'acquirente e la confusione con l’esaltazione delle caratteristiche.
Capire e utilizzare la differenza fra caratteristiche e vantaggi
Per tristi ragioni anagrafiche, ho perso il conto su quante presentazioni e trattative mi sia capitato di vedere nella vita. In molte di queste soprattutto, in ambito internazionale, ho visto e continuo a vedere un errore esiziale, in cui inciampano, in buona fede, anche persone con molta esperienza, equivoco che, non di rado, sta alla base del naufragio dell’opportunità di vendita. Quello di magnificare le caratteristiche, talora le unicità del proprio prodotto e/o servizio, senza trasferire con altrettanta forza il beneficio e il vantaggio che dette peculiarità garantiscono all’acquirente. Un po’ come se il cliente dovesse partecipare emotivamente al lucore abbagliante tour court, dell’argenteria che gli viene srotolata di fronte, cosa che realisticamente non accade mai. Il cliente è sostanzialmente impermeabile allo sfoggio dei nostri galloni, se e finché non gli diamo un chiaro motivo per apprezzare il riverbero positivo che tale presunto coacervo di meraviglie esercita per lui.
È evidente che in qualche occasione, detta orgogliosa sciorinata di virtù possa impressionare l’interlocutore e indurlo a dedurre autonomamente che possa trarre un tornaconto dall’acquisto, ma sarebbe preferibile non delegare questo processo, quanto piuttosto gestirlo e indirizzarlo efficacemente. Per forza di cose noi conosciamo molto meglio ciò che proponiamo rispetto a chi ascolti e se siamo stati bravi nel fare i compiti a casa, dovremmo anche sapere cosa possa apprezzare maggiormente l’interlocutore.
I vantaggi, per capirci, sono la traduzione di alcune caratteristiche in valore aggiunto, che si può esprimere in termini assoluti e/o rispetto all’acquisto di un prodotto o servizio concorrente, ovvero come certi requisiti o proprietà intrinseche, soddisfino un bisogno reale, migliorino l’attività, i guadagni, facciano risparmiare tempo o risolvano un qualsivoglia problema specifico del destinatario. Ricordandoci che al cliente, in linea di massima, non appassiona granché il dettaglio tecnico del come un determinato effetto, processo o caratteristica si generi, quanto la misura del beneficio che ciò garantisce al detentore.
Ad esempio, supponiamo di vendere uno smartphone con una fotocamera da 108 megapixel. La caratteristica è il numero di megapixel della fotocamera, ma il vantaggio per il cliente è la possibilità di scattare foto nitide e dettagliate anche in condizioni di scarsa illuminazione, immortalando momenti speciali con una qualità quasi professionale, cosa che dovremmo sforzarci di dimostrare anche in pratica. Quando non possibile sul posto e sul momento, dimostrare l’utilità illustrata, si può ricorrere a testimonials qualificati che spieghino i motivi della loro scelta e ne mostrino gli esiti.
In termini ideali sarebbe molto incisivo poter proporre un giovamento esclusivo, che lo sia realmente (meglio) o che possa essere perlomeno percepito come tale, per carenze di comunicazione altrui. Tale leva potentissima, negli USA è stata formalizzata dai guru del marketing come “unique selling proposition”, evidentemente per funzionare deve essere reale e credibile, oltre che, come si direbbe per un esperimento scientifico, replicabile con lo stesso risultato, a tal fine una succitata dimostrazione, coronata da successo, risulta imbattibile in termini di impatto.
Perché i vantaggi vendono?
Credo sia piuttosto intuibile ma, per maggiore ortodossia espositiva, andiamo a “spacchettare” alcune delle ragioni cruciali.
1. Focalizzarsi sui Bisogni del Cliente: Mettere al centro i vantaggi permette, oltre a tutto il resto, di connettersi emotivamente con l’acquirente. Questo approccio rende la proposta commerciale più persuasiva e la nostra persona più affidabile, l’insieme in qualche modo crea un “legame”. Caratteristica sempre importante, ma basilare laddove il processo di acquisto sia guidato proprio da pulsioni eminentemente emotive.
2. Differenziarsi dalla Concorrenza: In molti settori, i prodotti offerti dai vari concorrenti possono essere molto simili in termini di caratteristiche tecniche. La capacità di comunicare efficacemente i vantaggi unici del proprio prodotto o servizio è ciò che permette di emergere in un mercato affollato e dare un significato a numeri e tecnicismi spesso anonimi.
3. Facilitare il Processo Decisionale: Quando i vantaggi sono chiari e ben esposti, il cliente distingue e riconosce più facilmente il valore del prodotto, riducendo le incertezze e accelerando il processo decisionale. Un consumatore, ma anche un cliente business, che comprenda appieno i benefici dell’acquisto è più propenso a procedere con la transazione e a superare eventuali dubbi che naturalmente insorgono.
Come evidenziare efficacemente i vantaggi per l’acquirente?
1. Cercare di capire il cliente e conoscerne il contesto economico e culturale: Questo è uno dei compiti più complessi per le frequenti e profonde dissonanze interculturali che ci devono far sviluppare capacità di indagine, di elaborazione analitica ed empatia. Solo svolgendo bene questa parte si possono evidenziare i vantaggi realmente apprezzati per quel mercato e magari per quel soggetto specifico, in campo internazionale.
2. Utilizzare un linguaggio chiaro e trasferire un senso di immedesimazione: I vantaggi devono essere comunicati in modo semplice e diretto, non deve esistere la sensazione di un “non detto” insidioso, utilizzando un linguaggio che metta a proprio agio l’acquirente. Attivate i vostri neuroni a specchio!. Evitate il più possibile bizantinismi gratuiti e focalizzatevi su come il prodotto possa cambiare in meglio, concretamente, certe situazioni per il cliente.
3. Raccontare Storie di Successo: Le testimonianze di altri clienti che hanno tratto beneficio dal prodotto o servizio sono uno strumento potente, soprattutto se si stratta di soggetti identificabili, verificabili, e ancor meglio se noti all’interlocutore e/o con bisogni analoghi. Queste storie rendono i vantaggi tangibili e credibili, creando un senso di fiducia e autenticità.
4. Visualizzare i Vantaggi: Video dimostrativi, infografiche e immagini possono rendere i benefici più visibili e facili da comprendere. L’uso di esempi pratici e dimostrazioni visive aiuta il cliente a mettere a fuoco come il prodotto o il servizio, possa integrarsi nella sua attività o nella sua vita quotidiana. Quando possibile (e quando vero) possiamo mostrare anche l’uso che noi per primi ne facciamo.
Conclusioni
Evidenziare i vantaggi per l’acquirente è una strategia essenziale per il successo di qualsiasi attività di vendita, non limitiamoci a elencare le caratteristiche, per quanto brillanti e particolari. Non si tratta solo di convincere il cliente a comprare ma, guardando in prospettiva, di costruire un rapporto di fiducia, dimostrando un reale interesse nel soddisfare le sue aspettative ed esigenze. Solo così il processo di vendita si trasforma in una esperienza positiva e appagante, anche a medio e lungo termine, che, per altro, favorisce la fidelizzazione e il passaparola. In un mondo in cui le informazioni e le alternative sono infinite, mettere al centro i vantaggi, nel modo più immediato e comprensibile per il cliente, e dimostrarne la veridicità in pratica, risulta quasi sempre la chiave per fare la differenza.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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Riglobalizzazione: un nuovo capitolo dell'economia globale?
La globalizzazione è stata, per decenni, una delle forze più potenti che hanno modellato l’economia mondiale e disposto una sorta di ordine internazionale liberale, paradossalmente però, è stata caldeggiata anche da un fronte ideologico sostanzialmente antitetico con aneliti di giustizia e riequilibrio sociale. In ogni caso, è parsa a lungo come una deriva ineluttabile quanto irreversibile, e pur con molti limiti e distorsioni, per molto tempo, ha mostrato ai più il bicchiere mezzo pieno, perché si sono moltiplicati i ricavi e nel contempo si sono resi accessibili beni e servizi di ogni tipo, almeno teoricamente, ovunque.
Dopo la prima fase di corsa a perdifiato incontrollata e di omogeneizzazione dei consumi tout court, non sono mancati numerosi assestamenti e adattamenti “glocal” che parevano, in qualche modo, fare quadrare il cerchio sulle inevitabili critiche che cominciavano ad affacciarsi. Nell’immaginario di molti, sull’onda degli scambi, sono quasi caduti i confini geografici e si sono contaminati quelli culturali, benché le diseguaglianze all’interno delle società non si siano certo smussate, anzi. Per certo, si sono generate interdipendenze granitiche fra i Paesi e, quasi fisiologicamente, complice anche il ruolo politico e militare centrale, il dollaro USA si è eretto a valuta mondiale, sostenuto dalla supremazia geopolitica statunitense, supremazia statunitense che, a sua volta, ha sostenuto il dollaro, in uno strano circolo vizioso, veicolato anche una solida egemonia culturale, per decenni, appunto.
Un primo violento risveglio dall’illusione dottrinale dell’inesauribilità di questa spinta, c’è stato con l’11 settembre, poi, dopo il duplice corto circuito della Brexit e dell’elezione di Trump del 2016, in molti, si sono chiesti se si sarebbe invertita la rotta, teoria che si è ulteriormente alimentata con il lo tsunami del covid, l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali, nonché con l’affermarsi, in tutto il pianeta, di nazionalismi a retrogusto marcatamente protezionistico, che stanno coinvolgendo non solo regimi “tradizionali” ma anche aree storicamente più fluide sul fronte politico. L’allargamento del principio di “non allineamento”, da parte del Sud del mondo, sottende un pianeta nuovamente diviso tra blocchi filosoficamente concorrenti, in cui il posizionamento si carica di significati complessi, certamente più estesi e ramificati di quanto proponga la narrativa semplicistica ampiamente diffusa.
Chiaramente, le suddette preoccupazioni geopolitiche sulle catene di approvvigionamento, per i settori strategici, hanno spinto i governi di vari Paesi a orientare le aziende affinché trasferiscano la produzione e l’assemblaggio nei propri territori o in quelli di stati amici, il cosiddetto reshoring e il nearshoring, tuttavia, pur se gli eventi ricordati hanno avuto un grande impatto, complessivamente parrebbe che il naturale sviluppo dei mercati, ad oggi, sia rimasto comunque più forte della suddetta volontà. In altre parole, numeri alla mano, la distribuzione globalizzata, della produzione economica e del commercio internazionale, si può dire rimanga solida, ed è altamente probabile che anziché un rientro nei confini “sicuri”, si stia piuttosto entrando una nuova fase, complessa e articolata che potremmo appunto chiamare “riglobalizzazione”.
Che cos’è, in sintesi, la Riglobalizzazione?
In breve, la riglobalizzazione rappresenta, in qualche modo, un rinnovato impegno per l’integrazione economica globale, ma con un approccio diverso, resiliente e plastico, che prevede cambiamenti nei meccanismi della globalizzazione che seguono i cambiamenti nell’ordine globale, ma anche con cambiamenti nel rapporto tra globalizzazione e ordine globale, che tutt’ora sono ben lungi dall’essere stabilizzati, anche per l’intersecarsi delle crisi belliche, climatica e energetica che non possono essere ignorate.
Citando grossolanamente Gramsci, il vecchio ordine è stato certamente lasciato indietro, ma un nuovo ordine chiaro non è ancora emerso. A lungo termine, non si tratta semplicemente di ritornare ai modelli di globalizzazione del passato con pesi rimodellati, ma piuttosto di reinventare il modo in cui le economie sono interconnesse, tenendo conto delle lezioni apprese dalle recenti riorganizzazioni geopolitiche e dalle tempeste economiche e sanitarie.
Accanto alle tradizionali istituzioni e alleanze sorte dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, alcune potenze autocratiche, per esempio, hanno ora cominciato a costruire o rafforzare organismi di aggregazione propri e distinti, con lo scopo di offrire agli stati partner di tutto il mondo, nuove opzioni all’assetto conosciuto e ai valori che ad esso si associano. Non è chiaro però se, politicamente, la direzione prevalente si orienterà verso un sistema realmente difforme e maggiormente pluralista rispetto a quello noto, come sarebbe auspicabile, o piuttosto verso una leadership alternativa e/o parallela. Resta il fatto che tutti gli attori in gioco, vecchi e nuovi, mostrano una certa brama di arruolamento e una ricerca di consenso e convergenze, e che se la riglobalizzazione fosse effettivamente destinata ad affermarsi, prima o poi, tutti dovrebbero comunque confrontarsi e, in qualche modo, collaborare.
Le cause scatenanti più rilevanti, schematicamente
1. Pandemia di COVID-19: La pandemia ha evidenziato le vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali, spingendo le aziende e i governi a rivedere le loro strategie. Tuttavia, ha anche dimostrato l’importanza della cooperazione internazionale nella lotta contro una crisi globale, stimolando un rinnovato interesse per la collaborazione internazionale.
2. Rivoluzone Tecnologica: Le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, l’Internet delle cose (IoT) e la blockchain, stanno trasformando il modo in cui le aziende operano a livello globale sia per finalità predittive che operative, comunicative e persino decisionali. Queste tecnologie possono rendere le catene di approvvigionamento più efficienti e resilienti, facilitando una nuova ondata di integrazione economica. la mentalità tecnologica è quella delle interconnessioni globali ma anche dell’assimilazione. Parallelamente però c’è una netta e continua perdita di “biodiversità”, per quanto riguarda le culture, le lingue e le abitudini sociali in tutto il mondo, una perdita che è diventata una caratteristica cruciale dei processi di riglobalizzazione dell’alta tecnologia, e a tal proposito, non sono da sottovalutarsi, in prospettiva, rischi di concentrazione monopolistiche e autoreferenzialità. Occorrerà necessariamente un perimetro normativo adeguato e non è detto che possa essere sufficiente.
3. Sfide Ambientali: La crisi climatica richiede una risposta globale coordinata. La riglobalizzazione, almeno teoricamente, potrebbe facilitare la cooperazione internazionale necessaria per affrontare le sfide ambientali, promuovendo pratiche sostenibili e la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, nell’interesse di tutti.
4. Trasformazioni Geopolitiche: I cambiamenti nelle dinamiche di potere globale stanno spingendo le nazioni a cercare nuovi alleati e mercati. Ad esempio, la crescita economica dell’Asia e il crescente ruolo dell’Africa nell’economia globale stanno riorientando le rotte commerciali e le strategie di investimento.
5. Evoluzione demografica e culturale: la crescita della popolazione nel Sud del mondo e per contrappasso uno spopolamento nel Nord del mondo, trend previsto almeno fino alla metà del secolo, sta spostando ulteriormente gli equilibri tra produttività e consumo. Questo cambiamento, combinato con le migrazioni spinte da povertà, persecuzioni e clima, potrebbe influenzare le culture di tutto il mondo. E se, come previsto, si verificasse successivamente un drammatico calo della popolazione globale a partire dal 2060 in poi, il panorama delle interconnessioni globali avrebbe grandi probabilità di essere nuovamente trasformato. In ultimo ma non meno importante, la religione che ha svolto e sta svolgendo un ruolo nodale nella politica dei regimi repressivi, in particolare nel mondo musulmano, ma non solo, e che viene brandita per unire, distinguere, giustificare in modo difficilmente confutabile.
Caratteristiche prevalenti della Riglobalizzazione
1. Resilienza delle Catene di Fornitura: A differenza della globalizzazione tradizionale, che spesso privilegiava la riduzione dei costi, la riglobalizzazione pone maggiore enfasi sulla resilienza e la diversificazione delle catene di fornitura. Ciò include la creazione di capacità di produzione locali e regionali per mitigare i rischi. Una rivisitazione della già vista glocalizzazione, si spera più equilibrata.
2. Sostenibilità: La riglobalizzazione, pur con l’alea di incertezza ampiamente illustrata, parrebbe volere, o forse dovere, integrare obiettivi di sostenibilità ambientale ed economica. Le aziende e molti governi stanno effettivamente tentando di adottare pratiche più ecologiche e socialmente responsabili, riconoscendo che una crescita a lungo termine dipenda anche dall’equilibrio con l’ambiente.
3. Inclusività: Un aspetto chiave della riglobalizzazione, perlomeno nelle dichiarazioni d’intenti, è l’inclusività. Ovvero si cercherebbe di garantire maggiormente che i benefici della globalizzazione siano distribuiti più equamente tra i paesi e all’interno delle società, riducendo le disuguaglianze e promuovendo un reale sviluppo economico globale. Ai posteri l’ardua sentenza.
4. Innovazione e Tecnologia: L’adozione di nuove tecnologie è indubitabilmente al centro della riglobalizzazione. Le aziende stanno investendo in innovazione per migliorare l’efficienza operativa, ridurre i costi e rispondere meglio alle esigenze dei mercati globali.
Impatti potenziali della Riglobalizzazione
La riglobalizzazione, fuori di dubbio, ha il potenziale per stimolare una nuova fase di crescita economica globale, ma è una sfida non priva di rischi piuttosto importanti. La transizione verso catene di fornitura più resilienti e sostenibili potrebbe comportare costi iniziali elevati. Tuttavia, con un po’ di ottimismo, nel lungo termine, questi investimenti potrebbero portare a un’economia globale più stabile e sostenibile.
Inoltre, una riglobalizzazione inclusiva potrebbe contribuire a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali, promuovendo uno sviluppo più equilibrato di quanto avvenuto in passato. Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi, sarà fondamentale una cooperazione internazionale efficace e una governance globale che tenga conto delle diverse esigenze e interessi dei vari paesi, che oggi pare piuttosto lontana e che di rado si è verificata nella storia.
Conclusioni
La riglobalizzazione potrebbe rappresenta una risposta tutt’altro che semplice, ma stimolante e forse, nel lungo termine, con poche alternative realistiche, alle sfide e alle lezioni del passato recente, offrendo una visione per un futuro più sostenibile, resiliente e inclusivo. Sebbene la strada da percorrere sia complessa e richieda uno sforzo concertato da parte di governi, aziende e società civile, la riglobalizzazione, se sarà in grado di superare i rilevanti ostacoli che la attendono, potrebbe segnare l’inizio di un nuovo capitolo più umano e equo per l’economia globale.
Saverio Pittureri
Easy Trade Srl
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L'Opzione del "cumulo" per ottenere lo status di origine preferenziale di un bene
L’opzione del “cumulo” è un concetto fondamentale nel commercio internazionale, in particolare per quanto riguarda l’ottenimento dello status di origine preferenziale di un bene. Ovvero, in deroga alla regola della lavorazione sufficiente o trasformazione sostanziale un prodotto può acquisire comunque la qualifica di origine preferenziale tramite l’opzione del cumulo.
Questo meccanismo permette alle imprese di combinare materiali e processi produttivi provenienti da diversi Paesi, purché questi siano parte di un accordo commerciale che preveda il cumulo, per qualificare i loro prodotti come originari di una determinata regione o Paese. Di conseguenza, i prodotti possono beneficiare di tariffe preferenziali quando vengono esportati nei Paesi partner.
Che Cos’è il Cumulo?
Il cumulo, in altre parole, è una disposizione prevista negli accordi di libero scambio (ALS) e in altri accordi commerciali preferenziali che consente di considerare come originari i materiali e i processi produttivi provenienti da Paesi partner, anche se non realizzati interamente in un singolo Paese.
Esistono vari tipi di cumulo:
1. Cumulo Bilaterale: Consente di sommare i materiali e i processi tra due soli Paesi partner che hanno un accordo di libero scambio. I materiali originari di un Paese, incorporati in un prodotto ottenuto nel territorio di un altro Paese, sono considerati come originari di quest’ultimo, anche nel caso in cui non vengano eseguite operazioni tali da costituire una lavorazione sufficiente. E’ necessario tuttavia che la lavorazione eseguita vada oltre la soglia minima.
2. Cumulo Diagonale: Coinvolge tre o più Paesi partner che laddove gli accordi di libero scambio lo prevedano, permettendo il cumulo di materiali e lavorazioni tra questi Paesi. Condizione necessaria è che tutti i Paesi coinvolti seguano le medesime regole di origine. Consente di considerare i territori dei Paesi che prevedono tale regola, come un unico territorio ai fini della determinazione dell’origine; ogni lavorazione effettuata in tali Paesi viene tenuta in considerazione per lo scopo.
3. Cumulo Regionale: Riguarda regioni economiche come l’Unione Europea, per quanto trovi applicazione pratica più frequente nelle aree in via di sviluppo, che godono delle tariffe agevolate daziarie secondo il regime doganale SPG, dove i materiali e i processi produttivi possono essere cumulati tra i membri della regione.
4. Cumulo Completo o Totale: Con questa opportunità si tiene conto di tutte le lavorazioni o trasformazioni subite da un prodotto nell’ambito territoriale di un accordo di libero scambio, senza che i prodotti utilizzati debbano necessariamente essere originari di uno dei paesi partner. Pur essendo il cumulo totale l’obiettivo finale del processo di armonizzazione, esso è attualmente operativo sostanzialmente tra i Paesi SEE (CEE, Islanda, Liechtenstein, Norvegia) e nei protocolli fra la CEE e i Paesi del Magreb (Tunisia, Marocco e Algeria). Fuori dall’ambito pan-euromediterraneo il cumulo totale è applicato anche dei Paesi ACP e PTOM con la CEE.
Benefici del Cumulo
L’opzione del cumulo offre diversi vantaggi alle imprese e alle economie dei Paesi coinvolti:
• Maggiore Competitività: Le imprese possono ottimizzare la loro catena di approvvigionamento, utilizzando materiali e lavorazioni da più Paesi per ottenere prodotti finali più competitivi in termini di costo e qualità.
• Rendere meno difficile l’acquisizione dell’origine preferenziale con Accesso a Tariffe Preferenziali: I prodotti che qualificano per lo status di origine preferenziale beneficiano di tariffe ridotte o esenti dazi quando esportati nei Paesi partner, migliorando l’accesso ai mercati.
• Incentivi per l’Integrazione Economica: Il cumulo promuove l’integrazione economica regionale, incoraggiando la cooperazione tra le economie e lo sviluppo di catene del valore regionali.
• Flessibilità Produttiva: Le aziende possono diversificare i loro fornitori e processi produttivi, riducendo i rischi associati a dipendenze uniche e migliorando la resilienza della catena di fornitura.
Requisiti e Regolamentazioni
Per usufruire del cumulo, le imprese devono rispettare specifici requisiti e regolamentazioni stabilite dagli accordi di libero scambio. Questi possono includere:
• Documentazione Adeguata: Certificati di origine e documentazione che attestano la provenienza e i processi produttivi dei materiali.
• Regole di Origine Specifiche: Ogni accordo commerciale definisce le regole di origine che determinano quando un prodotto può essere considerato originario. Queste regole variano in base al tipo di prodotto e ai Paesi coinvolti.
• Prove di Trasformazione Sufficiente: I materiali provenienti da Paesi partner devono subire una trasformazione sostanziale che ne cambi la classificazione tariffaria o ne aumenti significativamente il valore aggiunto.
Sfide e Considerazioni
Nonostante i numerosi vantaggi, l’implementazione del cumulo può presentare alcune sfide:
• Complessità Normativa: Le imprese devono navigare attraverso una rete complessa di regole e regolamenti, il che può richiedere risorse significative.
• Monitoraggio e Conformità: È essenziale mantenere un rigoroso controllo sulla documentazione e sui processi per garantire la conformità con le regole di origine.
• Adattamento alle Variazioni Normative: Gli accordi commerciali possono evolvere, richiedendo alle imprese di aggiornare continuamente le loro pratiche e documentazione.
Conclusione
L’opzione del cumulo rappresenta una straordinaria opportunità per le imprese che operano nel commercio internazionale. Utilizzando questo strumento, le aziende possono ottimizzare le loro catene di approvvigionamento, ridurre i costi, accedere a nuovi mercati con tariffe preferenziali e promuovere l’integrazione economica regionale. Tuttavia, è essenziale affrontare le sfide normative e amministrative con attenzione per massimizzare i benefici del cumulo.
Saverio Pittureri
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Qualche rapida valutazione sull’approccio alla concorrenza nei mercati internazionali
Se già sul mercato domestico, l’attenzione alle attività della concorrenza costituisce una leva decisiva ai fini strategici, quando si sposti l’inquadratura sui palcoscenici internazionali, tale indagine va amplificata e resa ancor più rigorosa e dettagliata. In altre parole, sia preventivamente, nella proiezione teorica che ci consente di redigere un business plan credibile, che all’atto pratico, per ambire a misurarci validamente con la concorrenza già insediata e magari anche con quella in prevedibile arrivo, dovremo adottare provvedimenti idonei e verosimilmente poliedrici, adeguati allo scopo.
In primis, pertanto, sarà opportuno evincere se la “minaccia” si ascriva principalmente ai players locali o viceversa sovrannazionali, e di che dimensione e grado di organizzazione, presenze che, in gran parte dei casi impattano sui nostri presupposti di competitività e che, generalmente, richiedono interventi ad hoc declinati sulla platea di riferimento. Occorrerà poi raccogliere capillarmente tutti i dati rintracciabili, gli umori e le indicazioni degli interlocutori rappresentativi, del cui punto di vista evidentemente, difficilmente ci si potrà fidare completamente, non tanto o non solo per un fattore di attendibilità, quanto per una questione ineludibile di prospettive e filtri interculturali diversi. In buona sostanza, quanti più riscontri si otterranno tanto più affidabili risulteranno le sintesi che riusciremo a comporre.
Naturalmente, anche quando si riescano a raccogliere delle informazioni utili e realistiche, e a tradurle in misure vantaggiose per i nostri obiettivi, il lavoro è tutt’altro che terminato. Si tratta infatti di un impegno vigile e dinamico, tanto che in ogni momento ed in ogni passaggio del nostro percorso strategico, dovremo essere in grado di valutare ogni segnale o indizio, per parare precocemente le mosse dei competitors. In qualche circostanza, la conclusione di una corretta stima dei punti di forza della concorrenza, potrebbe persino suggerirci di desistere da un determinato progetto e/o mercato, la lucidità di riconoscerlo prima di subire eventuali perdite sanguinose, è da considerarsi tutt’altro che una sconfitta.
Mantenendosi sempre su un piano molto generale, esiste una grande varietà di scenari possibili, come di rapporti, più o meno corretti e trasparenti e, saltuariamente, persino collaborativi, che si possono ingenerare nel confronto con i competitors, in funzione di numerosi fattori sia oggettivi che soggettivi. Resta il fatto che, In modo particolare verso quei soggetti che, vantano una presenza consolidata e una maggiore esperienza di quel determinato mercato, e che vedendo messa a repentaglio la propria “rendita di posizione”, potrebbero adoperarsi per contrastare il nostro ingresso o quantomeno il nostro successo, nello stesso ecosistema, a maggior ragione se portiamo una proposta attraente e competitiva, sarebbe buona norma adottare un protocollo di vigilanza costante.
Chiaramente, quanto sopra, non deve tradurre in una reattività isterica e irrazionale a qualsiasi stimolo emergente, quanto in un’attitudine verso la flessibilità, la rapidità di decisione e il coraggio, suffragati però da evidenze chiare e da disamine tecniche e metodologiche, concrete e logiche. Sarà buna norma essere insieme prudenti e risoluti, a seconda del momento e del frangente, ma soprattutto, quando occorre, reagire con risposte dinamiche, tempestive e sostenibili.
Talune delle domande che, trasversalmente, dovrebbe porsi un diligente incaricato a esaminare la concorrenza, in un qualsivoglia mercato, potrebbero grossolanamente essere le seguenti.
• Quali concorrenti?
• Quanti?
• Da quali paesi?
• Da quanto tempo sono sul mercato?
• La loro dimensione e forza finanziaria?
• La loro caratterizzazione?
• Le aree di mercato in cui operano?
• Le modalità di distribuzione che adottano?
• Quali sono le strategie commerciali più evidenti?
• Quali quelle pubblicitarie?
• I prezzi proposti?
• Mi sono noti o sono in grado di stimarne i costi?
• Quali sono i nostri punti di forza (i vantaggi competitivi da valorizzare, rinforzare e difendere)?
• Quali i nostri eventuali svantaggi e come ovviarli?
• Quali sono le nostre potenziali performances complessive rispetto alla concorrenza?
Conclusioni
Il piccolo contributo odierno è un po’ meno ovvio di quanto possa sembrare a prima vista, perché se è vero, nella mia esperienza, che tutti o quasi gli imprenditori hanno ben chiaro di dover monitorare i concorrenti, molto pochi lo fanno con approccio scientifico e continuità, e detta leggerezza o sottostima, fa sì che, non di rado, quando prendono atto di una tendenza, di un’idea vincente, di un nuovo stato di cose, positivo o negativo, di una nuova esigenza dei clienti intercettata efficacemente da un antagonista, il più delle volte, sia tardi per sviluppare una risposta efficace e riposizionarsi vantaggiosamente sul mercato.
Saverio Pittureri
Easy Trade
Riflessioni sui pagamenti internazionali – parte III
Ad integrazione dei precedenti spunti di riflessione sui pagamenti internazionali, chiudo con qualche considerazione, per sommi capi, su cosa sia una lettera di credito, poiché, benché si tratti di un consolidato strumento di pagamento, efficiente e ragionevolmente sicuro, quindi decisamente raccomandabile per le transazioni internazionali, risulta tuttora ostico da adottare o semplicemente da comprendere per molte piccole imprese.
In buona sostanza, la lettera di credito è un documento emesso da un istituto di credito o istituto finanziario, per ordine di un acquirente di beni e/o servizi (ordinante), e rappresenta l’assunzione di un impegno irrevocabile, a fornire una prestazione di pagamento (ma potrebbe essere anche di accettazione e/o negoziazione) affinché un soggetto beneficiario, tipicamente il venditore dei beni e/o servizi, ottenga di escutere un credito da parte di altri soggetti, che possono essere a loro volta banche oppure fornitori, contro presentazione di documentazione conforme e a patto che siano rispettati i termini e le condizioni del credito.
Il credito espresso può essere confermato o non confermato, ovvero talora la banca emittente può agire anche da controllore e garante unico della L/C, o essere affiancato in questa funzione da altre banche coinvolte nell’operazione. Nel caso di credito confermato, il soggetto confermante è sovente la banca del beneficiario, e si impegna ad assolvere, nei confronti di quest’ultimo, gli obblighi accesi dalla banca emittente, assumendone i compiti e i rischi. La conferma tendenzialmente è sempre raccomandabile, pur comportando un onere aggiuntivo; tuttavia, diventa imprescindibile verso quei paesi e/o contesti che non offrano solide garanzie di solvibilità.
Il ciclo caratteristico di un pagamento mediante lettera di credito
A grandi linee, le fasi di un pagamento realizzato attraverso una L/C si sviluppano come segue:
1) Accordo fra le parti: il compratore e il venditore concordano di utilizzare una lettera di credito come metodo di pagamento. Il venditore richiede al compratore di ottenere una lettera di credito a suo favore. Vengono concordate preventivamente la durata della sua validità e la coerenza con le tempistiche di consegna dei beni e/o dell’erogazione dei servizi.
2) Emissione della lettera di credito: il compratore (ordinante) si rivolge alla sua banca o a un istituto finanziario per emettere una lettera di credito a favore del venditore (beneficiario). Nella lettera di credito sono specificati i dettagli del pagamento, come l’importo da pagare, i documenti richiesti per il pagamento e le condizioni di spedizione delle merci.
3) Eventuale conferma: come accennato, in vari casi, specialmente quando il venditore non è sicuro della solidità creditizia della banca dell’acquirente, la lettera di credito può essere confermata da una seconda banca (la banca confermante), che diventa così garante del pagamento.
4) Spedizione e presentazione dei documenti richiesti: il venditore spedisce le merci all’acquirente in conformità con i termini della lettera di credito. Successivamente, il venditore presenta alla banca (emittente o confermante) i documenti richiesti dalla lettera di credito (ad esempio, il contratto, la fattura commerciale, la packing list, il certificato di origine, i documenti di trasporto e quelli assicurativi, più eventuali certificati aggiuntivi di analisi, ecc…) per dimostrare di aver adempiuto ai termini dell’accordo.
5) Pagamento effettivo al beneficiario: una volta che la banca suddetta riceve e verifica i documenti, se sono conformi ai termini della lettera di credito, effettuerà il pagamento al venditore come specificato nella lettera.
Alcuni fattori di attenzione
Per la regolamentazione di tutte le operazioni elencate si fa riferimento alle “Norme e Usi Uniformi” con valenza internazionale. La banca emittente e/o la confermante hanno l’impegno di controllare la correttezza della documentazione fornita e, solo in caso positivo, di accreditare l’importo al beneficiario. Nell’eventualità opposta vengono sollevate riserve ed eccezioni che possono, a seconda della natura e gravità, bloccare o meno il pagamento stesso.
Le modifiche alla L/C possono essere sempre apportate, in qualsiasi momento, purché tutti i soggetti coinvolti siano d’accordo. Una modifica può essere accettata nella sua interezza oppure rifiutata, non esistono soluzione parziali. La banca interessata ha 5 giorni lavorativi per la presentazione delle eccezioni. Possono riscontrarsi irregolarità gravi ed errori non correggibili, quali: il mancato rispetto delle date, la mancanza o difformità di alcuni documenti, il diverso luogo di spedizione, ecc… nel qual caso l’incasso viene inesorabilmente bloccato.
La banca confermante, quando presente, fa valutazioni assolutamente analoghe a quella emittente. Attenzione a non confondere la “silent confirmation” con lo “star del credere”, nel quale si assume il rischio paese e quello di insolvenza del cliente, ma non quello di correttezza documentale tipico appunto della “silent confimation”. In altre parole, nella sopravvenienza di insolvenza si configurerebbe l’erogazione di un indennizzo non l’esecuzione della lettera di credito.
Ci si può accordare affinché l’acquirente sciolga le riserve, ancorché compatibili con gli accordi fra le parti, ovvero comunichi alla banca la propria volontà di autorizzare a procedere ma non è in alcun modo un obbligo. La più parte delle volte, tuttavia le riserve sono “interne”, non gravi, ma ugualmente non correggibili, ad esempio un documento non originale, incompleto a causa di talune formalità benché sostanzialmente rispondente. In tal caso, generalmente, la prestazione viene ugualmente perfezionata.
Non nego di avere riscontrato, nel corso del tempo, una certa soggettività o per meglio dire maggiore “sensibilità” di una banca rispetto ad altre, verso le piccole irregolarità, il che si traduce sovente in un rallentamento delle procedure di incasso. Forse non casualmente, è una circostanza che si verifica con maggiore frequenza quando interessi la banca emittente del compratore…!
Sarebbe bene crearsi un protocollo consolidato contenente i propri desiderata da proporre al cliente, sul quale sia facile fare una verifica, ad esempio: confermata, con scadenza in Italia, corredata da quali documenti essenziali, se siano ammesse spedizioni parziali, legata a quali elementi incidenti del contratto, ecc…. È consigliabile altresì fornire le istruzioni basilari della L/C già nel corpo della proforma e/o della conferma d’ordine, in modo da prevenire frizioni successive con la controparte (e si tratta di documenti probatori che la sua banca verosimilmente gli domanderà).
Conclusione
In sintesi, la lettera di credito funziona egregiamente come garanzia di pagamento per il venditore e come protezione contro il rischio di credito per l’acquirente. Per il venditore, la lettera di credito riduce il rischio di mancato pagamento, mentre per l’acquirente, garantisce che il pagamento venga effettuato solo a condizione che i documenti conformi siano presentati.
Le lettere di credito sono spesso utilizzate nelle transazioni internazionali in cui acquirente e venditore potrebbero non avere una relazione commerciale consolidata, o in cui esista una distanza geografica ovvero altre condizioni che amplifichino il rischio di pagamento. Le lettere di credito implicano costi, che variano in funzione di diversi fattori, e che tecnicamente sarebbero a carico dell’acquirente, in qualità di richiedente alla propria banca, tuttavia, non di rado, per perfezionare l’accordo si accetta di sopportare i costi in modo diverso e personalizzato.
Questo strumento richiede una gestione accurata dei documenti per evitare ritardi e blocchi nei pagamenti. È fondamentale ricordare infine che le banche non entrano in valutazioni di merito sulla merce effettivamente spedita, in quanto sono tenute unicamente al rispetto della regolarità formale documentale, secondo principi e regole consolidate facenti capo alle Norme e Usi Uniformi pubblicate della Camera di Commercio Internazionale. Pertanto, quando le condizioni lo suggeriscano, e si sia clienti, è preferibile tutelarsi opportunamente anche sul fronte della rispondenza quantitativa e qualitativa delle merci.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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Riflessioni sui pagamenti internazionali – parte II
Dando seguito alle considerazioni sviluppate nella prima parte, poniamo l’accento su alcuni fattori correlati, che impattano significativamente sulle dinamiche e sul successo dei pagamenti internazionali.
È bene prestare attenzione affinché nel contratto o accordo scritto, insieme alla forma di pagamento, vengano sempre precisati gli incoterms di riferimento e il luogo esatto di destino della merce. Vi è una strettissima relazione fra tipo di resa e pagamento, che devono essere coerenti fra loro per funzionare in modo pienamente garantistico. Sempre nel contratto vanno rimarcati anche il luogo e la data di pagamento, la valuta, la ripartizione delle spese e commissioni, le banche che interverranno e il modo in cui sarà trasferito l’importo.
Tanto maggiore è il dettaglio sottoscritto quanta più la salvaguardia che si ottiene. Purtroppo, viceversa, è
prassi frequente lasciare piena discrezionalità alla controparte, esponendosi all’incertezza e quindi al rischio. Se da un lato una certa partecipazione decisionale facilita l’armonia fra le parti, dall’altro occorre trovare un equilibrio per la sicurezza dello scambio e soprattutto formalizzare l’intesa per sigillarne la validità.
Pagamenti e trasporti
Quando si scelga il credito documentario come strumento di incasso, in esportazione, in gran parte dei casi è consigliabile riferirsi al “gruppo C” degli Incoterms, mentre importando mi sentirei di caldeggiare le opzioni FOB o FREE CARRIER. Benché sia molto amato dalle aziende italiane, che presumono illusoriamente di sgravarsi di responsabilità, non sono un grande sostenitore dell’EX-WORKS. Al contrario di quanto si pensi, detta scelta offre scarsissime tutele e, non a caso, negli ultimi due “conclavi” decennali, per la stesura degli incoterms, è stata presa seriamente in esame l’abolizione di questo termine.
Solo per esemplificare, in esportazione l’ex-works non garantisce la restituzione dei CRM e dell’RMN, e in qualche caso fa rischiare complicazioni con la bolletta doganale, ancorché oramai normalmente elettronica (fino a qualche anno fa, col documento cartaceo, i contrattempi erano all’ordine del giorno). Poniamo poi il caso che la Guardia di Finanza blocchi il camion e lo confischi per qualche irregolarità di carico o di altra natura, il venditore che abbia applicato la resa ex-works, pur non essendo il mandante del trasporto, risulterebbe comunque corresponsabile.
In mancanza di contratto scritto (circostanza sostanzialmente abituale) il camionista potrebbe persino sostenere di essere stato obbligato dal venditore a caricare fuori sagoma, o ad accettare altri abusi e scorrettezze. Considerando anche che, materialmente, il carico della merce nel magazzino del venditore, viene realizzato, come ovvio, mediante il muletto del venditore stesso, il che tecnicamente rende il termine di “FCA magazzino cedente” (ovvero “loaded” e “cleared”) poiché l’ex-works formalmente prevede la vendita “sul pavimento” del magazzino del venditore.
Qualora si voglia proprio perseverare nella scelta dell’ex-works, si rammenti che all’autista non va mai consegnata la fattura, questa andrà invece inviata allo spedizioniere incaricato, vincolandola al ritorno dei documenti necessari per le evidenze di legge. Teoricamente si avrebbe diritto di chiedere una fotocopia del documento del di circolazione e della patente dell’autista, per consentirgli il carico, il che genererebbe una certa pressione psicologica tale da indurlo con più probabilità alla soddisfazione degli adempimenti formali, ma è chiaro che nella pratica non sia sempre facile avanzare una richiesta simile.
Qualora si realizzi una triangolazione, e il terzo soggetto extracomunitario venga a ritirare la merce dal venditore italiano, cedente ad un secondo soggetto comunitario, con la merce venduta ex-works, l’operazione si potrebbe trasformare fiscalmente in una cessione nazionale con IVA, e in caso di verifiche occorre averne consapevolezza. Anche in importazione l’ex-works non è raccomandabile, in realtà, in quanto non permette di conoscere le infrastrutture del luogo di partenza, né l’affidabilità degli operatori.
Quando invece vi sia il controllo del trasporto da parte del venditore, si disinnescano le trappole sopra esposte (e ve ne sarebbero anche altre…), non solo, il venditore che gestisca il trasporto, all’occorrenza, può esercitare il diritto di contrordine o di interruzione della consegna, e questo evidentemente rappresenta una forma efficacissima di assicurazione indiretta.
Pagamenti e garanzie
Nell’ultimo decennio è aumentato in modo esponenziale il numero di truffe e raggiri, e questo ha reso molto comune la richiesta di garanzie, in affiancamento al pagamento concordato. Un’eventuale garanzia, tuttavia, per essere efficace dovrebbe prevedere quantomeno:
• un garante bancario solido
• l’attivazione a prima richiesta, soggetta ad URDG 758
• il legame armonico fra la consegna della merce, il pagamento e la “payment guarantee”
• una eventuale contro garanzia da parte di una banca italiana quando sia significativo il rischio paese
A proposito di garanzie, si ricorda come la fideiussione sia un contratto accessorio che co-obbliga totalmente il fideiussore, tanto quanto il debitore principale, verso il beneficiario, e non in tutti gli ordinamenti giuridici è ammesso tale istituto. Quindi, mentre la fideiussione è legata strettamente al contratto sottostante, la banca impegnata con una “advance payment guarantee” lo fa, dietro semplice richiesta del beneficiario, indipendentemente da qualsivoglia accordo commerciale corrente. In altre parole, tale vincolo rappresenta una garanzia incondizionata, autonoma e astratta, che malauguratamente si presta a truffe e “malintesi”, qualora il beneficiario sia spregiudicato o in malafede. Per limitare tale alea di rischio, ad esempio, si può inserire una condizione che lo ammortizzi, ovvero che alla richiesta di esecuzione, qualora venga presentato un documento probante l’adempimento della prestazione convenuta, la garanzia si estingua e non si dia seguito all’esecuzione.
Per la verità esistono vari altri tipi di garanzia a prima richiesta, che sono soggetti a diverse forme di diritto locale, e non necessariamente si servono di un garante bancario, ma di questo tema, eventualmente, tratteremo in un’alta circostanza in modo più approfondito. La “stand by letter of credit” stessa, pur essendo tecnicamente una lettera di credito, appartiene, nell’uso, più al gruppo delle garanzie che agli strumenti di pagamento, e a mio avviso costituisce un’opzione piuttosto equilibrata ed efficace.
È soggetta alle norme internazionali UCP600 e impegna la banca interessata ad avallare il pagamento, come una qualsiasi altra lettera di credito, quando attivata, ovvero nel momento in cui non venga onorato un pagamento da essa protetto. La “stand by letter of credit” si presta particolarmente a forniture continuative e talora si può legare anche a un collaudo o altra performance predefinita. Non è consigliabile invece in importazione, poiché il venditore disonesto potrebbe manipolarla o abusarne.
Se possibile, fra le forme di pagamento concesse ai clienti, evitiamo l’assegno. In molti paesi è un semplice strumento di negoziazione e può essere bloccato con contestazioni ed eccezioni o persino revocato, ad esempio in USA, senza alcuna conseguenza. Deve poi tornare alla banca trattaria e, in ambito internazionale, può rivelarsi fraudolento anche 15/20 giorni dopo l’accredito, il che ci priva di buona parte delle possibili mosse difensive.
Pagamenti e importazione
Quando si importi, una buona soluzione può configurarsi nel “documents against acceptance”, cioè in un impegno irrevocabile, a 60 giorni, senza valore legale e senza esecutività, che va accettato dall’importatore per entrare in possesso della merce. Se questa si presenta non conforme, l’importatore non rischia nulla e non sottoscrivendo l’accettazione del documento suddetto, la banca si limita a non eseguire il mandato.
Negli ultimi anni, il tema della merce non conforme è diventato particolarmente sensibile , tanto che prima di pagare si possono anche prevedere ispezioni di enti terzi qualificati, al magazzino di partenza, il che implica evidentemente qualche costo supplementare, talvolta negoziabile con il compratore, a fronte di contrappesi diversi, ma riduce significativamente l’eventualità di incorrere in pessime sorprese.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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Riflessioni sui pagamenti internazionali - parte I
Con queste poche righe, cominciamo a esplorare, per sommi capi, un tema molto vasto che interessa un ampio spettro di imprese piccole e medie, meno avvezze alle transazioni internazionali, quello delle forme di pagamento adottabili nelle vendite internazionali. Opzioni e soluzioni tecniche che dovrebbero tendere a un equilibrio ideale fra cautele e collaborazione intelligente con il cliente. Lo approcceremo giocoforza in modo piuttosto generale rimandando ad altra sede gli approfondimenti peculiari, tuttavia, mi auguro comunque con qualche utilità per gli operatori.
Prendiamo atto, per cominciare, come non esista una forma di pagamento perfettamente equanime, dal che ne scaturisce sempre uno sbilanciamento verso una delle due parti, in relazione alla forza che le stesse possono accampare. Da un lato si trova la legittima aspirazione del venditore che il prezzo concordato gli venga, regolarmente e senza fallo, corrisposto nel più breve tempo possibile, e dall’altro, quello del compratore, l’altrettanto comprensibile tensione, ad allontanare il momento del saldo, quantomeno in assonanza con l’auspicato incasso, derivante dall’immissione nel circolo economico della stessa merce acquistata.
Volendo perseguire un’architettura ottimale, dovremmo cercare di fare in modo che i suddetti desideri contrapposti dei contraenti possano essere riequilibrati, quanto più possibile, attraverso ammortizzatori e garanzie, confezionati “su misura”.
Larga parte delle imprese con le quali entro in contatto, immagina convintamente di risolvere la questione più semplicemente, con un bel bonifico anticipato (magari abbinato a una consegna ex-works) che non lasci spiragli a insoluti e “trappole” assortite. Non ho alcuna obiezione sul fatto che rimanga il metodo più blindato in assoluto, meno noto è invece che, numeri alla mano, detta scelta draconiana possa deprimere le vendite fino al 200%, a seconda del mercato e del settore.
Così, pur incontrando spesso qualche resistenza, da anni, con i clienti che assito predico di prendere in considerazione anche forme diverse di corresponsione del dovuto e, non di rado, accade che qualora mi ascoltino i risultati siano sorprendenti, anche su clienti consolidati da molti anni, e la forma di pagamento stessa si trasformi persino in un vantaggio competitivo, per accattivarsi clienti nuovi, rispetto ai concorrenti esclusivamente fossilizzati sull’anticipato.
Provo qui di seguito a elencare le forme di pagamento più praticate e ortodosse, benché non siano rare forme “ibride” o “spurie” frutto della fantasia e talvolta della spericolatezza degli imprenditori nostri connazionali.
a) Pagamento anticipato – come accennato in precedenza, e parafrasando un noto spot, questo pagamento è il più amato dagli italiani. È lapalissiano che non esista un metodo più sicuro per incassare, è altrettanto sicuro però che risulti sovente dissuasivo costringendo l’acquirente ad un impegno, talora ingente, prima di poter beneficiare del proprio flusso di cassa correlato ai prodotti acquistati.
b) Open account o rimessa diretta (mediante bonifico) – può essere immediato, differito o dilazionato. Al di là dell’apparente semplicità, vanno comunque osservate alcune regole di attenzione, sui tempi, le modalità e le regole bancarie locali e internazionali, con pieghe burocratiche e regolamentari per nulla banali.
c) Incasso documentario, in modo particolare molti tipi di lettera di credito – il pagamento concordato può essere anticipato, contestuale o differito, a seconda degli accordi, rispetto alla fornitura del bene o servizio. Questa opzione o, meglio, spettro di opzioni, fornisce un discreto grado di tutela ma occorre valutare bene i costi e la suddivisione degli stessi. Da notarsi che si tratta di un’obbligazione autonoma rispetto all’operazione sottostante, ovvero tipicamente del contratto di acquisto. La lettera di credito, soprattutto quando confermata, è riconosciuta come sicura dal sistema bancario e può essere scontata “pro soluto” abbastanza agevolmente.
d) Stand by letter of credit – separo questo strumento peculiare di origine statunitense dal gruppo soprastante, in quanto pur essendo tecnicamente una L/C, adatta a pagamenti ripetuti e costanti, nei fatti, funziona più come una garanzia molto efficace, in caso di mancato adempimento degli obblighi assunti contrattualmente, “trasformandosi” in lettera di credito nel momento in cui si verifichi un inadempimento.
e) Garanzia bancaria o fideiussione a prima richiesta – rappresentano soluzioni molto potenti e efficaci, ma non sono sempre facili da ottenere, e non vengono riconosciute (in quanto vessatorie e inappropriate) dai sistemi bancari di molti paesi arabi così come non sono ammesse nemmeno dalle legislazioni americana e giapponese.
f) Cash against documents o Cash on delivery – forme di pagamento documentali, che si perfezionano contestualmente alla consegna della merce attraverso uno scambio tangibile. Per chi voglia ricorrervi, suggerirei caldamente di utilizzare uno spedizioniere italiano, col quale sussista un rapporto fiduciario consolidato, resta in ogni caso una soluzione sì tecnicamente semplice, ma non prima di rischi.
g) Factoring – si tratta di un sistema di cessione del credito (pro soluto o pro solvendo a seconda che l’impresa cedente trasferisca anche la responsabilità per un’eventuale insolvenza o meno) che può prevedere la cessione anche di futuri diritti, non ancora sorti. Il factor paga l’esportatore in cambio di una commissione, il costo varia in misura del valore della merce e della responsabilità vista sopra.
h) Forfatiting – anche questo strumento si sostanzia in una cessione del credito, e anche questo tipo di accordo prevede le opzioni pro soluto e pro solvendo. A parte qualche altra distinzione tecnica, le principali differenze con il factoring sono che, diversamente da quest’ultimo, il forfaiting riguarda esclusivamente le transazioni estere ed è tipicamente proiettato nel medio-lungo termine. È utilizzabile anche in abbinamento con la lettera di credito.
i) Pagherò cambiario – è un titolo di credito, ovvero una promessa di pagamento che vincola il debitore. Era molto più usato in passato, poiché presenta diverse controindicazioni pesanti per ambo le parti. In ambito internazionale è determinante il fatto che non in tutti i Paesi presenta lo stesso peso giuridico (in USA, ad esempio, è sostanzialmente “carta straccia” quindi utilizzalo non ci offre alcuna tutela concreta.
Oltre alla formula di pagamento più idonea per ciascun frangente, è da tenersi in grande considerazione lo stabilimento di qualche forma di garanzia del credito. SACE, ad esempio, ma anche molti altri organismi e società private, possono fornire una risposta ad hoc, per quasi ciascun caso. In linea generale, la garanzia si paga in base al valore dello scambio, al rischio paese di dove lo stesso avviene, al rating dell’azienda debitrice e a diversi altri parametri analitici.
Il più delle volte il compenso per il garante si contabilizza attraverso una percentuale dell’incasso atteso e quasi sempre prevede una franchigia che ne rende poco interessante l’attivazione per crediti di modesta entità. Esistono molte formule articolate, fra le quali alcune anche a copertura di tutti i clienti di un determinato mercato, che possono decisamente convenire qualora si abbia una distribuzione frammentata.
L’adozione di una garanzia è raccomandabile, come intuibile, per le situazioni complesse già nelle premesse, ma non solo, poiché non di rado, anche laddove si operi in mercati evoluti, nei quali il diritto viene tendenzialmente rispettato, fattori quali la debolezza contrattuale (il mancato riconoscimento delle sentenze, ad esempio) o l’inconsapevolezza circa la reale consistenza patrimoniale dell’interlocutore possono generare pessime sorprese in sede di contenzioso.
Saverio Pittureri
Easy Trade Srl
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Il boicottaggio dei transiti nel Mar Rosso e i riverberi sul commercio globale
Il 2024 continua a proporre uno scenario enormemente complesso per il commercio internazionale e non è tanto facile avventurarsi in previsioni realistiche, di ampio respiro. In termini macroeconomici, si sta consolidando un contesto geopolitico di frammentazione piuttosto marcata con una catena di tensioni che, evidentemente, oltre a dilatare le distanze e rendere impervie le sfide globali di interesse superiore (quella climatica su tutte), ovviamente intrica e complica anche le relazioni commerciali fra le imprese delle aree contrapposte.
Benché vi siano grandi attori dichiaratisi formalmente neutrali, come la Cina, con il chiaro intento di preservare i rapporti commerciali con tutti gli interlocutori possibili, nei fatti, la contrapposizione fra mondo occidentale, inteso principalmente come Europa e Nord America, e una specie di “cartello antagonista” trasversale, molto diversificato e disomogeneo, ma con l’unità di intenti di ridurre l’egemonia politica ed economica statunitense, è innegabile, e oramai piuttosto impattante anche sull’attività quotidiana dei singoli operatori economici.
In primo luogo, come noto, non accennano a risolversi, quando non rischiano di inasprirsi i conflitti bellici in essere, sia quello “cronicizzato” fra Russa e Ucraina, che continua a riverberare sulle forniture energetiche europee ma ancor più sugli equilibri planetari, e quello mediorientale, esploso dopo l’attentato del 7 ottobre che, al momento coinvolge direttamente Israele, l’organizzazione politica militarizzata Hamas, e quella paramilitare Libanese Hezbollah, ma sottende minacce non trascurabili di escalation amplificata, sulle quali si sta adoperando febbrilmente la diplomazia internazionale.
Nello specifico, in queste righe, vorrei porre l’accento proprio su uno degli effetti collaterali di maggior impatto immediato sulle attività economiche, derivante indirettamente dallo scontro israelo-palestinese, quello correlato alle azioni piratesche in atto nel mar Rosso volto a mettere pressione sulla comunità internazionale per intervenire a favore di Gaza.
Premettendo che il puzzle costituente il mondo arabo è estremamente complesso e articolato, e se esistono certamente valori comuni e affinità culturali fra Paesi e raggruppamenti, non mancano anche grandi dissonanze, che evidentemente non consentono di produrre un fronte coeso su molti temi e teatri di crisi, compresa l’annosa questione palestinese.
In tutto questo, non va dimenticato che l’insieme del mondo islamico non coincide col mondo arabo, e la storia recente ci insegna come il dissenso, non di rado infuocato, fra sunniti e sciiti, e all’interno di questi, fra le numerose declinazioni religiose sottostanti, sia un fattore sempre presente e determinante. A tal proposito, uno dei registi occulti (ma non troppo) del quadro corrente in mar Rosso è chiaramente l’Iran, che evidentemente ha un’anima musulmana, a stragrande maggioranza sciita (come gli assalitori delle navi), ma non è un paese arabo. A seguito delle attuali vicende di cronaca, non a caso, anche l’abbozzato e difficile processo di normalizzazione dei rapporti fra Arabia Saudita, solido alleato statunitense, e lo stesso Iran ha subito un brusco stop.
Sono premesse molto semplificate ma tutt’altro che accademiche, e propedeutiche al tentativo di comprendere i possibili sviluppi, le alleanze, le affinità ideologiche, le dissonanze e gli incombenti rischi. Per esempio, a grandi linee, i nemici dichiarati dei bucanieri yemeniti sono sì Israele e USA, ma accanto a loro, anche l’Arabia Saudita sunnita, riferimento e custode dello scrigno della fede islamica, e non solo per la collaborazione con gli USA.
Allo stesso modo, pur nella consapevolezza generale del danno procurato agli scambi commerciali, anche i Paesi occidentali propongono risposte politiche tutt’altro che omogenee in merito alla deterrenza da applicare, per non parlare degli alleati arabi che hanno scelto di disertare le attività di pattugliamento navale (salvo il Bahrain) per non far passare il messaggio di fiancheggiare, in qualche modo, Israele ma, allo stesso tempo, subiscono un danno importante e sgradito, sui propri interessi commerciali. In definitiva, se da un lato il rischio di allargamento del conflitto pare concreto, dall’altro, taluni governi ne auspicherebbero la conclusione, mentre altri Paesi e movimenti si stanno muovendo sottotraccia proprio per il timore di portarsi la guerra in casa; in tutto questo non è facilmente prevedibile quale posizione assumeranno gli uni e gli altri nelle settimane a venire.
In concreto, la strategia di boicottaggio commerciale nel mar Rosso, è stata messa in campo dal gruppo, prevalentemente di origine yemenita Huthi Ansar Allah, come accennato di estrazione sciita zaydita. La comunità Huthi, da cui gemmano le suddette schiere militarizzate, è una fazione sciita tendenzialmente piuttosto fumantina e insofferente verso coloro che percepisce come oppressori, occidentali, ma non solo, nella regione. Da almeno un decennio gli Huthi hanno conquistato la capitale San’a’ e rappresentano una minoranza ma non sparuta della popolazione yemenita (per il resto principalmente sunnita), ovvero circa il 25%.
Inizialmente l’obiettivo dichiarato delle milizie armate era quello di fermare le navi israeliane, ma dato il successo dell’iniziativa, ben presto i bersagli degli arrembaggi si sono allargati a pressoché qualsiasi natante da trasporto, che si avvii verso il canale di Suez in direzione nord, ovvero viceversa verso lo stretto di Bab-el-Mandeb, noto anche come “la porta delle lacrime”, l’altro collo di bottiglia fondamentale per collegare, in tempi ragionevoli, Europa e Asia via mare.
Le maggiori compagnie mondiali hanno già sospeso a tempo indeterminato il transito su quella rotta, e l’intera logistica connessa si sta riprogrammando nell’ordine di mesi o addirittura trimestri, dovendo circumnavigare l’Africa, doppiando il Capo di Buona Speranza, con oltre 6.000 km di aggravio e slittamenti medi stimati fra le 2 e le 3 settimane, o scegliere rotte ancora più lunghe attraverso l’oceano Pacifico, ed evidentemente ancora più incidenti in termini di costi (di ogni genere, compresi quelli assicurativi, lievitati esponenzialmente). Come ulteriore fattore critico, si deve aggiungere che, in questo momento, anche il canale di Panama è sostanzialmente “fuori uso”, per motivi completamente diversi, il che genera una sorta di paralisi commerciale globale.
Le potenze mondiali hanno dapprima cercato di controbattere schierando navi da guerra nell’area interessata, a protezione dei mercantili, ma è un po’ come cercare un ago in un pagliaio e non diventa ugualmente possibile scortare ogni singolo trasporto. Così, americani e inglesi, all’inizio di questo 2024, hanno lanciato un ultimatum all’audace leader Abdul-Malik Al-Houthi, intimandogli di cessare le azioni ostili o avrebbero colpito duramente le postazioni yemenite. E così hanno fatto. Ora si tratta di capire con quali conseguenze politiche sul fragile equilibrio della regione, quali eventuali ritorsioni e con quale effetto domino commerciale.
La cartina proposta, qui di seguito, pubblicata da ISPI, rielaborando la fonte originale del Washington Institute for Near East Policy è piuttosto eloquente
Per dare un’idea dell’effetto gravoso, sulle attività economiche globali, del suddetto boicottaggio, basti pensare che oltre il 30% dell’intero commercio mondiale transita o, meglio, transitava dal canale di Suez, oltre 20.000 navi fra portacontainers e petroliere all’anno. È facile intuire anche quale possa essere il riverbero sui prezzi e sulla disponibilità di beni, non ultimi quelli energetici, per tutta la filiera produttiva e commerciale europea e asiatica.
Lo sanno bene anche i pirati yemeniti che, non a caso, avevano annunciato di voler sabotare anche il passaggio da Gibilterra, qualora la comunità internazionale non fosse intervenuta efficacemente a difesa di Gaza. Un proposito che, per evidenti motivi organizzativi e geografici, sarebbe molto più complesso da compiersi, ma non si potrebbe escludere qualche blitz sporadico di disturbo, comunque efficace per i fini dei ribelli, magari con l’instaurarsi di nuove alleanze con altre organizzazioni del “sud del mondo”.
Dal nostro modesto osservatorio nazionale non possiamo fare molto, se non cercare, per quanto possibile, di adattarci a questa fase così problematica e diversificare al massimo sia le fonti di approvvigionamento che le mercati di vendita, principio comunque sano anche nelle fasi storiche prospere e pacifiche, sperando evidentemente che il quadro d’insieme si stabilizzi prima o poi, consentendoci magari di tradurre l’eventuale efficientamento e la flessibilità acquisiti durante questo periodo arduo, in vantaggio competitivo e maggiore marginalità futura.
Saverio Pittureri
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Export: tutto quello che avreste voluto sapere sul prodotto e non avete mai osato chiedere! Parte IV
La quarta e ultima (almeno per il momento…) breve digressione sulle opzioni strategiche per introdurre un prodotto in un nuovo mercato, si concentra sul posizionamento. È di tutta evidenza come un posizionamento corretto sia vitale per il successo del prodotto, impatti sulla marginalità e riverberi sulle possibilità future del brand e di nuovi prodotti.
Come facilmente comprensibile il concetto di posizionamento ha un senso pieno e sfaccettato quando ci si riferisca ad un mercato di consumatori finali, tuttavia anche in una sfera b2b, può o, meglio, è la regola che sia presente un certo influsso, più sfumato e filtrato, dettato dal posizionamento che trascende le mere caratteristiche del bene.
Il posizionamento si costruisce attraverso svariate leve, fra le quali il prezzo è la più diretta e immediata, tuttavia non certamente l’unica. Evidentemente occorre anche adeguare realisticamente i propri obiettivi al contesto esistente, cionondimeno, in linea di massima è quasi sempre possibile avere un impatto piccolo o grande sul posizionamento attraverso le proprie scelte.
Qualora si verifichino contemporaneamente alcune condizioni, ovvero siano presenti prodotti direttamente concorrenti e si operi in un mercato evoluto e maturo, come la più parte dei mercati occidentali, il posizionamento diventa quasi obbligato e si crea fisiologicamente anche qualora il produttore, il distributore o alcun altro attore della catena commerciale attivi qualsivoglia azione specifica, allo scopo.
Nell’ecosistema economico europeo, ad esempio, è in atto, da un buon numero di anni, una tendenza ad amalgamare i diversi modelli di consumo, con posizionamenti analoghi, per i prodotti affini, nei vari Paesi. Su detti posizionamenti, le imprese stesse, mediante processi di benchmarking, vigilano costantemente e attentamente per non vedersi repentinamente escluse.
Diverso è quando si abbia a che fare con mercati emergenti e/o con mercati ove siano presenti pochi o nessun competitore diretto, nel qual caso, di norma, si possono applicare alcune linee guida orientative che funzionano da riferimento per il produttore ma in qualche modo, specularmente, anche per il consumatore.
- Posizionamento rispetto ad un prodotto concorrente: si sostanzia in una strategia di “scontro diretto” con il concorrente principale al fine di superarlo nel confronto valorizzando i propri punti di forza e, all’occorrenza, creando adattamenti e aggiungendo servizi non proposti dall’altro soggetto presente nel mercato.
- Posizionamento rispetto a particolari attributi assoluti del prodotto: vengono evidenziati, con forza, nella comunicazione, caratteristiche o benefici per il consumatore di oggettivo e incontrovertibile valore (ad esempio nel mercato dell’auto: sicurezza, comfort, unicità nei consumi e/o nelle prestazioni, ecc..).
- Posizionamento rispetto al prezzo e alla qualità: vengono correlati al prodotto standard qualitativi elevati e prezzi selettivi, con eventuale suggestione di esclusività e qualifica attraverso l’acquisto, oppure all’opposto prezzi bassi in rapporto agli standard qualitativi comunque soddisfacenti per il consumatore.
- Posizionamento rispetto all’uso: è una leva di importanza crescente negli ultimi anni, in particolare nei settori a forte contenuto tecnologico. Si tratta della proposta di un uso innovativo e diverso di un prodotto già presente sul mercato, che viene in tal modo rivitalizzato, distinto, e evidentemente valorizzato (l’esempio eclatante è quello dei PC che potevano anche navigare in rete che arrivarono quando esistevano già quelli per scrivere, calcolare, archiviare).
- Posizionamento rispetto ad un mercato obiettivo: attivando questa leva si intende indirizzare un prodotto concepito per un uso e un mercato verso un diverso e nuovo possibile mercato (ad esempio uno shampoo concepito per bambini può essere dirottato ad utilizzatori per lavaggi frequenti)
- Posizionamento rispetto ad una categoria di prodotti: si persegue l’obiettivo di associare o dissociare un determinato prodotto rispetto alla famiglia di beni a cui si ascrive con una caratterizzazione discriminante tale da facilitarne la scelta in base alla stessa (ad esempio gli alimenti a basso contenuto di grassi)
Conclusioni
Fra i molti elementi di attenzione su cui occorre pianificare e valutare accuratamente nell’affrontare un nuovo mercato, il posizionamento riveste un ruolo primario e non è consigliabile lasciarlo al caso, qualora vi siano margini di intervento, ovvero alle fisiologiche dinamiche di mercato. Come per altri cardini del progetto aziendale export, sarebbe velleitario ridurre a poche categorie “scolastiche” la complessità dei fattori di analisi per la determinazione delle strategie, cionondimeno si è inteso fornire alcuni spunti di orientamento verosimilmente utili.
Saverio Pittureri
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