Cultura-business-internazionale

I risvolti dell'internazionalizzazione aziendale sul mercato domestico

Quando soffia il vento internazionale…

In vari interventi precedenti, ho richiamato ripetutamente, come l’esperienza sui mercati esteri possa riverberare, in modo fruttuoso, sul complesso della vita aziendale. La sola impagabile contaminazione culturale, già di per sé, motiverebbe l’intraprendenza internazionale, ma più pragmaticamente, è anche assodato che tale bagaglio si possa spendere efficacemente sul mercato domestico, attraverso azioni concrete, ottenendo risultati tangibili in termini di efficienza, successo e, in ultima analisi, di fatturato.

Mi piace portare ad esempio, un fenomeno curioso ed apparentemente eccentrico rispetto al tema. Gli iniziati dell’arte della vela, avranno senza dubbio sentito nominare il Café Saint Paul, un locale attivo in un porto delle isole Azzorre, nel mezzo dell’Oceano Atlantico. In questo luogo isolato, si ritiene che venga prodotta e scambiata, la più alta e innovativa conoscenza velistica al mondo, proprio perché vi si concentrano le migliori barche, di transito, provenienti da ogni angolo del pianeta, impegnate nella navigazione atlantica, che non è evidentemente una pratica di per sé banale. In quel locale, i valenti navigatori si raffrontano sulle rispettive teorie ed esperienze e da questo scambio fiorisce la magia.

Azzorre-Internazionalizzazione

Non occorrono grandi sforzi di astrazione, per comprendere come il modello sopra raffigurato, evidentemente declinato su un’angolazione peculiare, si possa adattare perfettamente alle arene economiche internazionali. Queste sono rappresentate, in massimo grado, dalle fiere, così come da ogni altra circostanza che preveda una certa aggregazione di operatori, senza trascurare, naturalmente, anche ogni singola interazione, con aziende clienti o fornitrici, che possa comunque offrirci come “effetto collaterale”, spunti interessanti e costruttivi, a patto di mantenersi aperti mentalmente e disponibili ad un confronto vero (le intenzioni, spesso purtroppo divergono dalle azioni).

 

I vantaggi trasferibili sul mercato nazionale

Vado ad elencare, in breve, i benefici più comuni che tipicamente si possono “incassare” sul mercato domestico, in conseguenza alle attività di internazionalizzazione, specialmente se ben svolte!

vantaggi culturali e tecnologici: i possibili vantaggi tecnologici sono lapalissiani, quelli culturali possono riguardare l’organizzazione aziendale, le modalità logistiche e distributive, le competenze desiderabili delle risorse umane, ma anche le tendenze globali, gli orientamenti produttivi e molto altro.

ricadute sull’immagine e sulla comunicazione: è evidente che la presenza su altri mercati trasferisca sull’impresa un aura di dinamismo e modernità, oltre che, evidentemente, di successo. Un insieme di impressioni e suggestioni, che esercitano un impatto virtuoso sull’immagine aziendale, sulle scelte dei clienti, nonché sui contenuti e l’efficacia della nostra comunicazione domestica e non.

economie di scala: al netto di eventuali adattamenti di prodotto, è altamente probabile che l’aumento dei volumi venduti, possa generare vari tipi di economie di scala, comprese le condizioni negoziate con i fornitori, la riduzione dei costi unitari, l’accelerazione degli ammortamenti, ecc… voci che consentono maggiori marginalità e/o maggiore competitività sul mercato nazionale

percezione di capacità e di forza: associato a quanto richiamato sull’immagine poco sopra, quasi sempre si genera anche una percezione di forza e solidità, che tendenzialmente si rivela suffragata dai fatti, e tale percezione può aiutare sensibilmente nell’ottenimento di finanziamenti, nel reclutamento di professionalità eccellenti, nella valutazione dell’azienda, sia sul mercato azionario, quando sussistano le condizioni, che in funzione di una eventuale stima di quote o assets.

possibile innesto di nuovi prodotti: gli inputs provenienti da altri mercati, possono suggerirci l’immissione in commercio di nuovi beni, che in alcuni casi ci mettiamo nelle condizioni di produrre direttamente e in altri, magari, possiamo acquistare dai fabbricanti, con condizioni protette per il nostro mercato nazionale.

possibili sinergie con altre imprese di filiera: da diversi anni, le istituzioni nazionali incoraggiano, in vari modi, l’aggregazione fra le imprese, con l’obiettivo di proporre consociazioni virtuose e funzionali ad offrire prodotti e tecnologie di filiera, e/o a creare una certa “massa critica”, in grado di competere con concorrenti esteri, tendenzialmente di maggiori dimensioni. Tali alleanze, possono trasferirsi, con varie modalità, anche sul mercato domestico, con ottimi riscontri per i contraenti.

maggiore potere contrattuale con le catene distributive: è abbastanza intuitivo, come l’accresciuta forza e l’accresciuto appeal dell’impresa, possano spostare determinati rapporti di forza, a suo vantaggio, a maggior ragione quando le catene distributive operino su un piano internazionale, e quindi abbiano interesse ad una collaborazione ampia e articolata, di tipo win-win, con il produttore.

A fronte degli indubbi giovamenti afferenti al processo di internazionalizzazione, è corretto riferire contestualmente anche l’esistenza di qualche potenziale rischio, che prevalentemente si può innescare in fase di investimento, ovvero prima di ottenere dei ritorni di una certa consistenza. Detta alea di rischio, si sostanzia, soprattutto qualora il business plan non sia ben calibrato, in una inevitabile distrazione di risorse dal mercato interno, che può, in particolari casi, impattare negativamente sulla salute dell’azienda.

Conclusioni

In conclusione, le attività di internazionalizzazione, programmate e gestite appropriatamente, non solo si confermano raccomandabili, per le ovvie finalità di espansione e consolidamento della crescita aziendale, ma anche per le molte possibili ricadute, di grande rilevanza, sul mercato interno.

Il mondo economico, comunque la si pensi, da molti anni, non funziona più a compartimenti stagni, nemmeno per le piccole realtà, e la loro capacità di adattarsi ai nuovi scenari geopolitici, la loro flessibilità, la loro capacità di innovazione, la loro cultura business, possono fare la differenza, sia per quanto concerne il conseguimento di risultati su scala internazionale, che in modo correlato e conseguente, anche sul palcoscenico nazionale.

Saverio Pittureri
Easy Trade

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    E’ meglio un solo listino prezzi adattabile o listini diversi per ciascun mercato estero?

    Cosa scegliere

    Da quando la globalizzazione interessa anche le piccole e medie imprese, è diventato motivo di confronto frequente se sia conveniente proporre, in ambito b2b, un solo listino prezzi per tutti i Paesi del mondo, sul quale operare adattamenti, o viceversa, si ottengano migliori risultati diversificando di partenza i listini. Non esiste una “regola giusta” e vi sono esempi di aziende capaci di realizzare crescite impetuose nell’uno e nell’altro modo, con entrambi gli approcci, percepite come corrette e moderne.

    La scelta, in verità, non è sempre possibile, e vi sono mercati e/o circostanze per cui ci viene espressamente richiesto un listino di prezzi netti o un listino comunque personalizzato secondo determinati dettami, per ragioni di strategia commerciale. Detta linea di condotta è più comune nei mercati del nord Europa, rispetto ad altre aree del mondo, ma non si può escludere anche altrove. In altri casi, tipicamente settoriali, o legati ad un determinato canale di vendita, vigono strutture di sconti consolidate, alle quali è più o meno inevitabile conformarsi, e questo requisito condiziona giocoforza la costruzione del listino.

    Allo stesso modo, per evidenti motivi, non è possibile, o meglio è molto complesso, gestire listini diversi, quando si venda mediante e-commerce internazionale, sia con iniziativa diretta che mediata da piattaforme specializzate.

     

    Di cosa tenere conto

    Qualora invece, vi sia la facoltà di decidere la linea di condotta , il più delle volte, io propendo per adottare lo stesso listino, nei vari mercati, naturalmente  plasmato e “ammortizzato” attraverso una attenta, e non casuale, politica personalizzata di sconti, abbuoni, offerte, premi, “pacchetti” di acquisto, riduzioni proposte sulle quantità, sulle forme di pagamento, su particolari condizioni commerciali, ecc..

    La controindicazione principale della diversificazione, deriva dal sostanziale agio con il quale i nostri clienti possano venire in possesso di un listino applicato in un altro Paese, ovvero possano incontrarsi personalmente in ambiti di concentrazione di operatori, come le fiere o i congressi e, confrontandosi, venire a conoscenza delle condizioni vigenti in altri mercati.

    La scoperta della probabile sperequazione fra i listini, potrebbe facilmente dare adito a contestazioni e fratture insanabili, dalle quali dobbiamo cercare di difenderci con ogni mezzo, considerando che un distributore estero affidabile, formato e fidelizzato, è un patrimonio inestimabile e che non possiamo permetterci di sperperarlo per una leggerezza.

    L’adozione di un unico listino viceversa, se ben gestito, ci concede l’opzione di appropriate individualizzazioni sui prezzi, mediante i provvedimenti sopra visti ma, nel contempo, ci consente anche di motivarle con ragioni solide che trascendano ogni possibile confronto transnazionale.

     

    I riferimenti utili

    Evidentemente, nel momento i cui si debba costruire un listino, che questo sia formalmente specifico, come invece “mascherato” all’interno di una sola intelaiatura omogenea, bisogna tenere conto di molti fattori per calibrarne appropriatamente i valori, in modo che la nostra proposta risulti sostenibile, congrua per la qualità percepita, e con gli obiettivi strategici prefissati, per il mercato in questione.

    Senza ripetere concetti già sviscerati nel precedente articolo. incentrato proprio su come definire i prezzi di vendita, ci limitiamo a evidenziare che l’utilizzo di un listino unico, renda più semplice, in ogni senso, anche l’introduzione di eventuali aggiustamenti, in una direzione o nell’altra, attraverso banali correttivi peculiari, non di rado necessari, in un nuovo mercato o in una situazione economica instabile.

    Fatte salvo le valutazioni puntuali sul contesto, dalle quali non possiamo prescindere, alcuni parametri qualificati di ordine generale, sul costo della vita e l’indice dei valori locali, potrebbero aiutarci ad orientarci sui prezzi più idonei, soprattutto in una prima fase, senza evidentemente considerare di rimettervisi pedissequamente.

    Uno fra i più noti ed affidabili fra i suddetti parametri, è il “big mac index”, inventato dall’Economist nel 1986, per stabilire se il tasso di cambio valuta vigente, sia corretto, partendo dall’assioma che tale indicatore dovrebbe progressivamente spostarsi, verso il tasso che eguaglierebbe i prezzi di un identico paniere di beni e servizi (in questo caso, un hamburger), in due paesi qualsiasi.

    BIGMAC-index 2022

    E’ interessante osservare, come per un bene di larga diffusione, quale il celeberrimo panino, costituito da identici ingredienti, consumato con le stesse modalità, in ambienti sostanzialmente comparabili, ma in ecosistemi macroeconomici molto diversi, possano sussistere variazioni davvero significative nei prezzi proposti, (vedi tabella) i quali, per convenzione e comodità di confronto, vengono tradotti in un’unica valuta: il dollaro USA.

     

    Conclusioni

    La scelta fra un listino unico flessibile o vari listini calibrati sui diversi mercati, salvo alcune circostanze, solitamente non è tassativa, e può risentire anche di abitudini specifiche di settore o di mercato, che trascendono le nostre considerazioni tattiche e/o razionali.

    Una delle strategie maggiormente consigliabili, in ogni caso, per un determinato mercato, è quella di generare un qualche tipo di distinzione nelle caratteristiche del prodotto, e/o dei servizi annessi, che spesso è richiesta al fine di fare breccia, e adeguarsi al tipo di domanda presente e, nel contempo, può giustificare una legittima calibrazione ad hoc del prezzo.

    Quando non emerga un motivo di intervento (ma, ripeto, quasi sempre un adattamento si rivela opportuno a prescindere dalle politiche di prezzo) potrebbe essere sufficiente operare sull’imballo, oppure su una caratteristica fisica o tecnica marginale del prodotto, cercando naturalmente di non scompensare il giusto equilibrio, fra l’impatto di costi ed energie che possa richiedere una qualsivoglia modifica, ed il beneficio generato in termini di libertà commerciale.

    Saverio Pittureri
    Easy Trade Srl

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      Il-prezzo-nei-mercati-esteri

      I prezzi di vendita per i mercati esteri

      Di cosa tenere conto

      Come stabilire un prezzo ottimale, rimane una questione di assoluta centralità, per qualunque mercato, segmento, e Paese si affronti, nonché per qualunque prodotto o servizio si intenda proporre. Esiste una vera e propria pletora di opzioni e formule, più o meno complesse, alcune delle quali complementari, altre alternative, per formare il prezzo di vendita.

      In senso generale, è beninteso che esso si determini in primo luogo sulla base dei costi complessivi, ai quali venga assommato un margine di guadagno ammissibile, ma è fondamentale che sia strutturato contestualmente, ed in congruenza, anche ad altre decisioni strategiche, e tenendo conto di un gran numero di variabili, scaturite sia dal mercato, che dalle condizioni e dalle aspettative dell’impresa, a breve, medio e lungo termine.

      Ciascuno dei suddetti fattori infatti, riverbera in qualche modo, e si può sostanziare, ad esempio, in un servizio fornito, un progetto di comunicazione peculiare, uno stratagemma commerciale, e in molti altri tipi di spese e rischi, espliciti od impliciti (ciclo di vita del prodotto, struttura e requisiti del mercato, tipo di partner e di canale, segmento bersaglio, forma di ingresso, interventi sul prodotto e sul packaging, classificazione doganale a destino, e/o altri oneri applicabili, utilizzo di depositi, logistica, margini di filiera, programmazione delle vendite per volumi e periodicità, marchio, trasporti, mix di prodotti esportati, valuta e cambio, eventuali forme di finanziamento, forme di pagamento, tempi di consegna, termini di resa, rischi dell’operazione, barriere non tariffarie, potenzialità commerciali in prospettiva, e l’elenco potrebbe continuare).

       

      Prezzi e strategia

      In conseguenza a quanto sopra, si evince che l’appropriatezza di questa scelta, da un lato discenda da numerosi e articolati risvolti, ma dall’altro abbia poi anche ricadute, a consuntivo, su ogni aspetto della vita aziendale: sulle finanze, il flusso di cassa, la possibilità di sostenersi e di investire. E’ dunque una decisione ad alto coefficiente di difficoltà e responsabilità, estremamente strategica e, talvolta, davvero creativa, se non quasi visionaria.

      Devo aggiungere che, nella pratica quotidiana delle PMI, che sono la mia platea di riferimento, il più delle volte, il prezzo viene attribuito, e magari periodicamente aggiustato, sulla base di considerazioni meno lungimiranti, ovvero tenendo conto, essenzialmente in modo lineare, esclusivamente dei costi visibili e della presunta marginalità,

      Benché in termini diversi, e con distinte logiche, il tema del prezzo mantiene la sua rilevanza, sia quando si parli di B2B che di B2C, e in entrambi gli ambiti, non sarebbe da affrontarsi una sola volta o sporadicamente, quanto piuttosto seguire dinamicamente, quasi come un metronomo, le risposte del mercato e l’idoneità progressiva del nostro business-plan, nella ricerca un equilibrio sequenziale, intelligente e funzionale.

       

      Costi fissi e variabili

      Ho accennato come la base di partenza per il calcolo, dovrebbe essere un’elevata consapevolezza dei costi, e resta ovviamente fondamentale, anche qualora vi si applichino le menzionate considerazioni aggiuntive. Notoriamente, esistono costi fissi e variabili, ma mentre i primi, solitamente risultano sostanzialmente chiari agli imprenditori, sui variabili, come già ricordato, spesso si riscontra una certa alea di incertezza, per via di voci in qualche modo sommerse, come il costo del tempo extra-produzione, i costi organizzativi e varie altre spese normalmente presenti. Evidentemente non è una buona premessa per un calcolo corretto del margine di contribuzione.

      Nei fatti, la risposta più diffusa risulta quella di considerare un sovrappiù “di sicurezza” ai costi identificabili, e successivamente applicarvi un margine di guadagno (una sorta di declinazione delle tecniche di “cost-plus” e “mark-up standard”, piuttosto informale). E’ un approccio che sovente può funzionare, pur non restituendo un quadro preciso. Laddove però, si renda necessario adeguare il prezzo ad un contesto, per qualsiasi motivo, più sfidante, la piena cognizione della struttura dei costi agevola indubbiamente le decisioni.

      Evidentemente, la citata struttura dei costi, compresi quelli fissi, viene influenzata tipicamente, in corso d’opera, dall’impatto dei riscontri reali di mercato, in una sorta di “riflesso circolare”, sia attraverso il principio delle economie di scala che quello della curva di apprendimento, secondo i quali se si riescono ad aumentare i volumi di produzione (e di vendita…), e nel contempo si acquisisce esperienza, si riducono i costi unitari, lo spreco di risorse, e si standardizzano i processi, migliorandone l’efficacia.

       

      Orientamento alla domanda di mercato

      Un primo assunto che potremmo adottare, mutuato dal mondo dello sport, recita: “primo non prenderle”; diciamo che funzionerebbe universalmente, ma diventa imperativo se ci riferiamo ad un mercato estero, dove un errore può rendere totalmente sterili i nostri sforzi e farci accusare perdite esiziali.

      E’ perciò opportuno, oltre a prevedere le sopraelencate attente valutazioni sull’ecosistema economico di riferimento, identificare il break-even point, cioè il il punto di pareggio (presunto) fra costi e ricavi, dal quale si possa desumere il numero di unità di prodotto che si debbano produrre e vendere, ad un certo prezzo ,per raggiungerlo, quindi dove si verifichi l’incontro fra le curve della domanda e dell’offerta, in un intervallo di tempo definito.

      Un altro concetto cardine, da mettere a fuoco, è quello del “costo marginale”, ovvero il costo da sostenersi per un’unità aggiuntiva di prodotto, utile per le stime di costo e di prezzo, a condizione che il potenziale produttivo dell’impresa non sia già pienamente espresso.

      E’ lapalissiano infine, che il variare di uno qualsiasi dei fattori sopraelencati, sposti conseguentemente il break-even point

      Curva-Domanda-Offerta

      Se “non prenderle” è il risultato minimo anelato, evidentemente si possono mettere in campo molte strategie più evolute per provare anche a vincere la partita! In riferimento agli obiettivi stabiliti, si può ad esempio proporre un “prezzo di penetrazione” (molto vantaggioso per il cliente, al fine di entrare nel mercato e/o massimizzare i volumi di vendita, nel breve periodo) oppure, concettualmente all’opposto, un “prezzo di skimming” o un “prezzo di prestigio”, atti sia a selezionare un determinato segmento di clienti, che a generare un certo posizionamento, mediante le percezioni di valore ed esclusività, che si possono o meno accompagnare alla leva della scarsità (quantità ridotta o disponibilità limitata nel tempo di un bene).

      Alternativamente o complementariamente, si possono utilizzare svariate altre opzioni, il “prezzo psicologico” (tipo 9,99 Eur), il “prezzo di confronto”, che prevede l’immissione sul mercato di due articoli comparabili, uno dei quali artatamente valorizzato mediante il prezzo (alto o basso in relazione all’obiettivo), il “price lining”, con riferimento a fasce di prezzo correlate a specifiche linee di prodotto, il “prezzo obiettivo”, che viene attentamente studiato, in funzione a quanto il consumatore si mostri disposto a pagare, il “bundle pricing”, che consiste nell’offrire più prodotti aggregati, ad un unico prezzo riconosciuto come conveniente, il “premium pricing” che il cliente accetta di buon grado, in nome di una qualità percepita superiore (le cui connotazioni però possono variare sensibilmente da paese a paese).

      Gran parte delle suddette strategie (e non sono le sole), vengono preferenzialmente attuate nella sfera del marketing indirizzato al consumatore finale ma, in una certa misura, possono trovare spazio anche nel B2B, pur mediate da filtri tecnici e psicologici meno palesi.

      Naturalmente, per funzionare, le stesse devono non solo essere inglobate in un progetto strutturato e sostenute da varie attività propedeutiche, ma anche contemplare possibili cambi di rotta e rettifiche tempestive, se e quando necessari.

      Va infine tenuta in debita considerazione l’attuale potenza dei media, che sono in grado di veicolare le preferenze, fare percepire vantaggi competitivi veri o presunti, formare o distruggere una reputazione e/o una moda, e a tutti gli effetti, generare un bisogno, in tempi rapidissimi, impensabili in passato.

       

      L’impatto della concorrenza

      Quando ci si affacci ad un nuovo mercato, che lo si faccia in punta di piedi, ovvero che si abbiano il proposito e le risorse per farlo con forza, non si può trascurare una ricerca sui prezzi praticati dalla concorrenza presente; fatti salvi i casi, attualmente piuttosto rari, di incarnare il ruolo del pioniere per un certo bene, o di disporre di un prodotto senza alcuna concorrenza reale, nemmeno surrogata, in quel particolare mercato.

      Il cosiddetto “benchmarking” risulta sicuramente più attendibile e funzionale quando condotto su imprese, non solo concorrenti, ma con simile dimensione e struttura dei costi alla nostra (assumendo i loro calcoli come idonei).

      Facendo tesoro delle conclusioni dell’indagine menzionata, la direzione della nostra condotta complessiva, in termini di offerta, di comunicazione, di servizio, ma evidentemente anche, se non soprattutto di prezzo, dovrà indirizzarsi alla conquista di una quota di mercato, il che potrà avvenire tipicamente proprio a spese della concorrenza, sebbene in qualche misura, con adeguati messaggi e caratteristiche distintive, talvolta sia possibile attrarre anche nuove categorie di clienti tout court.

      Alcune delle scelte tattiche improntate sulla concorrenza, quando sussistano i presupposti di sostenibilità finanziaria, possono contemplare l’allineamento ad abitudini già consolidate e remunerative, stabilendo un “prezzo di consuetudine”, oppure un prezzo lievemente inferiore o superiore a quello mediamente accettato, a seconda delle finalità perseguite, o persino un “prezzo civetta” (ovviamente in caso di B2C), che richiami l’attenzione del consumatore sulla nostra azienda e sulla nostra proposta commerciale complessiva.

      Naturalmente le opzioni di cui sopra, qualora dovessero farci meritare visibilità, potrebbero indurre reazioni da parte della concorrenza, che legittimamente tenterebbe di salvaguardare le proprie posizioni. Chiaramente, nel medio-lungo periodo, il mercato tende ad assorbire questi meccanismi autoregolamentandosi, e si va a costituire un sistema di competizione dinamica, fisiologico e caratteristico, nel quale, il nostro compito diventa quello di ritagliarci uno spazio stabile.

      Più nutrita e consolidata si palesa la presenza di concorrenza, in condizioni di libero mercato, più si delinea la tendenza all’insorgenza di un effetto di “perceived value pricing”, per un certo bene, da parte dei consumatori. E’ un elemento che sfugge al controllo dell’impresa, e che rende la curva della domanda più rigida alle variazioni di prezzo, ma tale orientamento può essere anche sfruttato dall’azienda a proprio vantaggio (introduzioni di migliorie, valore aggiunto tecnologico, servizi), per sparigliare il quadro.

       

      Variabili e obbligazioni

      In teoria, l’impresa potrebbe scegliere di determinare il prezzo anche sulla base di specifici traguardi di profitto, e anche in questa evenienza si declinano vari approcci e relative tecniche, da quella del “profitto obiettivo” a quella del “return on sales” fino al metodo del “return on investment”. Non indugio in delucidazioni, in merito, anche perché per le PMI che si approccino ad un mercato estero, questi ultimi restano criteri tendenzialmente velleitari.

      E’ invece di rilievo trasversale e imprescindibile, la verifica ed il conseguente adeguamento, della presenza di eventuali vincoli legislativi in merito alla fissazione del prezzi, che possono avere carattere generale, oppure riguardare selettivamente alcuni mercati, canali di vendita, categorie merceologiche. A titolo esemplificativo, si possono incontrare limiti alle vendite promozionali, oppure vi possono essere prezzi calmierati o imposti per alcuni generi, o può sussistere l’obbligo di esibizione dei prezzi, talora anche il divieto di imposizione di prezzi di vendita ai distributori.

      Non di rado, vengono effettuate verifiche anche su pratiche di dumping, possibili accordi di cartello, prezzi ingannevoli o “predatori”, e “discriminazione dei prezzi” che, in qualche caso, adombrano un retrogusto protezionistico. Esistono poi veri e propri mercati statalizzati o fortemente regolamentati (tabacchi, alcolici, ecc…), dove sostanzialmente scompaiono gli eventuali vantaggi competitivi e la partita si gioca su principi totalmente differenti.

      Si è volutamente trascurato di trattare il “tranfer pricing”, in questo elaborato, essendo un concetto un po’ collaterale alla “galassia prezzo”, che verosimilmente verrà approfondito in altre occasioni.

       

      Conclusioni

      In buona sostanza, tanto per cambiare, è sempre bene muoversi preparati e studiare preventivamente, non limitandosi ad agire secondo le regole che magari abbiano pagato, fino ad oggi, per la nostra attività domestica, ma essere flessibili, talora sacrificare una parte di marginalità o accettare che il break-even point possa configurarsi relativamente lontano nel tempo.

      Ciò detto, bisogna anche essere pronti ad accettare il fatto che laddove non esistano le condizioni per renderci competitivi, e con prospettive concrete di marginalità accettabile, almeno nel medio-lungo periodo, sia preferibile rinunciare, piuttosto che scegliere di sbattere la testa infinite volte, come una mosca sui vetri in estate, e a consuntivo dover fare i conti con danni economici significativi.

      Saverio Pittureri
      Easy Trade Srl

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        offerte-commerciali

        Quando i rifiuti alle nostre offerte commerciali, fanno bene al nostro business internazionale

        La rassegnazione al rifiuto

        E’ lapalissiano che l’obiettivo prioritario dei nostri sforzi per strutturare un’attività di export interessante, sia quello di trovare clienti soddisfatti disposti ad acquistare con continuità. Fra le diverse strategie per raggiungere questo obiettivo, raramente viene data evidenza al risultato che può prodursi, profondendo qualche sforzo, nel lavorare sui “no”.

        Se è vero, universalmente e trasversalmente, che non si possa piacere a tutti (anche al di fuori del contesto business…), è però auspicabile, nel business, cercare, con determinazione, di allargare la platea dei consensi, da un lato utilizzando ogni risorsa disponibile e, dall’altro, non sprecando le energie già investite. A tal proposito, le aziende approcciate, a prescindere dall’esito, ci costano un certo lavoro di selezione e promozione; fatica totalmente sprecata se ci accontentiamo di prendere atto dell’indisponibilità.

        Il rifiuto della nostra proposta, da parte del potenziale cliente, statisticamente risulta un’eventualità largamente preponderante rispetto all’accettazione, ed è quindi normalmente percepita come naturale e inevitabile. Proprio detta ineluttabilità fa sì che buona parte delle imprese non ritenga di investire preziose energie sulle “bocciature”, e preferisca concentrarsi sul prossimo possibile cliente. Approccio comprensibile e rispettabile, che tuttavia priva l’azienda di fondamentali informazioni e opportunità.

         

        Quando e perché?

        Una prima domanda che ci dobbiamo porre, in relazione a nuovi potenziali clienti, riguarda la fase dell’approccio e/o della trattativa, in un determinato mercato, che venga più frequentemente bloccata dal diniego.

        Se, per esempio, dovesse emergere che non si arrivi quasi mai a poter formulare un’offerta specifica, sarebbe da prendere in considerazione che la nostra comunicazione sia poco seducente, oppure trasferisca sensazioni di sfavore, sconvenienza, non competitività. Esaminando la nostra comunicazione dovremmo farlo a 360° nella forma, nelle modalità e nei contenuti, sia per quanto riguarda i contatti diretti con il potenziale cliente, che in relazione alla nostra comunicazione strutturale e istituzionale.

        Cionondimeno, la causa prevalente dei fallimenti, potrebbe anche depositare in alcuni errori nella valutazione culturale e/o commerciale del mercato, quando, per qualche ragione, non risulti ricettivo rispetto alla nostra proposta, perlomeno così come formulata, oppure, talvolta, in una nostra scarsa capacità di profilazione dei soggetti ai quali rivolgersi, o magari nella sottovalutazione di concorrenti solidi e capaci, che abbiano in qualche modo saputo dettare regole e percezioni nel settore.

        Qualora viceversa accada che ci sia data l’opportunità di formulare un’offerta, ma questa venga, sistematicamente o quasi, rigettata, è altamente probabile che le nostre condizioni di vendita non siano allettanti in quel contesto. La più ovvia motivazione peculiare potrebbe riguardare il prezzo, ma non solo e non necessariamente, vi possono essere grandi dissonanze anche per le modalità di pagamento, di garanzia, di consegna, di minimo d’ordine, di servizi accessori, ecc…

        Solo per citare una delle cause più ricorrenti, molte aziende italiane, ostinatamente, non derogano per alcun motivo dal pagamento anticipato con i clienti esteri, modalità che ovviamente rende tutto più “facile”, non costringendo a studiare soluzioni alternative (comunque altamente tutelative, se ben congeniate), però, nella stragrande maggioranza dei casi, mortifica il fatturato in modo davvero significativo. Gli imprenditori se ne rendono conto, solitamente con stupore, solo quando finalmente accettano di sperimentare accordi diversi.

         

        Reagire al silenzio

        Come accennato, le cause dell’insuccesso, possono essere molteplici e, non di rado, concomitanti. Un’indagine di mercato approfondita (che sarebbe meglio attivare ex ante piuttosto che ex post), spesso potrebbe dare svariate risposte, ma in verità, non tutte e non sempre.

        Uno strumento certamente più economico e, quantomeno altrettanto efficace nel merito, si sostanzia nel cercare di instaurare un minimo di rapporto con il potenziale cliente e, sulla scorta di detto rapporto, creare le condizioni per chiedere conto direttamente a lui, anziché tentare di indovinare.

        Si tratta di un proposito tutt’altro banale, laddove il cliente non manifesti alcun interesse ad un accordo commerciale con la nostra azienda, ma per esperienza diretta, garantisco che in molti casi, è comunque possibile, se sussistano abilità relazionali, linguistiche e, sopra ogni cosa, capacità di interpretazione interculturale.

        Naturalmente l’iniziativa di costruire un abbozzo di rapporto personale, al di là delle capacità soggettive, risulta molto più agevole quando il candidato cliente si incontri di persona, piuttosto che attraverso conversazioni a distanza. Questa è una delle innumerevoli ragioni, più volte richiamate nei miei interventi precedenti, che consigliano di pianificare periodiche missioni nei paesi target.

        E’ poi intuibile che l’adozione di provvedimenti correttivi, di qualsivoglia natura, sul prodotto, sulla comunicazione, sui prezzi, ecc… che implichi investimenti e strategie imprenditoriali di lungo periodo, necessiti di essere corroborata da una sostanziale convergenza di riscontri in quella direzione, dal ricorso a fonti diversificate, e quando possibile, dall’assunzione di impegni almeno informali, in capo ad alcune controparti, per l’accensione di rapporti commerciali, una volta applicate le rettifiche opportune.

         

        Conclusioni

        Per quanto mi trovi d’accordo il concetto che il customer care si debba focalizzare prioritariamente sui clienti esistenti, producendo ogni sforzo per monitorarne il grado di soddisfazione e prevenire fughe verso i concorrenti, mi preme far notare che, quando possibile, valga la pena dedicare un certo tempo ed energia anche all’analisi dei “no”, che sono una fonte straordinaria di informazioni e opportunità di crescita in quel determinato mercato.

        E’ peraltro abbastanza probabile, costruendo un dialogo con gli interlocutori riluttanti, di riuscire a recuperarne una parte, e trasformarli in clienti, una volta appianati gli ostacoli che ne avevano generato le resistenze. Come ogni altra attività di internazionalizzazione, anche questa deve però essere contestualizzata e inserita in una strategia complessiva e lungimirante, di medio-lungo periodo, al fine di raccogliere risultati soddisfacenti e duraturi.

        Saverio Pittureri
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          voucher-finanziato

          Perché, qualche volta, il TEM finanziato col voucher può essere inutile o addirittura dannoso

          Il finanziamento Invitalia

          Lo spunto per queste riflessioni mi sorge da una telefonata-intervista, finalizzata ad una verifica di qualità circa l’utilizzo del voucher Invitalia. Il noto strumento finalizzato ad assicurare le prestazioni di un TEM, per le aziende beneficiarie, ai fini dell’internazionalizzazione aziendale. Intervista che mi è stata fatta da un ente preposto, in quanto la mia società ha ottenuto, fin dalla prima edizione del 2015, allora gestita dal MISE, l’inserimento nell’elenco dei fornitori accreditati.

          In breve, pronunciandomi “contro il mio interesse”, ho descritto varie perplessità sulle modalità con le quali detto finanziamento viene messo a terra, perplessità maturate alla luce di tre edizioni di partecipazione, confronto coi colleghi e con le imprese, durante queste tre edizioni, le regole sono modificate per alcuni aspetti, ma l’impianto dell’iniziativa è rimasto abbastanza coerente.

          Come capita anche per altre opportunità finanziate, le intenzioni sono ottime ma, può capitare che nell’applicazione si generino alcune distorsioni, sia sostanziali che percettive, le quali finiscono con il frustrare le aspettative delle imprese e scoraggiare le stesse alla prosecuzione delle attività. E’ una constatazione che stanno maturando anche in qualche stanza del MAICE, e le interviste commissionate presumo possano essere propedeutiche ad una messa a punto della proposta, per future occasioni. Evidentemente non è facile strutturare una formula priva di falle e realmente efficace per gli obiettivi perseguiti, resta il fatto che sia auspicabile un tentativo di miglioramento.

           

          Gli equivoci da parte delle aziende

          Le aziende destinatarie dei voucher, per antonomasia, hanno scarsa esperienza di internazionalizzazione, diversamente non ne necessiterebbero, ma detta scarsa esperienza può essere frequentemente cagione di cognizione dissonante, rispetto a quanto le prestazioni del TEM possano realisticamente offrire.

          Tipicamente il TEM, in queste realtà, deve partire da zero o quasi, quindi cominciare con lo strutturare le attività preliminari che consentano di lavorare nel modo migliore per l’azienda assistita. Dovrà conoscerne le virtù e i punti deboli e costruire un progetto solido dal punto di vista organizzativo, strategico e di impiego delle risorse. Successivamente si tratterà di scegliere uno o più mercati e analizzarli dettagliatamente, di selezionare e adeguare i prodotti e i servizi, di solito sconosciuti nel Paese di destinazione, aggiornare ed allineare gli strumenti di comunicazione e finalmente cominciare a promuovere le offerte aziendali.

          Il suddetto lavoro preparatorio, per quanto possa essere capace ed esperto il TEM interessato, ovviamente comporta dei tempi di ideazione e costruzione, e fatalmente la successiva attuazione del piano è condizionata da disponibilità finanziarie, spesso non illimitate. Evidentemente la conoscenza del settore da parte del professionista, e magari il contatto con qualche distributore affidabile, possono accelerare i tempi, ma non sempre e non necessariamente, perché il distributore anche quando “amico”, se opera professionalmente, è verosimile che per prendere in considerazione nuovi prodotti e servizi, richieda comunque un adeguato sostegno a 360°, ovvero attività di marketing appropriate, iniziative formative, prodotti ad hoc per il suo mercato, garanzie tecniche e contrattuali, customer care.

          Ovvero una dotazione di servizi, know-how e strumenti, che vanno comunque strutturati e organizzati, per sperare di avere successo stabilmente nei mercati altamente competitivi dell’epoca corrente. Tutto ciò si traduce, più di ogni altra cosa, in un investimento di tempo, non sempre brevissimo. Tale tempo cozza con quello previsto dal voucher e detta discordanza pilota l’azienda, non ben consapevole, verso la frustrazione.

          Diverso è ovviamente il caso in cui esista già una certa attività di export che vada implementata, e siano già presenti almeno alcuni dei presupposti strutturali per una buona attività sui mercati esteri. In un simile frangente, l’incremento delle vendite, il consolidamento e ampliamento dei rapporti, l’allargamento del parco clienti in alcuni mercati, risultano spesso essere obiettivi raggiungibili nell’arco dell’anno previsto, salvo che non sopraggiungano ostacoli non preventivabili.

          Tornando alle aziende meno esperte, numericamente preponderanti fra le assegnatarie, le reazioni al mancato ottenimento dell’agognato fatturato, possono manifestarsi attraverso diverse espressioni e gradazioni, ma difficilmente qualcuna di loro si rivela costruttiva. Ad esempio, dopo alcuni mesi di lavoro, l’imprenditore può invocare “concretezza” e spingere il TEM a contattare i potenziali clienti “all’arma bianca”, qualora il TEM per condiscendenza o quieto vivere si presti, finisce per operare come un call-center, con poche o nulle possibilità di successo, nel 2022; il rapporto, a quel punto, rischia di attorcigliarsi in una spirale di sfiducia, dalla quale diventa difficile uscire. Diversamente, l’imprenditore può nascondere la delusione e approdare placidamente al termine del mandato (considerando che in fin dei conti, ci “rimette poco”), maturando però una sostanziale diffidenza verso le attività di export, o verso i consulenti, o verso le iniziative finanziate, ovvero verso tutte e tre le cose. Il che ovviamente riverbera con un’incidenza esiziale sul futuro di quell’impresa.

          Il bilancio finale pertanto si configura deleterio per tutti i protagonisti, per l’impresa, come già ricordato, per il TEM che si macchia di una reputazione negativa, e per l’organismo erogante, che ha investito denaro pubblico in un’attività disfunzionale. I ritorni negativi possono addirittura innescare un effetto domino verso altre imprese, che fanno propria l’esperienza negativa riferita (è noto che i commenti avversi siano molto più rapidi e incisivi di quelli positivi), e rifuggono le iniziative di cui sopra. Forse non è un caso quindi, che da un lato, un buon numero di piccole imprese che avevano ottenuto il finanziamento in una delle edizioni precedenti, non compaiano nella lista dei richiedenti dell’ultimo bando e, dall’altro, le domande in senso assoluto siano state molte meno di quelle previste, e questo ha permesso di posticipare di molti mesi la chiusura prevista dell’iniziativa.

           

          Le inosservanze da parte dei consulenti

          Alla luce di quanto sopra, e per deontologia, sarebbe corretto che il professionista spiegasse già in sede di approccio quali possano essere le aspettative corrette per l’azienda, e che il percorso di internazionalizzazione non sia una corsa di velocità, ma somigli più ad una gara di fondo, nella quale siano resistenza, strategia, capacità e intelligenza, le armi per vincere. Dovrebbe anche ricordare che occorrono alcuni piccoli investimenti per partire, e che il voucher non sia un bottino da arraffare, ma un’opportunità per avviare un percorso virtuoso e consistente che si proietti nel tempo.

          Purtroppo, mi viene viceversa riferito, da alcune imprese, che, in qualche caso, vengano fatte promesse poco realistiche pur di ottenere l’incarico, o che vi siano società accreditate che collezionino contratti con indubbia abilità, per poi subappaltarli ad altri consulenti “meno visibili”, senza neppure conoscerli. In questo quadro, poco edificante, non mancano segnalazioni di presunte negligenze e incompetenza, che andrebbero ovviamente verificate prima di sottoscriverle.

          Anche senza prendere per oro colato le rimostranze delle suddette imprese, queste indubbiamente offrono lo spunto per una riflessione seria su quanto sopra.

          A mio avviso, ad esempio, un singolo consulente difficilmente può seguire più di 5 aziende diverse, con la necessaria dedizione, tantopiù che il compito non si esaurisce nella presenza settimanale, ma occorre ovviamente studiare, preparare il lavoro, e operare con una certa continuità anche in remoto. Quindi, per quanto ci sia disposizione al sacrificio e adozione di orari elastici, con più di 5 aziende, parlo per esperienza personale, ritengo improbabile offrire un servizio adeguato. E già stabilire un limite di questo tipo, credo aiuterebbe la qualità della performance.

          Per altro, anche qualora sorgano delusioni, incomprensioni, aspettative disattese in corso d’opera, o anche quando le eventuali leali premesse vengano dimenticate, resta comunque un dovere professionale e etico del TEM, continuare a fare del proprio meglio e svolgere, in coscienza, le proprie mansioni con il massimo impegno, fino all’ultimo giorno, per l’oggi e per il domani dell’azienda assistita, e non “tirare a campare”, perché tanto poi non proseguirà il rapporto.

           

          Conclusioni

          Come premesso è tutt’altro che facile costruire un finanziamento nazionale che possa essere realmente d’aiuto per le imprese, ma se non altro, mi permetterei, per il futuro, di suggerire alcuni correttivi, in parte già accennati più sopra, poiché il lodevole intento di fornire un abbrivio alle aziende, alla prova dei fatti, il più delle volte, non funziona.

          In primo luogo, sarebbe perciò utile trovare un meccanismo che misuri non esclusivamente i risultati di fatturato, per il primo anno, ma anche risultati di organizzazione, comunicazione, strategia, ecc… e che sulla base dell’ottenimento di questi ultimi, incoraggi le aziende alla continuità, fornendo un sostegno finanziario, in qualche modo più duraturo, ovvero per un anno successivo o meglio ancora per due. In questo modo si eviterebbero gran parte dei malintesi connaturati con la formula attuale e si otterrebbe un reale beneficio di lungo respiro per le aziende assegnatarie.

          Forse anche una maggiore attenzione, sia su quali possano essere le finalità delle aziende richiedenti, e come arrivino alla richiesta di finanziamento, che, dall’altro lato, sull’organizzazione del lavoro dei soggetti fornitori di servizi TEM, potrebbe aiutare a normalizzare i rapporti fra le parti, e renderli non solo più soddisfacenti ma anche più appropriatamente indirizzati.

          Saverio Pittureri
          Easy Trade

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            ricerca_clienti

            Come trovare clienti all’estero

            Minime premesse

            Ho motivo di pensare che l’argomento tocchi la quasi totalità delle aziende che già operano o che abbiano intenzione di mettersi alla prova sui mercati internazionali. Per la verità, buona parte delle strategie di seguito tratteggiate, sono perfettamente mutuabili sul mercato domestico, con il considerevole vantaggio che, in quest’ultimo, ovviamente, non si incontrino ostacoli linguistici, culturali e normativi, e vengano ridotti quelli logistici, finanziari, ecc…

            Formalmente si distinguono tecniche “push”, che prevedono la promozione di prodotti e servizi attraverso un’azione proattiva messa in campo dall’azienda direttamente e/o dalla forza vendita, ovvero “spingendo” l’offerta verso i clienti, e tecniche “pull”, atte a generare un’iniziativa o una manifestazione di interesse da parte dei clienti, ovvero “attirando” gli stessi verso l’offerta. Per un buon export manager i due metodi non devono essere concepiti come alternativi ma assolutamente complementari.

            Un’altra grande ripartizione riguarda evidentemente il target, ovvero se si tratti di B2B o B2C. Detta discriminante riverbera in modo notevole sulle strategie, le iniziative e, in parte, gli strumenti più idonei da adottare. In questa breve dissertazione ci concentreremo sul B2B, fermo restando che diversi principi e buone pratiche, soprattutto in termini di comunicazione, siano applicabili anche al B2C.

            Per diverse ragioni, la ricerca clienti oramai risulta difficilmente scindibile da un piano di marketing ben congeniato, che renda l’immagine della nostra azienda solida, e la nostra proposta credibile e appetibile (e qui potremmo nuovamente differenziare fra outbound e inbound marketing). Pertanto raccomanderei, quale attività propedeutica e parallela alla ricerca, di dedicare un budget per organizzare una comunicazione efficace e continuativa. Non si tratta necessariamente di somme proibitive, ma certamente occorrono organizzazione, chiarezza di idee e creatività.

            Ciò detto, qualunque approccio si privilegi e qualunque strumento si metta in campo, sono sempre necessari massimo impegno, determinazione, perseveranza e capacità di lettura del quadro d’insieme. Senza questo orientamento non vi è alcuna formula, investimento o artificio, che possa garantirci dei risultati.

             

            Fare i compiti a casa

            Parrebbe ovvio doversi preparare, ma nella mia esperienza pratica lo è meno di quanto si potrebbe pensare. Dovremmo dare per scontate sia le analisi del contesto economico, sociale, culturale e politico, che le ricerche di mercato generiche che abbiano portato alla scelta di un determinato Paese o area omogenea, così come la valutazione di possibili criticità logistiche, giuridiche, doganali, finanziarie, ecc…

            Fatto questo, bisogna conoscere a fondo non solo i prodotti e servizi che si intendono proporre, ma anche le offerte della concorrenza, almeno le più significative, presenti in quel mercato, e la diffusione di eventuali prodotti di filiera, complementari o sostitutivi. Questo bagaglio di referenze ci consente di calibrare il posizionamento in termini di prezzo, e soprattutto di valorizzare i vantaggi competitivi, nonché di proporre eventuali servizi aggiuntivi ad hoc che possano determinare la scelta.

            A titolo puramente esemplificativo, in vari Paesi del nord Europa, per diversi settori, un’estensione della garanzia può aiutare a conquistare la fiducia mentre in nord Africa, molto spesso, l’aggiunta di formazione nel pacchetto dell’offerta, riesce a fare la differenza.

            Non sempre, o meglio quasi mai, paga presentare tutta la gamma produttiva tout court, sia perché, in qualche modo, “distrae”, che perché può farci percepire come partner in modo disfunzionale alla riuscita dell’accordo. E’ pertanto preferibile operare una selezione, quando possibile adattata o adattabile, per caratteristiche, alle richieste del mercato bersaglio. Non di rado, il nostro partner può gradualmente essere indirizzato anche a prodotti meno usuali per lui, e sull’entusiasmo tentare poi di “convertire” una fetta del proprio mercato. Quando ciò avviene però, è quasi sempre sulla scorta di successi corroboranti con prodotti e servizi più familiari e la creazione di un rapporto di fiducia.

            E’ utile tratteggiare un profilo ideale di controparte, sia esso un distributore, agente, utilizzatore nell’ambito di un processo produttivo, o magari intermediario, ben sapendo che verosimilmente non incontreremo mai tale ideale, ma avendo consapevolezza di quanto il soggetto reale si scosti dal suddetto profilo, e di quali siano quindi i prevedibili compromessi e le aree di conflitto potenziale da gestire.

            Alcuni criteri di scelta possono riguardare l’organizzazione di vendita, il portafoglio clienti esistente, la capacità di gestione di adempimenti correlati al commercio internazionale, le competenze linguistiche, la solidità finanziaria, nonché l’orientamento ad una collaborazione proattiva che preveda iniziative di marketing e obiettivi condivisi.

            Consiglierei sempre, laddove disponibile, di procurarsi una visura camerale (che ci confermi, fra le altre, l’autorità di firma del soggetto), dare un’occhiata ai bilanci, e magari commissionare una valutazione di merito creditizio. Senza trascurare il fatto che le società interpellate per informazioni finanziarie (ad esempio Dun & Bradstreet o Orbis) possono dare anche qualche ragguaglio commerciale avendo accesso ai registri di imprese e altri grandi database ufficiali nazionali.

             

            Il sito e gli altri strumenti web

            Una delle prime iniziative raccomandabili è la creazione (o l’aggiornamento) del sito web, orientato ad una platea internazionale. Non entro nei dettagli, avendo già trattato l’argomento a più riprese in altri articoli, mi limito a ricordare, in breve, che essendo la nostra principale vetrina, e la meta verso cui convogliamo le attenzioni generate dalle attività di marketing digitale, debba essere accattivante, scritto in modo comprensibile, corretto e, con gli adattamenti non banali di ordine culturale. Dovrebbe essere concepito anche nella lingua del mercato di destinazione, quindi non necessariamente solo in inglese, e trasferire al potenziale acquirente, del target identificato, in modo chiaro e concreto, i benefici attesi.

            Oltre al sito, la nostra presenza in rete si completerà con il presidio continuativo dei social media, di eventuali blog, forum, piattaforme informative, ecc… oltre che con eventuali attività di e-mail marketing e digital PR. Teniamo bene a mente che è molto difficile attirare l’attenzione, nell’oceano sterminato del web e, viceversa, molto facile perdere il visitatore, che ha tipicamente una soglia di attenzione estremamente bassa e intolleranza verso qualsiasi ostacolo (strutturale, linguistico e concettuale).

            In alcune aree del mondo, beneficiamo ancora di un traino marketing “naturale e gratuito”, dato dal fascino del “made in Italy”, che talvolta può procurarci un vantaggio iniziale, evidentemente però, detto abbrivio si esaurisce rapidamente, se non suffragato da elementi di attrattiva più tangibili.

            Dovremo sempre offrire contenuti di qualità e utili per gli utenti, che facciano percepire competenza e affidabilità. La reputazione, al lato pratico, precede quasi sempre la vendita. Tale “content strategy” è bene che si adatti alla sensibilità e alle aspettative del mercato bersaglio, intercettando eventuali problemi e desiderata espressi o occulti, e offrendo ad essi, una soluzione convincente e accessibile, possibilmente corredata di elementi distintivi, immagini e magari filmati che sono molto efficaci e apprezzati.

            Una considerazione importante ai fini SEO e SERP, è che la ricerca sui motori propone risultati principalmente su base geografica, per cui è sicuramente una buona iniziativa quella di prevedere una landing page nella lingua del Paese di riferimento, ma ancora meglio, per via delle performance di ranking, può funzionare un mini-sito, con dominio locale, che eventualmente si colleghi agevolmente al sito principale.

            bancadati

            I motori di ricerca cui facciamo riferimento (principalmente Google, ma anche Yahoo, Bing, Yandex, Baidoo, ecc…a seconda del mercato di interesse) hanno una diffusione e efficienza notevole in tutto il mondo,  lo stesso avviene per i social media, anche se non sempre sono gli stessi, nei diversi Paesi. Se da un lato l’obiettivo è la “brand awareness” da quello opposto è una visibilità anche minima, poiché non essere trovati su internet, anche quando espressamente cercati, genera molta diffidenza nella controparte, lo farebbe anche in noi, pensiamoci bene.

            I risultati del nostro operato sul web sono quasi sempre misurabili, con diversi strumenti, in parte gratuiti. La misura della produttività dei nostri sforzi, come intuibile, è fondamentale e imprescindibile, sia per correggere il tiro tempestivamente, che per valutare l’opportunità di eventuali investimenti supplementari a supporto.

             

            I social network

            E’ ovviamente improponibile ignorare l’impatto dei social network, nell’ambito del piano marketing digitale. In determinati mercati, settori e fasce d’età, hanno decisamente più presa, generano più contatti e influenzano le scelte maggiormente rispetto ai siti web. Come già accennato, in pratica è consigliabile che si integrino e armonizzino con il sito stesso, che esprimano coerenza di messaggi e che auspicabilmente “drenino” un buon quantitativo di leads dalla rete, e li veicolino al sito o ad una “call to action”, consentendo quindi all’interessato di interagire direttamente sul social stesso o mediante diverso strumento, ma con modalità che risulti sempre risolutiva.

            Fra i numerosi social attualmente disponibili, ai nostri fini spiccano Linkedin, che ha funzionalità molto avanzate (sia gratuite che a pagamento) e capacità di profilazione di grande qualità, ma ci consente anche di “rassicurare” il potenziale partner che visiti il nostro profilo, attraverso le testimonianze ed esperienze elencate; e ovviamente Facebook, che sebbene utilizzato per lo più per ragioni private, è enormemente frequentato, eterogeneo e penetrante, e ha una proposta per inserzioni davvero ben congeniata, tanto da non poter essere ignorato, sia a fini promozionali che di ricerca profili di clienti (buyer persona).

             

            L’uso dei motori di ricerca

            Evidentemente la rete rappresenta il principale e potentissimo strumento di ricerca per i partner esteri. Le incognite preliminari riguardano l’attendibilità e la pertinenza delle informazioni che vanno, quando possibile, confrontate e verificate.

            Il primo approccio piuttosto ovvio è quello attraverso i motori di ricerca menzionati in precedenza. Se gli strumenti sono arcinoti, lo sfruttamento avanzato delle opzioni che offrono lo è un po’ meno. In primo luogo, fra i settaggi possibili nelle impostazioni di Google, consiglio di selezionare la lingua e il Paese oggetto dell’indagine, eventualmente anche la data dell’ultimo aggiornamento. Già solo queste opzioni rendono la ricerca molto più incisiva e precisa.

            E’ poi importante scorrere i risultati oltre le prime pagine, fino a che non si esauriscono le risposte, e non scartare i portali, le banche dati, le directory pubbliche, gli elenchi di imprese che a vario titolo, vengono solitamente proposti in abbondanza. Per quanto riguarda le parole chiave, devono essere tentate tutte le alternative, compresi i sinonimi e le combinazioni possibili, sia specifiche “a coda lunga” che generiche. Per la selezione ci possono essere d’aiuto sia il generatore di parole chiave proposto da Google Adwords, i riscontri di Google Trends, gli Insight di Google, ma anche Ubersuggest, Semrush, Keyword generator ed altri siti simili.

            Fra gli “utensili” a corredo delle ricerche organiche, menziono qui di seguito: “Google Market Finder” che è in grado di offrire una stima dei mercati, nei quali possa essere più favorevole l’accoglienza dei nostri prodotti e servizi, “Google (o Bing) extractor”, “G-Business extractor”, “Yellow leads extractor”, ovvero software concepiti per catturare i dati anagrafici e altri dettagli utili di imprese, organizzati per categorie merceologiche e Paese, rispettivamente dai motori di ricerca correlati, da Google maps e dalle pagine gialle.

            Un altro importante aiuto è fornito dagli operatori booleani, ovvero speciali formule, determinate da segni grafici, che consentono di selezionare e raffinare la ricerca in molti modi, ad esempio procedere per esclusione, per affinità, circoscrivere, espandere, ecc… Sono numerosi e soggetti a frequenti aggiornamenti, per cui, più che produrne un lungo elenco, invito a verificare quali siano, in questo momento, quelli più efficaci e funzionali alle ricerche che si intendano intraprendere.

            Con qualunque tecnica si trovino i siti, o semplicemente i dati di potenziali clienti, è buona norma effettuare controlli da diverse fonti e incrociarli, prima di darli per acquisiti e veritieri. Grazie all’intelligenza artificiale, oggi esistono anche sistemi rapidi di selezione dei siti, mediante codice Ateco. Personalmente trovo che tale opportunità, per quanto allettante, possa rispondere ad una prima scrematura (con il rischio tuttavia di vedere sfuggire diversi possibili partner meno ortodossi o viceversa di assommare aziende poco congrue con la ricerca), ma occorra comunque confermare la suddetta selezione con una visita puntuale di ciascun sito, che, per ora, nessun software è in grado di fare con la nostra stessa esperienza e capacità di discernimento.

             

            I cataloghi e database delle fiere

            Non indugio sull’importanza delle fiere, all’interno di un piano strategico aziendale, e su come affrontarle sia in veste di espositore che di visitatore, avendo già illustrato l’argomento, in dettaglio, in altri articoli facilmente reperibili. Vorrei piuttosto evidenziare come la concentrazione di operatori di queste circostanze, possa essere sfruttata vantaggiosamente anche per una ricerca clienti “a freddo”.

            Il catalogo delle edizioni passate è una fonte ricca e dettagliata di potenziali clienti, in esso le aziende spesso descrivono i propri punti di forza in una breve presentazione, sebbene non si debba dimenticare che fra gli espositori si allineino principalmente produttori, piuttosto che distributori o rivenditori. Un tempo era facile acquistare anche gli elenchi di visitatori professionali, già classificati per categorie, che potevano ampliare significativamente il bacino di esplorazione. Negli ultimi anni, i regolamenti sulla privacy molto rigorosi, hanno reso questi elenchi molto più difficili da ottenere, almeno nei Paesi europei.

             

            Analisi della concorrenza

            L’analisi della concorrenza, diretta e indiretta, presente e affermata nel mercato bersaglio, è basilare. Capire come e cosa comunichino, in particolare esaminando i contenuti del loro sito web, a quale pubblico si rivolgano, con quali parole chiave, quali siano i punti di forza ed eventualmente di debolezza. Tale indagine ci consente non solo di risparmiare tempo e denaro per giungere a conclusioni efficaci, e elaborare elementi di differenziazione virtuosa, ma anche di approcciare i distributori sovente elencati (più facilmente dalle aziende medio-grandi), non sempre soddisfatti e/o protetti da contratti di esclusiva.

            A maggior ragione, sarà costruttivo e foriero di occasioni, scandagliare i siti di produttori di beni e servizi complementari o comunque vicini, i cui distributori, anche quando vincolati da contratto, di norma potranno essere contattati senza incorrere in alcuna violazione formale o etica.

             

            ICE, Ambasciate e altre istituzioni

            L’Istituto per il Commercio Estero, profondamente riformato nell’ultimo decennio, così come gli uffici commerciali all’interno delle ambasciate (ora non di rado le due strutture coincidono), o come altre istituzioni, italiane e non, con antenne collocate in molti Paesi, fra i servizi offerti, solitamente presentano la ricerca di nominativi di imprese segmentate per settore. Ad onor del vero, non sempre la lista fornita si rivela di grande qualità, ma i costi sono, di norma, accessibili e come ci siamo già detti ripetutamente, non bisogna lasciare nulla di intentato, anche in termini di fonti.

             

            Camere di Commercio

            Le Camere di Commercio italiane, estere, italiane internazionali, ma anche altre istituzioni affini, possono essere fonte di contatti validi, sia tramite la pubblicazione di annunci e manifestazioni di interesse, in apposite bacheche, che a seguito di incontri d’affari organizzati, sia nel territorio di competenza che, talvolta, anche in sedi estere, in collaborazione con istituzioni locali. In queste circostanze, non sempre la compatibilità con gli interlocutori esteri si dimostra particolarmente centrata, ma vale comunque la pena tentare, soprattutto per quanto riguarda le iniziative territoriali, che sono normalmente vicine e gratuite, perché se non direttamente, può magari capitare che veicolino l’accensione di rapporti interessanti “di sponda”.

             

            Associazioni di categoria

            Le associazioni di categoria sono numerose e diverse, di conseguenza la loro capacità di messa in campo di iniziative utili ai fini del reperimento di clienti risulta evidentemente molto varia, e differisce sensibilmente anche in relazione alle abilità delle singole persone, che ne animano l’attività nelle varie sedi. A prescindere, resta tuttavia buona norma mantenersi informati sulle iniziative che promuovono, e quando presumibilmente utile, parteciparvi. Vale per le associazioni di categoria come per le Camere di Commercio sopra viste, che non si debba presumere di delegare alle stesse la promozione dei nostri prodotti e l’opera di “seduzione” del cliente, ma eventualmente solo di creare l’occasione di incontro.

             

            Tender internazionali

            Nella lista dei partecipanti alle gare internazionali, specie in alcune aree del mondo, compaiono di frequente società di trading e distributori, ben strutturati e organizzati, che potremo certamente avvicinare per un potenziale sviluppo commerciale nel Paese di insediamento. Per quanto riguarda l’Unione Europea le informazioni sono reperibili abbastanza agevolmente, tramite portali ufficiali dedicati, talvolta è meno semplice invece rintracciare i ragguagli necessari in altre zone del mondo, ma esistono comunque, quasi sempre, siti istituzionali piuttosto affidabili ai quali indirizzarsi.

             

            Piattaforme cross-border e business matching

            Sono oramai entrate nella vita privata e professionale di molti di noi, le piattaforme di vendita cross-border (Amazon e Alibaba in primis), ma non sempre consideriamo che possano rappresentare anche una sorgente di informazioni sulle imprese di un determinato settore, e magari anche una prima opportunità di contatto.

            Amazon

            Altre piattaforme web, di natura totalmente diversa, ma ugualmente interessanti, sono quelle che propongono servizi di business matching. Hanno conosciuto una fioritura straordinaria negli ultimi due anni, funestati dal ciclone pandemico, ma è verosimile che sopravvivano al virus, e possano diventare un veicolo strutturale e aggiuntivo, di contatti business agevolati.

             

            Informazioni doganali

            A causa dell’applicazione, nel 2018, del Regolamento (UE) n. 2016/679 che disciplina il trattamento dei dati, attualmente non è possibile ottenere informazioni dalle dogane del vecchio continente; in alcuni Paesi è invece ancora possibile utilizzare alcuni canali appositi, tipicamente agenzie specializzate, per estrapolare dei rapporti descrittivi di soggetti importatori, valori e indicativamente quantità transitate, per codice doganale. Si tratta di materiale piuttosto costoso, e non sempre pienamente illuminante, tuttavia per alcune categorie merceologiche e alcune aree geografiche, può indubbiamente dare indicazioni significative sui potenziali acquirenti.

             

            Tempi e metodi

            La ricerca, quando si cominci da zero, può comportare svariati mesi per ricavare una lista, attendibile e “ripulita”, di potenziali clienti, di una certa consistenza. Consideriamo poi che, sui “prospect” e “leads” rintracciati, dovremo spesso lavorare con attività di comunicazione e “arruolamento” graduale per ottenere un riscontro evidente, ne deriva che il compito non si esaurisca certo con i primi contatti, al contrario possa passare un certo tempo perché il cliente accetti di fidarsi e di testare la nostra offerta. In sostanza, salvo rari colpi di fortuna, la ricerca clienti reale, dopo la prima fase di raccolta, si trasforma quasi sempre in un lavoro continuativo e un flusso organizzato di attività.

            In conseguenza a quanto sopra, dovremo costruire un database strutturato, che se filtrato sulle nostre scelte e verifiche dirette sarà giocoforza, per noi, qualitativamente molto superiore a qualsiasi database già predisposto da altri. Per la gestione di tale database la soluzione più funzionale è indubbiamente un CRM che consente di profilare e segmentare i clienti e i contatti, nel modo più flessibile e personalizzato, ma anche e soprattutto di programmare le attività di interazione periodica con i clienti stessi e lasciarne traccia. Sarà solo la nostra abilità e professionalità a farci chiudere gli accordi, ma il CRM può rappresentare realmente un grande aiuto per razionalizzare il lavoro e indirizzarlo verso buoni risultati.

             

            Conclusioni

            La ricerca clienti all’estero, sebbene concettualmente abbastanza semplice, nella pratica è tutt’altro che un’attività banale, e non può essere risolta in modo sbrigativo o superficiale, pena il non vedere concretizzata alcuna vendita al termine “presunto” del lavoro.

            Necessita invece di metodo, competenze e motivazione e dobbiamo rammentare che, normalmente, salvo condizioni particolari di non concorrenza, per centinaia di possibili clienti rintracciati, solo una quota di essi potrà essere interessata ad ascoltare la nostra proposta, e una percentuale ancora più piccola ad intavolare trattative, per distillare infine pochissimi soggetti, con i quali, se saremo bravi, stabiliremo un rapporto commerciale concreto e che dovranno ricompensare tutti i nostri sforzi.

            Si capisce bene dunque, come da un lato sia vitale allargare la base di ricerca, e dall’altra curare in modo impeccabile i clienti acquisiti, senza darli per scontati, al fine di non vanificare un lavoro tutt’altro che trascurabile di preparazione e finalizzazione.

            Saverio Pittureri
            Easy Trade

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