Posizionamento-prodotto

Export: tutto quello che avreste voluto sapere sul prodotto e non avete mai osato chiedere! Parte IV

La quarta e ultima (almeno per il momento…) breve digressione sulle opzioni strategiche per introdurre un prodotto in un nuovo mercato, si concentra sul posizionamento. È di tutta evidenza come un posizionamento corretto sia vitale per il successo del prodotto, impatti sulla marginalità e riverberi sulle possibilità future del brand e di nuovi prodotti.

Come facilmente comprensibile il concetto di posizionamento ha un senso pieno e sfaccettato quando ci si riferisca ad un mercato di consumatori finali, tuttavia anche in una sfera b2b, può o, meglio, è la regola che sia presente un certo influsso, più sfumato e filtrato, dettato dal posizionamento che trascende le mere caratteristiche del bene.

Il posizionamento si costruisce attraverso svariate leve, fra le quali il prezzo è la più diretta e immediata, tuttavia non certamente l’unica. Evidentemente occorre anche adeguare realisticamente i propri obiettivi al contesto esistente, cionondimeno, in linea di massima è quasi sempre possibile avere un impatto piccolo o grande sul posizionamento attraverso le proprie scelte.

Qualora si verifichino contemporaneamente alcune condizioni, ovvero siano presenti prodotti direttamente concorrenti e si operi in un mercato evoluto e maturo, come la più parte dei mercati occidentali, il posizionamento diventa quasi obbligato e si crea fisiologicamente anche qualora il produttore, il distributore o alcun altro attore della catena commerciale attivi qualsivoglia azione specifica, allo scopo.

Nell’ecosistema economico europeo, ad esempio, è in atto, da un buon numero di anni, una tendenza ad amalgamare i diversi modelli di consumo, con posizionamenti analoghi, per i prodotti affini, nei vari Paesi. Su detti posizionamenti, le imprese stesse, mediante processi di benchmarking, vigilano costantemente e attentamente per non vedersi repentinamente escluse.

Diverso è quando si abbia a che fare con mercati emergenti e/o con mercati ove siano presenti pochi o nessun competitore diretto, nel qual caso, di norma, si possono applicare alcune linee guida orientative che funzionano da riferimento per il produttore ma in qualche modo, specularmente, anche per il consumatore.

  • Posizionamento rispetto ad un prodotto concorrente: si sostanzia in una strategia di “scontro diretto” con il concorrente principale al fine di superarlo nel confronto valorizzando i propri punti di forza e, all’occorrenza, creando adattamenti e aggiungendo servizi non proposti dall’altro soggetto presente nel mercato.
  • Posizionamento rispetto a particolari attributi assoluti del prodotto: vengono evidenziati, con forza, nella comunicazione, caratteristiche o benefici per il consumatore di oggettivo e incontrovertibile valore (ad esempio nel mercato dell’auto: sicurezza, comfort, unicità nei consumi e/o nelle prestazioni, ecc..).
  • Posizionamento rispetto al prezzo e alla qualità: vengono correlati al prodotto standard qualitativi elevati e prezzi selettivi, con eventuale suggestione di esclusività e qualifica attraverso l’acquisto, oppure all’opposto prezzi bassi in rapporto agli standard qualitativi comunque soddisfacenti per il consumatore.
  • Posizionamento rispetto all’uso: è una leva di importanza crescente negli ultimi anni, in particolare nei settori a forte contenuto tecnologico. Si tratta della proposta di un uso innovativo e diverso di un prodotto già presente sul mercato, che viene in tal modo rivitalizzato, distinto, e evidentemente valorizzato (l’esempio eclatante è quello dei PC che potevano anche navigare in rete che arrivarono quando esistevano già quelli per scrivere, calcolare, archiviare).
  • Posizionamento rispetto ad un mercato obiettivo: attivando questa leva si intende indirizzare un prodotto concepito per un uso e un mercato verso un diverso e nuovo possibile mercato (ad esempio uno shampoo concepito per bambini può essere dirottato ad utilizzatori per lavaggi frequenti)
  • Posizionamento rispetto ad una categoria di prodotti: si persegue l’obiettivo di associare o dissociare un determinato prodotto rispetto alla famiglia di beni a cui si ascrive con una caratterizzazione discriminante tale da facilitarne la scelta in base alla stessa (ad esempio gli alimenti a basso contenuto di grassi)

Differenze-prodotto

 

Conclusioni

Fra i molti elementi di attenzione su cui occorre pianificare e valutare accuratamente nell’affrontare un nuovo mercato, il posizionamento riveste un ruolo primario e non è consigliabile lasciarlo al caso, qualora vi siano margini di intervento, ovvero alle fisiologiche dinamiche di mercato. Come per altri cardini del progetto aziendale export, sarebbe velleitario ridurre a poche categorie “scolastiche” la complessità dei fattori di analisi per la determinazione delle strategie, cionondimeno si è inteso fornire alcuni spunti di orientamento verosimilmente utili.

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prodotto-sui-mercati-internazionali

Export: tutto quello che avreste voluto sapere sul prodotto e non avete mai osato chiedere! Parte III

Una piccola introduzione…

In questa terza parte della piccola dissertazione sul prodotto, andiamo a esaminare brevemente quali possono essere gli approcci paradigmatici e i possibili riverberi percettivi, in rapporto a un determinato mercato.

Fermo restando quanto sviluppato nei due articoli precedenti, correlati a questo, le strategie in termini “filosofici” si possono suddividere in tre categorie fondamentali:

Strategie di imitazione: si riassumono, in questo gruppo, le strategie volte allo sfruttamento dei vantaggi esistenti sul mercato, già creati da altri. È prassi, ad esempio, di molte aziende cinesi, la conquista di quote di mercato, perlopiù già esistenti e occupate da concorrenti, con politiche di prezzo aggressive.

Strategie di sviluppo incrementale: afferiscono a questo filone, le strategie orientate al miglioramento del prodotto esistente, ottenendo l’interesse dei consumatori nel colmare i vuoti di offerta, e magari proponendo adattamenti, accessori e servizi, tendenzialmente non presenti nelle proposte già presenti.

Strategie di innovazione: si tratta di strategie tendenzialmente più dispendiose e rischiose delle precedenti, ma in caso di successo, di solito anche più remunerative e qualificanti. Occorre, quasi sempre, siano sostenute da adeguate strutture di ricerca e sviluppo. Propongono tipicamente prodotti sostitutivi, rispetto all’offerta esistente, o radicalmente nuovi, con l’aspirazione a ridefinire un uso o fare emergere un bisogno latente del mercato.

 

Ciclo di vita del prodotto e rilancio nell’export

A completamento della trattazione, ci pare utile ricordare, brevemente, come qualsiasi prodotto sia soggetto a un ciclo di vita, e sviluppi una curva, in un tempo molto variabile, a seconda della categoria merceologica e del mercato di riferimento. Si tratta di una considerazione adattabile più o meno ad ogni merce, tuttavia particolarmente evidente per quegli articoli che inglobino un certo tasso di tecnologia. Un bene, anche di indubbia qualità, che venga immesso in un determinato mercato, nel momento sbagliato, potrebbe fare fiasco semplicemente per non avere intercettato la fase propizia, per i gusti e le percezioni, dei segmenti target. I telefoni cellulari o i personal computer sono decisamente emblematici in questo senso.

ciclo-di-vita-del-prodotto

Bisogna aggiungere che, a dispetto del trionfo della globalizzazione, negli ultimi decenni, resistono sia un certo gap tecnologico nell’offerta media, nei diversi mercati, che distanze di tipo sociale e culturale. Tutto ciò veicola le imprese fabbricanti a poter proporre non solo prodotti diversi, adattati alle differenti circostanze, come ampiamente argomentato, a più riprese, ma, talvolta, anche lo stesso prodotto in un momento diverso, con buone probabilità di successo, quando si comprenda lo scenario.

Non è pertanto raro, ad esempio, che un determinato bene, in fase di declino nel Paese di provenienza, possa trovare un nuovo impeto commerciale in un mercato di destinazione, ove incontri condizioni e un quadro generale favorevoli, estendendo in tal modo il proprio ciclo di vita e sviluppando un extra reddito per l’esportatore, e talvolta innescando un nuovo stimolo a investire per ammodernarlo, con possibili rimbalzi virtuosi sul mercato di origine.

 

Possibili percezioni del prodotto in un nuovo mercato

Sulla scorta di quanto sopra, con un briciolo di semplificazione teoretica, è possibile anche identificare una schematizzazione di massima, sulla percezione del prodotto in un nuovo mercato, accettata dalla maggioranza degli analisti (ma che ha soprattutto una certa rispondenza concreta nell’operatività quotidiana) che si può riassumere nei termini che seguono.

Analoga al mercato di provenienza: è evidente che tanto più il mercato di destinazione sia vicino, culturalmente, economicamente, socialmente e, non di rado, geograficamente, tanto più esista la possibilità che il prodotto proposto venga percepito in modo analogo in termini di posizionamento, utilizzo, genere di consumo, ecc…

Amplificata: questo tipo di percezione si può verificare quando il prodotto in questione venga avvertito come “acquisito”, non particolarmente distintivo o portatore di valori peculiari nel mercato di provenienza, mentre assuma un risalto decisamente diverso nel mercato di destinazione. Un buon esempio può essere costituito dalla moda italiana, che acquisisce una dimensione decisamente rinforzata quando varca i confini nazionali.

Ridotta: si verifica questo tipo di percezione, nel momento in cui si offra un bene, in un mercato nel quale esistano, ad esempio, consolidate tradizione e qualità produttive in un certo ambito, da cui l’offerta proveniente dal Paese esportatore possa in qualche maniera scontare una certa “sottostima”, come può essere il caso del vino o del formaggio italiano in Francia, oppure perché, in un determinato contesto, l’offerta venga avvertita come incongrua per i motivi più disparati, quale potrebbe essere una proposta di prodotti nautici in un paese che non abbia affacci al mare, ma solo modeste attività diportistiche in acque interne.

Deformata: una percezione deformata è più comune di quanto si possa pensare e può aver luogo, come parzialmente già esposto, laddove esistano, rispetto al Paese produttore, significative differenze nel tessuto sociale, negli usi e costumi, nelle possibilità di acquisto, e nel contesto di filiera in cui il bene offerto si va a inserire. Alcuni esempi efficaci possono essere rappresentati dal caffè espresso (in molti Paesi concepito come bevanda di “lusso”) ma anche altri alimenti, oppure da prodotti con tecnologia modesta e talora persino obsoleta, per i nostri parametri, ma che in Paesi terzi, vengono frequentemente accolti come prodigiosi.

 

Conclusioni

Esistono plurime valutazioni e strategie, applicabili al prodotto. È importante conoscere il ventaglio delle opzioni, per analizzare, con cognizione di causa, quale direzione prendere, a ogni diramazione che ci si pone di fronte, nell’affrontare i mercati internazionali. Le variabili sono davvero tantissime e anche l’imprinting della globalizzazione, pur essendosi ripercosso con un significativo impatto sul mondo intero, e avendo omogeneizzato, in parte, la domanda planetaria, non ha annullato le differenze, talora molto rilevanti, le diacronie e le profonde eterogeneità socio-culturali. Le sole soluzioni praticabili, per limitare le topiche, in un quadro simile, sono quelle di apprendere, approfondire ed esperire. Poi non guastano anche un po’ di intuito e un po’ di fortuna…

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benefici-per-la- vendita

Presentare i prodotti e i servizi: impariamo a evidenziare i vantaggi per il cliente, non a autocelebrarci

Da che mondo è mondo…

Esiste un principio che regola le dinamiche di acquisto universalmente e trasversalmente valido a tutti i livelli e che possiamo facilmente capire nelle occasioni in cui ci troviamo dall’altra parte della barricata, come clienti. Compriamo invariabilmente per veri o presunti benefici che il prodotto o servizio in questione ci veicolano.

Ciò detto, è curioso come, tutt’ora, molti professionisti del commercio talvolta paiano dimenticarsene, concentrando la presentazione del proprio prodotto e/o servizio sulle virtù ineguagliabili dello stesso e dell’azienda produttrice. Intendiamoci, tale spiegamento di forze indirettamente può generare interesse nel potenziale acquirente, quando ne deduca un beneficio per sé, ovviamente, ma non sempre e non necessariamente.

Spostando il punto di fuoco dal proprio ombelico al cliente, ovvero quando ogni concetto lo si esprime mettendo al centro i suoi bisogni espressi o latenti l’efficacia del messaggio si moltiplica esponenzialmente. Non a caso, una pietra miliare del marketing mondiale, in modo particolare dell’area anglosassone, recita “features tell, benefits sell”.

 

Ribaltare la prospettiva

In altre parole, dobbiamo cercare di mostrare una certa caratteristica nella prospettiva di un vantaggio che può generare. Se per esempio racconto, una certa prerogativa tecnica singolare del mio prodotto, enfatizzando il fatto che rappresenti il frutto di anni di ricerca e sviluppo e investimenti, e che magari abbia ricevuto riconoscimenti ufficiali, sto mettendo in evidenza una peculiarità distintiva, certamente prestigiosa ma non necessariamente “sexy” ai fini dell’acquisto, qualora prima di quanto sopra scegliessi invece di sottolineare il fatto che la suddetta caratteristica, magari riduca il margine di errore, migliori la produttività (non genericamente ma con valori realistici) e/o consenta all’acquirente di risparmiare tempo e denaro (anche in questo caso, quanto più puntuale e comprovabile è il concetto e meglio è) adotterei una prospettiva molto più incisiva e tendenzialmente attraente agli occhi del cliente.

In buona sostanza, il cliente è interessato a quanto velocemente, con poca fatica e magari con poca spesa, una pompa possa gonfiare le gomme della bicicletta, non a come sia fatta la stessa o a quanto sforzo mi abbia comportato idearla. Qualora poi, nella mia campagna di comunicazione, come nell’esposizione degli argomenti di vendita, dimostrassi i vantaggi di cui sopra in modo evidente e inequivocabile, candiderei la mia pompa sicuramente all’attenzione e verosimilmente anche al successo.

Evidentemente il beneficio di cui sopra deve anche risultare interessante e traducibile in un tornaconto concreto per il destinatario, e possibilmente non coincidere con lo stesso offerto da tutta la concorrenza, poiché laddove si trattasse di un beneficio oggettivo, ma staccato dalla realtà non funzionerebbe ugualmente. Va da sé quindi che i vantaggi ai quali il cliente da valore in un ambito B2B non sempre, o per meglio dire raramente, combacino con quelli di un contesto B2C, resta valido, sempre e comunque, il concetto che tali convenienze debbano essere reali, ben identificabili, specifici e credibili e dimostrabili, nascendo da una onesta disamina da parte nostra.

 

In conclusione

A quanto sopra, operando in ambito internazionale, si aggiunge ovviamente la “solita complicazione” delle diverse culture, mentalità, identificazione di bisogni e conseguenti benefici peculiari, nei diversi mercati La risposta non può che essere quella di studiare e non andare a tentoni. Frequentare le fiere, ad esempio, dove vi è una concentrazione di operatori, e intervistarli in un contesto favorevole agli scambi e alle contaminazioni, oltre che, evidentemente relazionarsi con i clienti già esistenti, qualora ne esistano, chiedendogli esplicitamente quali siano le ragioni e le caratteristiche che li abbiano convinti ad acquistare e auspicabilmente continuare a farlo.

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Supply-chain

Come affrontare i problemi con i fornitori internazionali in questa fase delicata

Il quadro generale

Le catene di fornitura tradizionali, stanno cercando un nuovo assetto, dopo il susseguirsi di eventi avversi degli ultimi anni, che ha dato luogo a una vera e propria tempesta perfetta. Il combinato disposto fra scorie pandemiche e guerra in Ucraina, ha prodotto un corto circuito planetario che, nel breve periodo, ha messo in grave difficoltà un gran numero di imprese. Nel panorama italiano lo shock causato da carenza di materie prime e prodotti intermedi, e prezzi alle stelle sta tutt’ora riverberando significativamente sulle attività produttive.

Nell’anno in corso, parrebbero farsi strada alcuni timidi segnali di inversione di tendenza, per l’allentamento di alcune tensioni, in modo particolare si va stabilizzando il mercato dell’energia, che ha condizionato, ampiamente e trasversalmente, le economie e gli scambi internazionali, sebbene i noti grandi rischi, aleggino tutt’ora sulle nostre teste, e gli sforzi diplomatici in corso non paiano riscuotere grandi successi. In altre parole, in qualche modo, stiamo prendendo le misure a questo sopravvenuto ecosistema così precario e alterato, ove nuovi grandi cambiamenti futuri sono tutt’altro che scongiurati.

 

I trend che si stanno evidenziando

La domanda mondiale è vista in generale netto declino, soprattutto a capo dei paesi più avanzati, appesantiti dall’inflazione e da politiche monetarie restrittive, nonché dai numerosi sovranismi, che danno origine a maggiori ingerenze nell’economia, con effetti distorsivi sul libero scambio. Detta flessione non viene sufficientemente compensata dalla crescita delle economie emergenti, e si prevede possa conoscere una stagione di rinascita solo dal 2024, che potrebbe riproporre ritmi di crescita globali simili a quelli pre-covid.

I paesi emergenti, per la verità, rispondono in modo disomogeneo alle circostanze complesse che attraversano i Paesi avanzati con cui si relazionano. Fra di essi, quelli dell’area asiatica, è altamente probabile che continueranno a costituire la locomotiva economica preminente, componendo, come aggregato, quasi un terzo del PIL planetario.

Il venir meno di grandi player mondiali nelle catene di fornitura essenziali, per materie prime e prodotti intermedi, ha stimolato un riassetto complesso, tutt’ora in corso. Alle volte, sfociato con l’identificazione di nuovi partner, altre, quando possibile, con la sostituzione di prodotti. Grazie a tale reazione resiliente, i numeri complessivi del 2022, sono stati meno catastrofici di quanto si potesse ipotizzare, considerando anche che molti mercati, hanno potuto beneficiare di un “rimbalzo post-pandemico”, per quanto pesantemente condizionato.

In questo quadro, si inserisce anche un cambio della geografia degli investimenti. Nei numeri, la globalizzazione parrebbe non frenare, quanto piuttosto cambiare e spostare i valori da un’area all’altra. Indubbiamente il contesto eccezionale, ha funzionato da catalizzatore, ma non va dimenticato come si sia innestato su un processo fisiologico che, ogni 10 anni, vede muoversi almeno il 10% del peso economico, fra le varie aree mondiali. Certamente, il suddetto quadro politico, impatta anche sullo scambio tecnologico, decelerando fatalmente il progresso globale, con ovvie ricadute sull’economia.

Oggi si parla molto di “reshoring” o di “derisking”, ma anche di “nearshoring” e “backshoring”, per indicare una tendenza a spostare le produzioni verso altre destinazioni, ovvero riportare in patria la filiera produttiva, con l’obiettivo di ridurre i rischi di investimento all’estero, per embarghi, ostacoli tariffari e non, di varia natura, ma senza ripartire da zero. È poco realistico però, il teorema secondo il quale le aziende italiane avrebbero convenienza a riportare la produzione entro i confini nazionali, per una lunga serie di deficit competitivi non risolti, il primo dei quali è il costo del lavoro, che rimane del 400% più elevato che in Cina.

Ed è proprio la Cina, che rimane, al momento “la fabbrica del mondo”, a costituire il metro di paragone più eloquente. A detto riguardo, le aree maggiormente nel mirino, in questo momento, sono quelle del Mediterraneo meridionale, del Far East e dell’America latina. In modo particolare, il Messico (soprattutto per le aziende americane), dove il costo del lavoro è mediamente inferiore del 42% rispetto alla Cina, il Vietnam dove si attesta sul 54% in meno e si registra, da alcuni anni, un miglioramento dell’ecosistema business davvero stupefacente, e per quanto riguarda le imprese europee, certamente la Romania, ove il costo del lavoro supera quello cinese solo del 36%, con enormi vantaggi logistici. In tutto questo, occorre non dimenticare anche l’aspetto della sostenibilità ambientale che può comportare gravi ricadute reputazionali, di cui le impese sono chiamate a tenere debito conto.

Il trend verso una nuova normalizzazione, che registra anche un certo assestamento nei cambi valutari, dovrà però superare diversi colli di bottiglia non banali, nel prossimo futuro, rimarcati da alcuni indicatori di incertezza, su scambi, investimenti, produzione manifatturiera e aumento di barriere doganali, che permangono su livelli di guardia, sebbene meno allarmanti di quelli registrati negli ultimi 3 anni. A generare una forma di zavorra contribuisce anche la strategia di rialzo dei tassi sia della BCE che della FED americana, che continua a costituire un freno all’accesso al credito, ai consumi e agli investimenti.

 

Energia e commodities

Come si accennava, stiamo assistendo ad una progressiva stabilizzazione anche sul fronte dello stress energetico. Da molti mesi, è in atto un trend di rientro del prezzo del brent, dovuto a dinamiche piuttosto complesse e articolate, fra le quali, tuttavia, la ricostituzione delle scorte e il maggior coinvolgimento di alcuni paesi produttori, sono sicuramente preminenti.

Il valore di scambio medio, è ancora poco al di sopra a quello percepito come storicamente di equilibrio, intorno ai 70 dollari al barile, e sconta le perduranti deformazioni di mercato dovute, da un lato alla redistribuzione dei flussi, con particolare riferimento al petrolio russo, che pesa per l’11% dell’intera quota mondiale, e dall’altro dalle decisioni di arroccamento protettivo dell’OPEC.

Anche il prezzo del gas naturale si è calmierato sensibilmente, rispetto ai picchi, superiori ai 330 euro/mwh, e sebbene sia altamente improbabile, per varie ragioni strutturali, che torni ai 20 euro euro/mwh o meno, pre-crisi, quantomeno pare si siano trovati nuovi equilibri e efficaci contrappesi per galleggiare fra i 30 e i 40 euro/mwh attuali, con una prospettiva di teorica accettabile stabilità, nel medio periodo.

I prezzi delle commodities non energetiche, invece, restano ancora molto sopra i valori con cui le imprese si confrontavano fino a pochi anni fa, in un quadro d’insieme frammentato e eterogeneo. Se si segnalano alcune riduzioni da un lato, vi sono anche nuovi incrementi dall’altro. Fra i fattori eclatanti, il recente naufragio dell’accordo sul grano fra Russia, Ucraina, Turchia e altri attori internazionali, è prevedibile che avrà importanti riverberi su tutta la relativa filiera. Ad ogni buon conto, vi è un panorama piuttosto frastagliato, e permangono vari altri stimoli, ad esempio legati alle aspettative di crescita per alcune aree del mondo, soprattutto emergenti, e la conseguente domanda alimentata da queste, di materie prime.

 

Come possono muoversi le imprese italiane

Evidentemente, in questo periodo, per la catena di fornitura, la legge dominante è quantomai quella dettata dal mercato, ovvero dall’incontro delle curve fra la domanda e l’offerta. Per cui, la carenza di una determinata materia prima, a cui si sommano, spesso, manovre speculative, obbliga a mettere in conto un aumento dei costi e, talora, una difficile reperibilità. Date le previsioni, sopra viste, di persistenza nel medio termine, di tale andamento, è auspicabile che le aziende si attrezzino, per quanto possibile, per ammortizzare e prevenire le eventuali perturbazioni all’orizzonte.

In primo luogo, è consigliabile essere flessibili e disponibili a cambiare fornitori, in funzione della disponibilità degli stessi ad accettare, non solo prezzi più competitivi, ma anche accordi maggiormente equilibrati e tutelativi. Per esempio, è consigliabile pianificare gli acquisti con un orizzonte a medio-lungo termine, opzione che in condizioni normali di mercato, è fisiologicamente molto gradita anche al fornitore. Evidentemente, il fornitore che preferisca operare in modo rapace e opportunistico, in questa fase, rifuggirà da questa proposta, e ci darà in tal modo una misura della sua affidabilità come partner.

La pianificazione può prevedere la durata, i volumi minimi, le tempistiche, i prezzi e le possibili escursioni degli stessi nel tempo, nonché le condizioni generali, dell’accordo di fornitura. A tal proposito, si può ricorrere ad un contratto vero e proprio, che prevenga i conflitti e regolamenti in modo articolato il rapporto. In modo particolare, sui prezzi, si può prevedere un’indicizzazione determinata o una eventuale rinegoziazione, solo in caso di superamento di un certo limite di tolleranza dei costi all’origine. Esistono anche indici e parametri di riferimento internazionali, per alcuni settori, che sono attendibili e oggettivi, a cui rimettersi.

Come bilanciamento alle suddette clausole, si può anche inserire il risarcimento di un danno procurato, in caso di mancata consegna, o comunque per l’inadempimento degli obblighi contrattuali essenziali, in modo da essere meno ricattabili, nel caso in cui il fornitore cambiasse idea sui prezzi o sulle consegne, e volesse imporre tali nuove condizioni unilateralmente, per aver trovato magari un cliente disposto a pagare di più. Evidentemente, in caso di controversie particolarmente spinose sui prezzi, in presenza di un contratto ben fatto, si può anche prevedere una figura terza, imparziale, che determini i nuovi prezzi sulla base di valori equilibrati di mercato.

Una volta definito un contratto, resta tuttavia altamente raccomandabile, un largo uso del buon senso, soprattutto in un momento come questo, ove un eventuale braccio di ferro con il fornitore ci potrebbe danneggiare in modo gravissimo, con ricadute imprevedibili. È quindi una pratica lungimirante, quella di costruire un rapporto meno asettico con il fornitore stesso, possibilmente fargli visita e coinvolgerlo, per quanto possibile, psicologicamente ed emotivamente nel nostro progetto. Tale “fattore umano” non ci garantisce certamente sonni tranquilli, ma insieme ad un buon contratto, in linea di massima, può aiutare a prevenire ostacoli e preservare una relazione mutualmente soddisfacente.

Saverio Pittureri
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Globalizzazione

Siamo forse al capolinea della globalizzazione e, nel caso, come impatterà sul commercio internazionale?

Lo scenario corrente

Quello della globalizzazione, dei nuovi assetti geopolitici, e del riverbero che gli scenari emergenti possono avere sui commerci internazionali, sono fra i temi più discussi degli ultimi anni. Evidentemente, il micidiale “uno-due” procurato dalla pandemia prima, e dalla guerra fra Russia e Ucraina poi, che sta inesorabilmente spaccando il mondo in due (o più) fazioni, ha avuto, continua ad avere e verosimilmente avrà, un significativo impatto sugli scambi economici globali.

L’opinione di più parte degli analisti converge sul verosimile tramonto del modello di sviluppo, così come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi, con i pregi e i difetti che si trascinava da decenni. Ci riferiamo al mercato mondiale sostanzialmente globalizzato, orientato alla massima crescita dei profitti, al reperimento delle risorse laddove disponibili più facilmente e a minor costo, e alla possibilità, relativamente agevole e libera, di vendita i propri prodotti e servizi su scala planetaria.

E’ indubbio però, che ci troviamo anche di fronte ad un quadro molto fluido, e quello che sembra incontrovertibile oggi, non necessariamente continuerà ad esserlo, su un orizzonte di medio-lungo periodo. Possono cambiare i governi, possono accendersi o risolversi conflitti e dissonanze, e con essi mutare le alleanze, le convenienze, le armonie e le distanze. Viviamo un’epoca difficile e cruciale, dalla quale il mondo potrà uscire con un riconquistato assetto stabile di qualche genere o, viceversa, Dio non voglia, precipitare in un vortice realmente inquietante di ostilità e prove di forza.

 

Le prospettive plausibili

A qualunque deriva assisteremo, è pacifico che qualcosa cambierà anche nell’approccio economico strategico delle nazioni. Un esempio emblematico è rappresentato dall’approvvigionamento energetico europeo, che è stato appaltato, per decenni, pressocché interamente, ad un unico fornitore. A beneficio di questo rapporto, sono state edificate anche imponenti infrastrutture dedicate, e si è generata, nei fatti, una dipendenza perniciosa, come ora risulta chiaro a tutti. Immagino e spero, che deleghe monopolistiche di questo tipo, non avvengano più in futuro, non nei settori chiave.

Più in generale, le forme di governo e le scelte politiche, naturalmente hanno da sempre un impatto enorme, non solo sui sistemi nazionali, ma anche sulle possibilità e le opportunità per le singole aziende di aprirsi al mondo. Sia per il maggiore o minore controllo (ma talvolta anche sostegno) esercitato dal soggetto pubblico, in relazione ai diversi settori del sistema economico, come per la linea di condotta adottata dai governi verso gli scambi internazionali.

Grossolanamente, laddove prevalgano orientamenti protezionistici, diventa tutt’altro che agevole importare, così come la mancanza o la decadenza di accordi, ovvero l’insorgenza di barriere tariffarie e non o altri impedimenti, mortifica evidentemente le esportazioni. L’economia mondiale, al momento è, a seconda del grado di ottimismo con cui la si guarda,  ove più ove meno, malata o convalescente,. La carenza di materie prime, l’inflazione, i contrappesi nazionali e comunitari, condizionano pesantemente la vita delle imprese, che devono imparare ad essere ancora più flessibili, tattiche e “opportunistiche”, di quanto già lo fossero prima.

Sul tavolo della già citata energia, che è il vero tasto sensibile, comune a tutti i Paesi, secondo logica, si dovrebbe giocare la partita più importante per il futuro. Da un lato, perché l’energia è un elemento vitale per tutte le società, quanto lo è l’ossigeno per un organismo vivente, dall’altro, in quanto l’emergenza climatica ci sta ricordando con crescente e drammatica frequenza, la necessità impellente di una sterzata collettiva e, per quanto già prima dell’inaugurarsi dell’attuale crisi, fosse estremamente difficile la ricerca di una sintesi condivisa, in qualche modo, su questo fronte, il dialogo dovrebbe auspicabilmente trovare un modo per riaprirsi. Spero sia chiaro a tutti, quale sia l’alternativa apocalittica, ad una mancata intesa, nel giro di pochi anni.

L’auspicio, tutt’altro che certo, è che un eventuale dialogo sul tema, veicoli anche una qualche distensione sui fronti politico e economico. L’Italia, è pressocché totalmente dipendente dalle importazioni, l’82% dell’energia consumata proviene da fonti fossili, la cui disponibilità interna è poco significativa, il che, in aggiunta alle altre considerazioni, costituisce un aggravio imponente sulla bilancia dei pagamenti. Un’eventuale conversione cospicua, verso le fonti rinnovabili, realisticamente impiegherebbe decenni per compiersi, e speriamo comunque venga avviata convintamente, quanto prima. Perciò, al momento, restiamo alla finestra, navigando a vista, dopo aver tamponato l’emergenza con accordi di transizione, in attesa di capire a quali Paesi produttori sia possibile e appropriato rivolgersi, per l’approvvigionamento a medio-lungo termine.

Spostandosi su uno scenario più ampio, i rapporti fra USA e Russia, non sono mai stati così tesi dalla fine della guerra fredda, e anche fra americani e cinesi non aleggia certo un’atmosfera incantata. Sono numerose le ragioni di attrito, alcune delle quali storiche, altre acuite negli ultimi anni. La più vistosa fra tutte, riguarda il primato economico mondiale che, salvo cataclismi, vedrà la Cina mettere inesorabilmente la freccia e conquistare la vetta. nei prossimi anni. Il che non è un risultato di prestigio fine a sé stesso, ma riversa effetti macroscopici sugli equilibri geopolitici, sul peso finanziario, sulle aree di influenza, in una parola, sul potere del Paese nel panorama planetario. Non meno rilevanti e delicate, sono le questioni legate a Taiwan, ai diritti umani, alla giustizia, alle istituzioni democratiche, sulle quali il mondo occidentale mostra decisamente una diversa sensibilità.

Il recente viaggio di Blinken, salutato con molte aspettative, ha portato, almeno ufficialmente, un esito quasi risibile. La conferenza stampa del segretario di stato statunitense, ha evidenziato la comune preoccupazione per il deterioramento della stabilità internazionale, per la crisi climatica, e la tensione condivisa verso una soluzione pacifica del confitto in Ucraina, ovvero decifrando il codice diplomatico, si sottende un sostanziale nulla di fatto. Da parte cinese, si è invece fatto sapere, nell’occasione, curiosamente, con molta più trasparenza, come i rapporti siano al punto più basso dal 1979. Non dobbiamo fasciarci la testa, non preventivamente almeno, e alla suddetta missione è realistico ritenere seguiranno altri contatti, magari più proficui ma, al momento, lo stato dell’arte è quello descritto. Senza dimenticare che gli investitori cinesi detengono oltre il 10% del debito pubblico americano, è questo non è un dato trascurabile sui rapporti bilaterali.

Nella sua posizione di leader commerciale, da un lato, la Cina ha ovviamente interesse a mantenere uno status quo vantaggioso e pacifico, dall’altro il suddetto dualismo con gli USA, che prima di tutto è culturale, l’ha portata ad un riavvicinamento, che sembrerebbe più speculativo che ideologico, con la Russia. Dopo che, l’asse sino-russo si era molto annacquato, fin dai primi anni ’70, da quando cioè i due grandi Paesi, allora entrambi comunisti, affievolirono gradualmente le relazioni, formalmente per dispute sui confini ma, verosimilmente, anche per dissensi profondi di respiro internazionale. In questa fase, è chiara convenienza di entrambi (ma con palese supremazia cinese) implementare uno scambio di energia a basso costo in una direzione, e prodotti ad alto valore aggiunto in direzione opposta.

Oggi, in comune, oltre agli interessi peculiari, hanno l’obiettivo strategico di un nuovo ordine mondiale, che disarcioni gli USA dall’egemonia geopolitica, e il dollaro dal trono delle valute di riferimento per gli scambi mondiali. Sotto l’egida di questa aspirazione, potrebbero trovare consensi trasversali anche in Paesi molto lontani, in ogni senso, e senza particolari simpatie verso un’eventuale diarchia sino-russa, i quali darebbero un appoggio, più che altro, nel nome dell’antico assunto che “il nemico del mio nemico è (magari temporaneamente) mio amico”. Paesi del sud del mondo perlopiù, spesso iper-indebitati con le superpotenze, che, a parole, sentono dibattere di lotta globale alla povertà, ma non vedono alcuna inversione di tendenza concreta, rispetto allo sfruttamento di una posizione di forza, da decenni.

Per altro, la stessa Cina, ha visto opacizzarsi notevolmente l’immagine di grande Paesi in cammino, sul sentiero di un lento, ma inesorabile sviluppo democratico, che aveva costruito negli anni ’90 e 2000, con le aperture all’occidente, le conquiste sociali, la prepotente ascesa della borghesia nel Paese, e la conseguente diffusione di una forma di consumismo su larga scala. È invece, tutt’ora, ben consolidata la reputazione di “fabbrica del mondo”, e di Paese il cui PIL cresce in modo assai robusto (seppure oramai ben lontano, per ragioni tecniche e congiunturali, dagli aumenti a due cifre conosciuti in un recente passato).

Certamente, rimane un Paese decisamente lungimirante in termini strategici, tanto che, da almeno due decenni, sta proponendo una forma di “neocolonialismo” economico-finanziario, in Asia e Africa soprattutto, dove acquista materie prime, spesso con formule di countertrade, ovvero pagandole con grandi opere, infrastrutture, edificazioni, e generazione di posti di lavoro. Ma è già andata anche oltre, considerando come sia più che probabile, la prosecuzione della progressiva china di aumento dei costi in patria, che renderà inesorabilmente meno competitiva la produzione domestica, nei prossimi anni. Con tale orizzonte la Cina ha cominciato a organizzare, fin d’ora, impianti produttivi nei suddetti Paesi, pronti ad essere potenziati all’occorrenza.

In sintesi, la descritta marcata polarizzazione, come detto, ancora piuttosto fluida, sta producendo un effetto domino che tende a spostare i singoli Paesi, ovvero gli agglomerati di Paesi omogenei, sotto l’ombrello dell’ascendente di una o l’altra grande potenza o coalizione, in base agli accordi storici postbellici, alle aree geografiche, alle affinità politiche e culturali, ma più di quanto non si possa pensare anche ad un vero o presunto tornaconto economico, secondo quanto parzialmente e velocemente illustrato in questo articolo.

La conseguenza più congrua a questo scenario, condurrebbe pertanto a pensare ad una futura globalizzazione “spezzettata”, come una specie di Pangea commerciale che si sia frammentata nei diversi continenti (non corrispondenti esattamente a quelli geografici), i quali faticheranno a dialogare fra di loro, e preferibilmente intratterranno rapporti con gli altri componenti del proprio “pezzo”.

 

Conclusioni

Le prospettive esposte in questo scritto, comunque andranno a declinarsi, nei prossimi mesi e negli anni, come ovvio, in buona parte, passeranno sopra le nostre teste, senza alcuna possibilità di intervento e, talora, purtroppo, potranno persino travolgere alcune delle nostre imprese, come un uragano. Vorrei porre tuttavia l’accento su taluni suggerimenti per l’approccio individuale ai mercati esteri, fattore sul quale, per diversi aspetti, manteniamo invece un certo margine di manovra, che dipende dalla nostra reattività e capacità di adeguamento, già nel breve e, a maggior ragione, nel lungo periodo.

Il primo è quello di porsi in modo flessibile verso l’esplorazione di mercati “minori” accoglienti, e le opportunità che, magari, in passato, abbiamo sottostimato, valutato troppo difficili e remote, o addirittura folcloristiche, in quanto “sazi” delle nostre destinazioni consolidate e redditizie.

Il secondo è quello di non dare più per scontati mercati “saturi”,  e perseverare, anche ove non avessimo ottenuto riscontri incoraggianti, poiché si stanno presentando, non di rado, occasioni in cui, i riassetti in corso, portano gli attori di un determinato ecosistema, a non fidarsi più di fornitori (magari orientali), che pur garantendo un prezzo di base competitivo, non riescano più a rispondere ad alcuni requisiti, di tempi e costi di consegna, continuità, assistenza, ecc.. e possono quindi preferire rivolgersi (o tornare) a partner europei.

Il terzo ed ultimo suggerimento, che esploro in questa sede, concerne i cosiddetti Paesi “ostici”, nei quali, il coacervo degli elementi macroscopici, sinteticamente illustrati nei paragrafi precedenti, possa avere un peso rilevante. In tale frangente operativo, è opportuno non farsi disarmare dalle apparenti (o spesso oggettive) difficoltà, poiché, con un po’ di intraprendenza e capacità tecnico-burocratica di districarsi in un percorso ad ostacoli, e perché no, di relazione interculturale, possono comunque aprirsi nicchie e canali di approccio estremamente interessanti, diversi a seconda dei settori e dei mercati, nei quali, evidentemente incontreremo poca o nessuna concorrenza diretta.

Saverio Pittureri
Easy Trade

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Il CRM è indubbiamente uno dei migliori amici dell’export manager, vediamo perché

Cos’è il CRM

Per i pochi che ancora non lo sapessero, CRM è l’acronimo di Customer Relationship Management e si tratta di una categoria di applicazioni, pensata e costruita per organizzare le informazioni commerciali e le attività da svolgere con i clienti attivi, con quelli dormienti e con quelli potenziali.

Nasce, in forma embrionale, negli anni ’80, come robusto database strutturato per convogliare in un unico ambiente molte informazioni, e solo con il nuovo millennio supera la funzione originaria, comincia a proporre soluzioni più efficaci per supportare una relazione stabile e duratura con il cliente, con l’ovvia finalità di razionalizzare l’interazione e di massimizzare i profitti.

Un CRM può avere portata, ramificazioni e potenza molto diverse. Ad un estremo, è in grado di prevedere un gran numero di operazioni automatizzate online, all’altro può semplicemente fungere come incisivo promemoria per le attività off line. All’interno di tale amplissima forbice si declina, con flessibilità, una quantità infinita di funzioni e opzioni pienamente personalizzabili. Il denominatore comune, a prescindere dalla dimensione adottata, è che si semplifichino enormemente i processi aziendali e si possa allineare e coordinare in un attimo il lavoro di molte persone che condividano appunto l’accesso al programma.

 

Cosa fa un CRM

Come accennato il CRM, in qualche modo rivoluziona il modo di operare nell’ufficio estero. Io sono solito dire che una volta abituati ad usarlo, ci si dimentichi degli altri programmi, oltre che dei famigerati faldoni cartacei, e non ci si debba più aggrappare magari a file di ogni tipo, ad appunti sparsi o alla memoria. Evidentemente, da un lato la sua utilità concreta dipende dalla qualità e quantità delle informazioni che vi si inseriscono, e dall’altro dall’adeguatezza della struttura e dei compiti previsti, alla realtà aziendale che se ne serve.

Giusto per fare qualche esempio concreto, Amazon utilizza un potentissimo CRM, che si integra alle procedure di acquisto e che, fra le altre cose, ci ricorda cosa abbiamo acquistato di recente, quali prodotti vengano associati, da altri utenti, a quello che si sta osservando, quando sia l’ultima volta che abbiamo valutato una certa offerta, quali siano i prodotti alternativi, con i loro pregi e difetti, quali siano le opinioni espresse dagli acquirenti, da quanti mesi non venga acquistato un prodotto abituale e molto altro.

Lo stesso CRM è in grado di inviarci un ricapitolo delle nostre attività, un promemoria di prodotti di nostro interesse, una promozione agli acquisti, in base ai nostri gusti e alle nostre osservazioni e, di nuovo, molto altro. Immagino che tutti o quasi i lettori si ritrovino in esperienze di questo tipo, anche con altri siti molto noti. Molte di queste funzioni, in una proporzione adeguata alle dimensioni e ai bisogni di una PMI, sono oggi ampiamente attivabili, e anche a costi ragionevoli.

Non è un caso quindi che questa categoria di programmi, stia conoscendo una imperiosa crescita, anche in Italia, tanto che l’offerta è oramai molto ampia e varia e prevede sia l’acquisto che l’abbonamento al servizio. È sufficiente una piccola ricerca web per trovare numerose proposte e demo da esplorare. Consiglierei di investire un certo tempo e una certa attenzione nella scelta, poiché il CRM si candiderà a diventare uno strumento determinante (è possibile comunque importarvi vari tipi di database e migrare da un sistema a un altro, all’occorrenza).

 

All’ atto pratico

Un CRM, quando si operi su più mercati e magari con diversi addetti dedicati, consente con un semplice clic, di trovare in forma coordinata, moltissimi dati, di ogni genere, sul cliente, sui rapporti esistenti, le comunicazioni (mail e telefonate intercorse), i report di eventuali incontri, le foto scattate, le caratteristiche dei prodotti richieste, le abitudini di acquisto e di pagamento, gli eventuali contenziosi (è opportuno e semplice creare un collegamento con il gestionale), cosa il cliente ritenga importante, chi siano i decisori dell’azienda, i dati finanziari, e qualsiasi altra notizia utile per il rapporto, dal compleanno di un figlio, ad un’allergia alimentare, alla squadra del cuore del CEO.

Ogni informazione che vi avremo inserito (non entro, in questa sede, nel merito delle autorizzazioni legate alla privacy, che non vanno ovviamente trascurate) ci verrà restituita in modo organizzato ed efficace. Si ottiene così un sostanziale unico pannello di controllo, molto potente e flessibile, mediante il quale stabilire le azioni da farsi, sia commerciali che di marketing.

Ovviamente potremo raccogliere i dati sotto molte forme e categorie, a seconda del bisogno, creare alert per ricordare ai clienti un determinato evento, scoprire quali siano le leve (prezzo, prodotto, stagionalità, tempi di consegna, ecc…) attraverso le quali un’offerta venga accettata o rigettata. Spostare l’analisi su un determinato soggetto, una categoria di clienti, o invece un intero segmento di mercato.

 

Non solo CRM, e CRM customizzato

Come si sarà già intuito il CRM si può facilmente collegare a tutti i più comuni programmi di posta elettronica e, in tal modo, mostrare tutte le mail inviate e ricevute per ogni cliente. Si può interfacciare anche con Linkedin, con programmi di invio newsletter (operazione che la maggioranza dei CRM svolgono anche autonomamente), e sincronizzarsi con il calendario di Google, oltre a svariate altre interazioni.

Le aziende più evolute, ora tendono a preferire proprio CRM sempre più personalizzabili e integrabili, ed è un chiaro segno di consapevolezza e di valorizzazione dello strumento. Un percorso caratteristico, per una PMI, prevede una fisiologica curva di apprendimento, che può essere catalizzate da un corso ad hoc, successivamente, quasi sempre, nel corso di alcuni mesi, con l’uso quotidiano, si evidenziano caratteristiche e soluzioni desiderabili. Tali connotati possono essere introdotti (o modificati) al fine di rendere il programma più aderente alle esigenze specifiche, di settore o peculiari dell’impresa.

 

Dipendenti e CRM

Certamente il CRM si può prendere in considerazione anche per micro imprese, conosco persino diversi professionisti che ne fanno uso, senza avere alcun dipendente, ma è innegabile che dia il meglio di sé quando le informazioni possono essere condivise, fra vari soggetti. Naturalmente, per contro, tanto più si amplia la platea di fruitori quanto più potrebbe essere richiesto di limitare gli accessi in alcune aree sensibili, solo ad alcuni utenti, e fortunatamente si tratta di un’operazione non solo possibile ma banale da attivare.

Va anche ricordato che il CRM può essere prezioso anche per raccogliere il patrimonio di relazioni e contatti di un ogni commerciale che, diversamente, qualora lasci l’azienda, di sovente, non trasferisce in parte o in toto il proprio bagaglio di informazioni e contatti, accumulato in anni (o al massimo si limita ad uno sbrigativo passaggio di consegne). Con l’adozione di un CRM, ed un uso appropriato dello stesso, questo non accade, non va perso alcunché, e l’azienda ovviamente ne trae un enorme beneficio.

Evidentemente, va ben compresa e condivisa l’utilità portentosa di questo strumento, che si può utilizzare su qualsiasi device e ovunque nel mondo, basandosi sulla tecnologia cloud. Qualora capiti che venga adottato da persone poco inclini al cambiamento, che non ne capiscano realmente le potenzialità, o magari che si scoraggino di fronte ad un minimo di impegno iniziale per familiarizzarvi, allora il CRM può essere percepito come “un’incombenza supplementare” (purtroppo mi sono capitati casi del genere), quindi sottoutilizzato o sbrigativamente archiviato.

 

Conclusioni

Viviamo un’epoca di frenetica e sbalorditiva trasformazione digitale, che accelera i tempi, esige nuove competenze, e chiaramente rende il lavoro più efficiente e remunerativo. Fra gli strumenti che si stanno imponendo, nel nostro Paese, dopo averlo fatto in USA e nel resto dell’Europa occidentale, vi è il CRM. L’adozione di questo programma può davvero diventare un prezioso alleato, quasi irrinunciabile, una volta scoperto, per un moderno ufficio export.

Naturalmente il solo introdurre un CRM non basterà a vendere di più, occorre utilizzarlo bene, sistematicamente, e nel pieno delle sue enormi possibilità che, comunque, come destino di ogni applicazione, continueranno a svilupparsi e migliorare nel tempo. Non sarei stupito, a tal proposito, se fra qualche anno, i pochi resistenti che ancora non lo utilizzassero, finissero per scontare un gap negativo di velocità, organizzazione e precisione, che gli costi caro in termini di reputazione e fatturato.

Saverio Pittureri
Easy Trade Srl

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Export: tutto quello che avreste voluto sapere sul prodotto e non avete mai osato chiedere! Parte II

Restare vigili e attivi

Dando seguito alle considerazioni sul prodotto, in rapporto alle attività di vendita internazionale, tratteggiate lo scorso mese, analizziamo brevemente come si possa gestire una seconda fase.

Una volta presentati i prodotti sul mercato, e ottenuti i primi riscontri, benché si tratti di un successo importante, non avremo concluso i nostri sforzi. Occorrerà, per cominciare, verificare l’effettivo richiamo della nostra proposta sui clienti, e naturalmente ci si affiderà, in parte, alle osservazioni raccolte dai nostri partner locali, ma non solo.

E’ infatti bene trovare un sistema per monitorarne direttamente e con attenzione l’andamento, sia per non deputare il giudizio esclusivamente a pochi soggetti, che per essere parte in causa responsabile e consapevole, di tale delicato passaggio.

 

La collaborazione con i distributori

Evidentemente, sia nelle modalità di sondaggio, che in quelle di eventuale intervento, quando si siano strutturati rapporti di distribuzione, ovvero l’opzione più frequente per le PMI, è bene evitare di prevaricare i partner in questione, o semplicemente pontificare nei riguardi della loro attività, poiché da un lato rischieremmo di compromettere i rapporti e, dall’altro, verosimilmente la loro capacità di comprensione del substrato economico-commerciale locale si rivela fatalmente superiore alla nostra.

Un approccio costruttivo e solitamente ben accetto, è quello di prevedere delle collaborazioni di marketing, incluse nell’accordo contrattuale primario, se possibile cofinanziate. In tal modo otteniamo un duplice scopo virtuoso, da un lato quello di motivare il nostro partner ad investire sui nostri prodotti, con ovvi riverberi fattivi, e dall’altro quello di facilitare consensualmente la nostra presenza, in periodico affiancamento, alla luce di un interesse speciale per quel mercato, e le sue leve promozionali peculiari a cui ispirarsi.

Monitoraggio-prodotti

Fare i compiti a casa

Nella maggioranza dei casi, l’esperienza sul campo, nel tempo, suggerisce qualche correzione di strategia rispetto al prodotto e, non di rado, rivela anche la possibilità di cogliere alcune opportunità insperate, grazie ad adeguamenti di vario tipo, conoscenza di leggi, sfruttamento di mode o rapide integrazioni tecniche.

Talune fra le attività e le constatazioni che possono emergere più comunemente, e che pilotano verso riflessioni di “secondo livello”, sono riepilogate qui di seguito:

Monitoraggio costante della qualità del prodotto e/o del servizio
Flessibilità produttiva (rapida reazione a sollecitazioni di mercato di modifiche o maggiori quantità)
Stadio del ciclo di vita del prodotto (pionieri / piena diffusione / declino / rinnovamento, prodotto soggetto a mode, intervento di opinion leaders o influencer, ecc…)
Velocità di inserimento di eventuali innovazioni tecnologiche (per adeguamento alla concorrenza o intercettazione di richieste di mercato esplicite o implicite)
Personalizzazione spinta (alta qualità e duttilità, adattamenti mirati, facoltà di proposta “custom made”, “on demand”, ecc…
Grado di saturazione degli impianti / limite del potenziale della mano d’opera (attenzione a non farsi ingolosire da progetti sovradimensionati e/o intempestivi, ovvero ordini che non si riescano ad evadere con ricadute economiche e reputazionali)
Eliminazione dalla gamma di prodotti “banali” e a basso valore aggiunto (solitamente ci rendono perdenti per il prezzo, meglio spingere sulla creatività, lo stile, il design, l’originalità)
Rapporto fra costi fissi e variabili (se il rapporto è sbilanciato, occorre raggiungere considerevoli volumi di vendita o può non convenire perseverare; talvolta si può tendere ad una maggiore standardizzazione per abbattere i costi ma ciò evidentemente contrasta con le opzioni di personalizzazione auspicabili)
Margini di guadagno della distribuzione (ad esempio in Italia c’è molto più margine che in Germania; non c’è omogeneità fra i Paesi come fra i settori)
Limiti alle importazioni (necessità di licenze o autorizzazioni, contingentamenti e protezionismi vari)
Tendenza al “just in time” (nel qual caso occorre organizzarsi per detenere pochissimo stoccaggio e accorciare i tempi di produzione e distribuzione)
Da global a glocal (la sensibilità di alcuni settori e molto maggiore rispetto ad altri, nel caso di una piccola azienda gli eventuali adattamenti saranno congrui alle possibilità)

 

Conclusioni

Per l’ennesima volta, ricordiamo come le attività di internazionalizzazione vadano intese in un’ottica dinamica e in costante divenire, e che non paghi adagiarsi sugli eventuali allori, il che ovviamente non impedisce di darsi degli obiettivi parziali correlati a step temporali, da verificare in corso d’opera, nonché di rallegrarsi legittimamente per il raggiungimento degli stessi.

È bene tuttavia imparare a riconoscere precocemente i cambiamenti realmente rapidi che avvengono nei mercati attuali e conformarvisi con intelligenza e flessibilità, quanto più possibile, organizzando le contromisure per rimanere competitivi e fare la differenza.

È raccomandabile e funzionale anche coltivare i rapporti personali, e frequentare periodicamente il mercato bersaglio, poiché dal confronto con altri operatori attivi e lungimiranti, e dall’osservazione della realtà quotidiana, spesso sorgono gli stimoli per comprendere in anticipo le dinamiche che caratterizzeranno quel contesto.

Saverio Pittureri
Easy Trade Srl

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Export: tutto quello che avreste voluto sapere sul prodotto e non avete mai osato chiedere! Parte I

Da dove partire

Come ovvio, il prodotto costituisce una delle travi portanti, su cui costruire la propria fortuna di esportatore. Dando per acquisito che sia proceduto ad un più o meno approfondito studio di mercato, e che da esso ne siano state tratte indicazioni funzionali, va presa in considerazione la possibilità di operare interventi mirati sul prodotto affinché la proposta sia maggiormente centrata e allettante per quella determinata platea.

In linea di principio sarebbe sempre bene operare una cernita ponderata, e non trasferire l’intero catalogo “tout court” nel nuovo mercato. Una volta definito il paniere più appropriato occorre investire in “appeal” e, talvolta, per la compatibilità, con il mercato, il contesto, le peculiarità del segmento o dei segmenti bersaglio identificati. Il tutto inquadrato in un’ottica plastica, di medio-lungo periodo, che possa prevedere adattamenti, anche abbastanza rapidi, alle fluttuazioni dinamiche tipiche dei mercati attuali.

Ciò non esclude che, assumendosene i rischi, si possa provare ad imporre il prodotto così com’è stato concepito per l’ambito nazionale, con ovvi vantaggi e risparmi, in caso di successo, ma è indubbiamente un azzardo, che se non azzeccato può inficiare gli sforzi compiuti a monte. Spesso la collaborazione con soggetti già attivi sul mercato, mediante test di campionatura, e un onesto confronto, può indirizzare le scelte con il conforto di una maggiore consapevolezza.

Prodotto, ma non solo

Si è ripetutamente sottolineata l’importanza che assume l’associazione del prodotto con il numero maggiore di servizi accessori, eventualmente anche alternativi. Il peso dei servizi, sulla scelta del cliente, ha continuato a crescere negli ultimi decenni e spesso si è rivelato il vero terreno di scontro fra prodotti concorrenti.

Poiché anche l’aggiunta di servizi, in linea di massima, costituisce un investimento, è lungimirante prevedere una modulazione “ad hoc”, dato che le aspettative, le percezioni di valore, attinenti ai diversi tipi di servizi, generano un’attrattiva radicalmente diversa a seconda dei mercati e delle condizioni in cui si trova il settore di riferimento.

Molto grossolanamente, e con tutte le eccezioni del caso, ad esempio, in diversi paesi del nord Europa si dà per scontata una garanzia molto più lunga rispetto alle abitudini italiane e il non fornirla può generare un discredito potente sulla credibilità della nostra azienda. In diversi Paesi nordafricani, ma non solo, includere con l’acquisto del prodotto un programma formativo sull’utilizzo, è così apprezzato che coloro non in grado di proporlo rischiano di essere tagliati fuori; in Brasile si può considerare un servizio di grande rilievo l’offrire la spedizione compresa, con la copertura delle tasse di importazione, solitamente piuttosto alte. Le opzioni e le possibilità, in realtà. sono quasi innumerevoli, tutto sta a non sottostimarne l’impatto.

servizio

 

Cosa fare in concreto per conformare il prodotto al mercato

In modo più dettagliato e attraverso le voci qui di seguito enumerate, consideriamo in modo giocoforza schematico, data la vastità del tema, quali siano i principali assunti da cui partire per intervenire efficacemente sulla “galassia prodotto”.

  • Prodotto tal quale vs. gamma selezionata: tutta la produzione o in parte, in dipendenza delle reazioni di mercato, di quanto già eventualmente presente, delle abitudini peculiari, ecc..
  • Adattamenti tecnici e commerciali: relativi a normative vigenti, a particolari richieste del mercato, a funzioni diverse richieste, a trend imposti dalla concorrenza, ecc…
  • Differenziazione dei prodotti: è possibile qualche volta che vi sia una diversa destinazione d’uso con relativa comunicazione che si imposta conseguentemente
    Segmentazione: che può comportare il rendere il prodotto adatto ad una determinata fetta di clienti e attuare un approccio di marketing mix appropriato
  • Orientamento commerciale: tendenzialmente per una PMI italiana è più produttivo focalizzarsi sulla qualità, piuttosto che puntare su volumi importanti e prezzo ridotto.
  • Tipi di bisogni espressi identificabili: a seconda delle circostanze e, evidentemente, del prodotto preso in esame, può esistere un impatto rilevante sui modelli di acquisto (emozionale piuttosto che razionale), e una correlazione con variabili demografiche, anagrafiche, comportamentali, culturali, in sostanza con bisogni ben riconoscibili.
  • Integrazione con prodotti e servizi di filiera di successo già presenti sul mercato: in caso risulti efficace e proficuo si possono prevedere aggiustamenti per favorire l’integrazione
  • Servizi associati al prodotto: come già menzionato, è consigliabile proporne il più possibile e con attenzione e sensibilità in relazione al mercato in oggetto
  • Logistica e condizioni di distribuzione: va da sé che l’eventuale complessità di trasporto, per tempi e modalità, di conservazione, stoccaggio, le eventuali peculiarità dei canali distributivi, i tempi di consegna più o meno lunghi, sono tutti elementi di grande importanza, con i quali è preferibile fare i conti ex ante, piuttosto che ex post.
  • Costi di produzione e complessivi: in linea generale, nel medio-lungo periodo si innescano economie di scala virtuose per l’impresa, tuttavia, nel breve periodo, il presumibile aumento dei costi di produzione, di trasporto, di marketing, va gestito con lucida sostenibilità.
  • Posizionamento: è una valutazione strategicamente fondamentale che può condizionare in un senso o nell’altro la riuscita del progetto. Ad esempio, in buona parte del mondo, il caffè è percepito come bene di lusso.
  • Composizione del prezzo: al di là della correttezza del prezzo espresso, è bene ricordare come vi possano essere profonde dissonanze fra i mercati in merito all’utilizzo di prezzi netti, scale sconti, programmi a lungo termine, “welcome package”, e così via.
  • Condizioni di vendita: quando si esordisce in un mercato e non si benefici di un brand noto, sarebbe opportuno facilitare il più possibile l’innesco dell’acquisto, con ordini minimi ragionevoli (o meglio ancora non presenti), entry offer, lunga validità del listino, pagamenti dilazionati, possibilità di resa merce, ecc.. Ovvero tutti i possibili connotati che riducano le resistenze e la diffidenza naturale dei clienti.
  • Comunicazione commerciale: spesso da rivedere profondamente sulla base del combinato degli elementi sopra visti. Persino la psicologia e la psicolinguistica possono entrare in gioco a seconda del mercato (vedi caso dell’Algida che cambia nome in ogni Paese o quasi)
  • Dazi / imposte di importazione, autorizzazioni e messa in libera vendita: (vedi codice doganale) alle volte può essere particolarmente lungo e laborioso ottenere tutte le certificazioni e i permessi necessari, effettuare eventuali trial clinici, chimici, farmaceutici, e farsi carico degli oneri; sono considerazioni che impattano significativamente nelle scelte
  • Packaging: si possono, e spesso si devono effettuare interventi, sul formato, sulle immagini, sui messaggi da veicolare, sulle dimensioni, di allineamento ad eventuali trend ecologici, ecc…
  • Immagine e marchio: da declinare in base al contesto culturale ed economico ma anche in funzione della scelta strategica soprastante
  • Adeguamenti culturali: ad esempio modifiche nelle preparazioni alimentari, nelle proposte tessili, nei numeri e nei colori (verde o nero per l’Islam, il bianco a evitare in oriente), ecc…
  • Informazioni tecniche, d’uso, commerciali: a parte la cura nelle traduzioni, che non devono essere “fatte in casa” è importante recepire quali siano le esigenze legali e operative
  • Scheda tecnica produttiva: dove raccomanderei di essere il più esaustivo possibile (massimo potenziale, possibili varianti, controlli qualità, personalizzazioni, accessori, possibilità di verniciature, trattamenti particolari, ecc…)
  • Argomenti di vendita da verificare e modulare: da applicare con un eventuale distributore e poi condividerne l’efficacia con lo stesso, ovvero da rivolgere al cliente finale, fra gli altri i benefici e vantaggi attesi, il made in Italy, altri plus particolari, eventuali certificazioni riconosciute (ISO, TUV), ecc….

 

Conclusioni

In questa prima parte abbiamo visto, molto rapidamente, quanti e quali possano essere i costituenti che influenzano il successo di un prodotto in un nuovo mercato, senza dimenticare un po’ di fortuna, che purtroppo non è pianificabile.

Per contro capita più spesso di quanto si pensi che un’azienda, non senza sforzi, trovi un magico equilibrio di adattamenti e valori, tali per cui un prodotto incontri un certo successo in un determinato ambito, e poi magari si scopra che lo stesso prodotto modificato, funzioni, in qualche modo, anche per qualche rotta diversa o addirittura per il mercato domestico.

Nella seconda parte riprenderemo con altri concetti integrativi.

Saverio Pittureri
Easy Trade

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Internazionalizzazione: come e dove trovare le informazioni necessarie

Prepararsi per la battaglia…

Quasi tutti i professionisti dell’export, di lungo corso, raccomandano di raccogliere preliminarmente tutte le informazioni possibili su un determinato mercato, settore, cliente, al fine di investire denaro, tempo ed energie in modo più ponderato e ridurre il margine di errore.

Anch’io concordo pienamente con quanto sopra, e normalmente invito le aziende clienti ad orientarsi in tale direzione, tuttavia trovo lecito quando l’imprenditore, di rimando, mi domandi dove si possano trovare le suddette informazioni, e anche come valutarne l’attendibilità. La generica risposta: “sul web”, non meglio indirizzata, lascia il tempo che trova, per cui, a beneficio degli eventuali interessati vado ad argomentare un po’ meglio.

Rispetto al passato, la possibilità di svolgere un gran numero di indagini anche dalla scrivania dell’ufficio, offre un vantaggio incalcolabile, ma occorre evidentemente sapere cosa e dove cercare. Per questo, l’aiuto di un professionista o comunque di una persona deduttiva e formata, è un’opzione da prendersi in seria considerazione.

Restano comunque insostituibili, quando possibile, l’integrazione e la validazione dello studio sul campo, recandosi di persona sul mercato di riferimento e investigando direttamente. Le informazioni utili, solo a titolo esemplificativo, possono riguardare il Paese, l’ecosistema economico, le abitudini negoziali, la concorrenza, la struttura distributiva, gli aspetti finanziari, doganali, legislativi, ecc.. Non tutte sono palesi o facilmente deducibili, è quindi bene essere creativi e non accontentarsi mai di un’unica fonte per quanto autorevole possa sembrare.

Se dovessi raccontare, come e dove, talvolta, abbia recuperato notizie e spunti rivelatesi molto importanti o addirittura determinanti, sconfinerei nella narrativa fantasy, e magari suonerei poco professionale; per fortuna, esistono anche molte risorse ortodosse, consolidate e ragionevolmente affidabili che possono, se non altro aprire la strada efficacemente al nostro intento di approfondimento.

Dove cercare

Le possibili sorgenti di informazioni sono innumerevoli, tanto che, di fatto, i soli confini atti a circoscriverle, sono quelli dell’esperienza, dell’intraprendenza, dell’intuito, e persino dell’immaginazione. Supponendo di fornire una traccia utile, propongo un elenco di possibili punti di riferimento, sui quali è verosimile riuscire a sviluppare una ricerca abbastanza congrua o perlomeno ottenere indicazioni solide.

Per non dilungarmi eccessivamente, non andrò ad argomentare, uno per uno, l’assegnamento e l’approccio con cui affrontare i diversi soggetti, né in dettaglio quali conoscenze, o quale genere di dati ci si possa aspettare da una fonte piuttosto che dall’altra.

Anche volendo sarebbe una trattazione davvero corposa e comunque in costante evoluzione, pertanto, in questa sede, suggerisco piuttosto di fare un po’ di “allenamento” operativo, per scoprire qualcosa di più sulle risorse indicate di seguito, e chissà, magari, aggiungere progressivamente alla lista anche le proprie e peculiari.

• Banche dati (ex. D&B, Kompass,..)
• ICE
• SACE e SIMEST
• Ministero dello Sviluppo Economico
• Ministero degli Affari Esteri
• Ambasciate e consolati
• Rappresentanze diplomatiche diverse e sportelli del sistema Italia (delegazioni, centri di promozione commerciale, agenzie, istituti culturali, varie, ecc..)
• Camere di Commercio locali
• Siti regionali
• Camere di Commercio Italiane (o Italo-altro paese) all’Estero
• Sportelli Regionali e locali di Unioncamere
• Organismi governativi esteri
• Strumenti e programmi UE
• Assocamere
• Associazioni di categoria
• ISTAT (e altri istituti di statistica)
• Fiere, congressi ed eventi (compresi i nominativi dei frequentatori laddove acquistabili)
• Annuari e cataloghi
• Clienti attivi ed ex-clienti
• Fornitori
• Concorrenti
• Aziende di filiera e subfornitura
• Trading company
• Buyers office stranieri in Italia
• Professionisti .(avvocati, doganieri, esperti internazionalizzazione, ecc..)
• Agenti di commercio e segnalatori
• Siti, social, blog e newsletter di settore e settori contigui
• Spedizionieri
• Stampa economica
• Elenchi pubblicitari telefonici internazionali
• Club, circoli, aggregazioni e gruppi di italiani all’estero
• Centri servizi
• Repertori bibliografici tecnico-economici
• Conferenze stampa
• Ricerche di mercato già esistenti
• Riviste tecniche di settore
• Pronunce antitrust e altre sentenze di contenzioso commerciale
• Tesi di laurea, ricerche universitarie e pubblicazioni accademiche
• Agenzie per la promozione di investimenti in Italia e all’estero
• Gare di appalto internazionali (liste partecipanti, capitolati, ecc..)
• Richieste offerte di merci dal Paese
• Banche (uffici esteri in Italia e banche straniere)
• ABI (esistenza di linee di credito)
• Banca Mondiale
• Schede CIA

Conclusioni

Molte aziende purtroppo percepiscono il suggerimento di questo articolo, come un mero esercizio accademico, che disperde tempo e risorse, oltreché ritardare “l’andare al sodo”, per cui concentrano le ricerche unicamente verso l’identificazione di potenziali clienti (e anche questi bisogna comunque sapere dove e come trovarli)

Naturalmente i clienti restano quasi sempre il punto di arrivo e il fulcro dell’attività di un’impresa, ma rivolgervisi senza avere un’adeguata cognizione di causa sul loro conto e sul contesto dove operano, è un po’ come offrire il gagliardetto della nostra squadra alla cieca, e magari offrirlo a chi è tifoso di un’altra o appassionato di un diverso sport.

Non solo, e più grave, è che spesso operare a tentoni, significa anche farlo attraverso modalità, condizioni e un linguaggio, totalmente incomprensibili o indigesti per l’interlocutore.

Raccomando quindi caldamente di investire, sempre e comunque, qualche risorsa in una ricerca di mercato, che faccia luce sugli elementi culturali, di business, di settore, di prodotto/servizio, sulla segmentazione presente, e su tutto quanto occorra per rapportarsi adeguatamente ai nostri acquirenti bersaglio, con discrete probabilità di successo.

Detta ricerca si può svolgere attraverso approcci e linee guida diverse, ma anche con molteplici livelli di approfondimento e di orizzonte temporale, a seconda delle necessità, delle aspettative e della disponibilità di mezzi.

In ogni caso, e qualunque sia la scelta, già una buona attività di tipo “desk”, condotta con capacità ed esperienza, può aiutare a dissipare molti dubbi, orientare in modo efficace le scelte e suggerire gli eventuali adattamenti da applicare. Quando poi, si riesca ad aggiungervi qualche “accertamento” supplementare, diretto o indiretto, sul mercato in oggetto, tendenzialmente vedremo il nostro investimento portare i frutti sperati.

Saverio Pittureri
Easy Trade Srl

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