Con l’elezione di Donald Trump alla presidenza USA, le dinamiche politiche ed economiche globali si stanno già vistosamente ridefinendo. Le sue annunciate scelte protezionistiche, il ritiro da accordi commerciali globali e il rafforzamento della competizione con potenze come la Cina e l’Unione Europea, molto probabilmente andranno a produrre un panorama internazionale abbastanza complesso per le aziende italiane. Come spesso accade in queste circostanze, detto scenario rappresenta una sfida e un’opportunità al tempo stesso, a seconda dei prodotti, dei mercati e delle capacità personali, ovviamente.
Divisioni politiche e la nuova era di blocchi economici
Come noto, Trump ha promesso un’agenda centrata su “America First”, e poiché si tratta del secondo e ultimo mandato, come ogni presidente che l’ha preceduto, tenderà verosimilmente ad attuare il programma in modo deciso e con meno compromessi, rispetto al primo incarico. La sua visione di politica commerciale tende a polarizzare le relazioni economiche globali, favorendo magari alleanze bilaterali piuttosto che grandi accordi multilaterali come il Trans-Pacific Partnership (TPP). Tutto ciò implicherà indubbiamente il rafforzamento del regime daziario, come già avvenuto in passato con l’acciaio e l’alluminio, ma non sono da escludersi anche blocchi e quote. Si tratta ovviamente di provvedimenti penalizzanti per gli esportatori verso gli Stati Uniti.
Fin dai tempi di Barack Obama, gli USA stanno cercando di limitare il proprio impegno in quadranti geopolitici diversi da quello dell’Indo-pacifico, nella logica del celeberrimo “Pivot to Asia” e del contenimento della Cina. In quest’ottica rientrano anche gli Accordi di Abramo, che puntano a fare di Israele il garante ultimo della sicurezza in Medio Oriente in chiave anti-Iran e al posto degli USA. Non a caso, uno dei più che probabili obiettivi di Hamas (e dell’intero “asse della resistenza” ) era quello di stroncare i processi per la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele nel quadro più ampio del suddetto ampio progetto di distensione diplomatica fra i paesi arabi e Tel Aviv, già concretizzato nelle relazioni avviate fra Israele e Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Marocco e Sudan (per altro a distanza di oltre un anno il piano è evidentemente congelato ma, per il momento, nessuno dei paesi arabi, che a livello ufficiale sostengono i palestinesi, si è defilato ufficialmente dall’intesa, e neanche Riad esclude un suo futuro ingresso).
L’escalation iniziata il 7 ottobre 2023 è stato invece un duro risveglio per i velleitari disegni americani, giù minati dal rovinoso ritiro dall’Afghanistan ad agosto 2021, il rinnovato coinvolgimento degli USA in Medio Oriente, agevola ovviamente i progetti russi rispetto all’Ucraina, nel contempo la Cina che si era adoperata per il disgelo fra Iran e Arabia Saudita nel 2023, ha preferito prendere le distanze dal conflitto, probabilmente perché le sabbie mobili diplomatiche e il grande sforzo finanziario, che stanno travolgendo gli americani, nella regione, oltre ai russi, lubrifica gli interessi cinesi nel Pacifico e più in generale nell’intero pianeta.
La suddetta frammentazione politica fatalmente condurrà alla radicalizzazione dei blocchi economici distinti già ampiamente delineati: grossolanamente da un lato gli Stati Uniti con alleati strategici selezionati, dall’altro la Cina che continuerà a espandere la sua influenza attraverso la Belt and Road Initiative. L’Unione Europea, nel frattempo, dovrebbe cercare di rafforzare la propria autonomia strategica e commerciale, diversificando mercati e alleanze, in un equilibrio tutt’altro che banale, dato lo stratificarsi di tensioni, i summenzionati conflitti irrisolti e l’assorbimento ingente di risorse per emergenze assortite, non ultime quelle climatiche ed energetiche.
L’organismo dell’ONU stesso, subisce lo scacco generato dalla possibilità di brandire veti incrociati in seno al Consiglio di sicurezza. I membri permanenti sono USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito, ed è facile intuire come, in questo momento, gli orientamenti su vari temi cruciali divergano drasticamente. La struttura rispecchia ancora gli equilibri di forza usciti dalla Seconda guerra mondiale e, non a caso, paesi emergenti come Brasile e Sudafrica chiedono che venga riformato drasticamente.
Impatto sugli scambi per le aziende italiane
Le aziende italiane, notoriamente orientate all’export, saranno direttamente influenzate da tutti questi cambiamenti. Gli Stati Uniti sono uno dei principali mercati di destinazione per il made in Italy, con settori come moda, design, agroalimentare e macchinari industriali che dominano l’export. Qui di seguito, a titolo esemplificativo, alcune implicazioni pratiche:
1. Settore agroalimentare: Prodotti come il vino, il formaggio e l’olio d’oliva, che rappresentano l’eccellenza italiana, potrebbero subire l’impatto di dazi più alti. L’esempio delle tariffe imposte durante l’amministrazione Trump sui formaggi europei (tra cui il Parmigiano Reggiano) è ancora vivo nella memoria degli esportatori italiani.
2. Macchinari industriali: L’Italia esporta una vasta gamma di macchinari industriali verso gli Stati Uniti, soprattutto nel settore manifatturiero e agricolo. Eventuali restrizioni o tariffe aumentate potrebbero rendere questi prodotti meno competitivi rispetto ai concorrenti asiatici o statunitensi.
3. Moda e lusso: Il settore della moda e del lusso, da Gucci a Prada, potrebbe subire meno impatti grazie alla sua resilienza e al posizionamento premium. Tuttavia, un rallentamento dell’economia statunitense o una maggiore concorrenza interna potrebbero ridurre la domanda per beni di alta gamma.
Opportunità alternative e diversificazione
Da quanto sopra, ne deriva che le aziende italiane, mantenendo comunque una elevata dinamicità e reattività agli scenari mutevoli, dovranno necessariamente guardare a nuovi mercati e rafforzare la loro presenza in regioni emergenti. Sempre per esemplificare:
• Cina e Sud-Est asiatico: Nonostante le tensioni USA-Cina, questi mercati rimangono una straordinaria opportunità per i prodotti italiani di alta qualità, ancora in buona parte inespressa, grazie alla crescente classe media e alla domanda di beni di lusso e agroalimentari.
• Paesi del Golfo e Medio Oriente: Con l’espansione di investimenti in infrastrutture e consumi di lusso, il Medio Oriente rappresenta un altro target importante, che viene già abbastanza esplorato dalle imprese nazionali ma vi sono grandi margini di crescita.
• Africa e America Latina: Anche se meno maturi, questi mercati offrono tuttavia opportunità per i settori agroalimentare e manifatturiero, in particolare, ma non solo. Occorre, senza dubbio affrontarli con piena consapevolezza, in ogni senso, e professionalità elevata.
Strategie per le imprese italiane
Per affrontare la nuova realtà tratteggiata, le aziende italiane dovrebbero anche rinnovare le strategie, evidentemente, studiare e, quando necessario, arruolare soggetti idonei a svilupparle.
• Adattamento ai mercati locali: La modifica di prodotti e strategie di marketing per adattarsi a normative e gusti locali, presenta ostacoli non sempre banali. In modo particolare per chi, fino ad oggi, si sia confrontato esclusivamente o prevalentemente con contesti “occidentali”.
• Digitalizzazione e e-commerce: L’espansione della presenza digitale, per raggiungere i consumatori direttamente, riducendo la dipendenza dai distributori locali, è un’altra leva di grande importanza che per necessità o semplicemente per integrazione deve essere necessariamente esplorata.
• Partnership strategiche: La collaborazione con altre aziende italiane oppure di Paesi diversi per proporre soluzioni di filiera, sfruttare le rispettive qualità in modo sinergico e condividere costi e rischi dell’internazionalizzazione.
Conclusione
L’elezione di Trump segnerà un’epoca di maggiore incertezza e di crescente frammentazione nelle relazioni economiche globali. Per le aziende italiane, tale cambiamento implicherà sfide significative ma anche non trascurabili chances di diversificare e innovare, con possibili ricadute virtuose generali. I settori tradizionali del made in Italy, se supportati da strategie lungimiranti e adattive, potranno quasi sicuramente continuare a prosperare benché in un panorama economico in profonda trasformazione, magari mettendo a fuoco nuove tecniche, orientandosi verso mercati più ricettivi, e sviluppando maggiori competenze rispetto al passato.
Saverio Pittureri
Easy Trade
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