La globalizzazione è stata, per decenni, una delle forze più potenti che hanno modellato l’economia mondiale e disposto una sorta di ordine internazionale liberale, paradossalmente però, è stata caldeggiata anche da un fronte ideologico sostanzialmente antitetico con aneliti di giustizia e riequilibrio sociale. In ogni caso, è parsa a lungo come una deriva ineluttabile quanto irreversibile, e pur con molti limiti e distorsioni, per molto tempo, ha mostrato ai più il bicchiere mezzo pieno, perché si sono moltiplicati i ricavi e nel contempo si sono resi accessibili beni e servizi di ogni tipo, almeno teoricamente, ovunque.

Dopo la prima fase di corsa a perdifiato incontrollata e di omogeneizzazione dei consumi tout court, non sono mancati numerosi assestamenti e adattamenti “glocal” che parevano, in qualche modo, fare quadrare il cerchio sulle inevitabili critiche che cominciavano ad affacciarsi. Nell’immaginario di molti, sull’onda degli scambi, sono quasi caduti i confini geografici e si sono contaminati quelli culturali, benché le diseguaglianze all’interno delle società non si siano certo smussate, anzi. Per certo, si sono generate interdipendenze granitiche fra i Paesi e, quasi fisiologicamente, complice anche il ruolo politico e militare centrale, il dollaro USA si è eretto a valuta mondiale, sostenuto dalla supremazia geopolitica statunitense, supremazia statunitense che, a sua volta, ha sostenuto il dollaro, in uno strano circolo vizioso, veicolato anche una solida egemonia culturale, per decenni, appunto.

Un primo violento risveglio dall’illusione dottrinale dell’inesauribilità di questa spinta, c’è stato con l’11 settembre, poi, dopo il duplice corto circuito della Brexit e dell’elezione di Trump del 2016, in molti, si sono chiesti se si sarebbe invertita la rotta, teoria che si è ulteriormente alimentata con il lo tsunami del covid, l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali, nonché con l’affermarsi, in tutto il pianeta, di nazionalismi a retrogusto marcatamente protezionistico, che stanno coinvolgendo non solo regimi “tradizionali” ma anche aree storicamente più fluide sul fronte politico. L’allargamento del principio di “non allineamento”, da parte del Sud del mondo, sottende un pianeta nuovamente diviso tra blocchi filosoficamente concorrenti, in cui il posizionamento si carica di significati complessi, certamente più estesi e ramificati di quanto proponga la narrativa semplicistica ampiamente diffusa.

Chiaramente, le suddette preoccupazioni geopolitiche sulle catene di approvvigionamento, per i settori strategici, hanno spinto i governi di vari Paesi a orientare le aziende affinché trasferiscano la produzione e l’assemblaggio nei propri territori o in quelli di stati amici, il cosiddetto reshoring e il nearshoring, tuttavia, pur se gli eventi ricordati hanno avuto un grande impatto, complessivamente parrebbe che il naturale sviluppo dei mercati, ad oggi, sia rimasto comunque più forte della suddetta volontà. In altre parole, numeri alla mano, la distribuzione globalizzata, della produzione economica e del commercio internazionale, si può dire rimanga solida, ed è altamente probabile che anziché un rientro nei confini “sicuri”, si stia piuttosto entrando una nuova fase, complessa e articolata che potremmo appunto chiamare “riglobalizzazione”.

 

Che cos’è, in sintesi, la Riglobalizzazione?

In breve, la riglobalizzazione rappresenta, in qualche modo, un rinnovato impegno per l’integrazione economica globale, ma con un approccio diverso, resiliente e plastico, che prevede cambiamenti nei meccanismi della globalizzazione che seguono i cambiamenti nell’ordine globale, ma anche con cambiamenti nel rapporto tra globalizzazione e ordine globale, che tutt’ora sono ben lungi dall’essere stabilizzati, anche per l’intersecarsi delle crisi belliche, climatica e energetica che non possono essere ignorate.

Citando grossolanamente Gramsci, il vecchio ordine è stato certamente lasciato indietro, ma un nuovo ordine chiaro non è ancora emerso. A lungo termine, non si tratta semplicemente di ritornare ai modelli di globalizzazione del passato con pesi rimodellati, ma piuttosto di reinventare il modo in cui le economie sono interconnesse, tenendo conto delle lezioni apprese dalle recenti riorganizzazioni geopolitiche e dalle tempeste economiche e sanitarie.

Accanto alle tradizionali istituzioni e alleanze sorte dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, alcune potenze autocratiche, per esempio, hanno ora cominciato a costruire o rafforzare organismi di aggregazione propri e distinti, con lo scopo di offrire agli stati partner di tutto il mondo, nuove opzioni all’assetto conosciuto e ai valori che ad esso si associano. Non è chiaro però se, politicamente, la direzione prevalente si orienterà verso un sistema realmente difforme e maggiormente pluralista rispetto a quello noto, come sarebbe auspicabile, o piuttosto verso una leadership alternativa e/o parallela. Resta il fatto che tutti gli attori in gioco, vecchi e nuovi, mostrano una certa brama di arruolamento e una ricerca di consenso e convergenze, e che se la riglobalizzazione fosse effettivamente destinata ad affermarsi, prima o poi, tutti dovrebbero comunque confrontarsi e, in qualche modo, collaborare.

 

Le cause scatenanti più rilevanti, schematicamente

1. Pandemia di COVID-19: La pandemia ha evidenziato le vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali, spingendo le aziende e i governi a rivedere le loro strategie. Tuttavia, ha anche dimostrato l’importanza della cooperazione internazionale nella lotta contro una crisi globale, stimolando un rinnovato interesse per la collaborazione internazionale.

2. Rivoluzone Tecnologica: Le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, l’Internet delle cose (IoT) e la blockchain, stanno trasformando il modo in cui le aziende operano a livello globale sia per finalità predittive che operative, comunicative e persino decisionali. Queste tecnologie possono rendere le catene di approvvigionamento più efficienti e resilienti, facilitando una nuova ondata di integrazione economica. la mentalità tecnologica è quella delle interconnessioni globali ma anche dell’assimilazione. Parallelamente però c’è una netta e continua perdita di “biodiversità”, per quanto riguarda le culture, le lingue e le abitudini sociali in tutto il mondo, una perdita che è diventata una caratteristica cruciale dei processi di riglobalizzazione dell’alta tecnologia, e a tal proposito, non sono da sottovalutarsi, in prospettiva, rischi di concentrazione monopolistiche e autoreferenzialità. Occorrerà necessariamente un perimetro normativo adeguato e non è detto che possa essere sufficiente.

3. Sfide Ambientali: La crisi climatica richiede una risposta globale coordinata. La riglobalizzazione, almeno teoricamente, potrebbe facilitare la cooperazione internazionale necessaria per affrontare le sfide ambientali, promuovendo pratiche sostenibili e la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, nell’interesse di tutti.

4. Trasformazioni Geopolitiche: I cambiamenti nelle dinamiche di potere globale stanno spingendo le nazioni a cercare nuovi alleati e mercati. Ad esempio, la crescita economica dell’Asia e il crescente ruolo dell’Africa nell’economia globale stanno riorientando le rotte commerciali e le strategie di investimento.

5. Evoluzione demografica e culturale: la crescita della popolazione nel Sud del mondo e per contrappasso uno spopolamento nel Nord del mondo, trend previsto almeno fino alla metà del secolo, sta spostando ulteriormente gli equilibri tra produttività e consumo. Questo cambiamento, combinato con le migrazioni spinte da povertà, persecuzioni e clima, potrebbe influenzare le culture di tutto il mondo. E se, come previsto, si verificasse successivamente un drammatico calo della popolazione globale a partire dal 2060 in poi, il panorama delle interconnessioni globali avrebbe grandi probabilità di essere nuovamente trasformato. In ultimo ma non meno importante, la religione che ha svolto e sta svolgendo un ruolo nodale nella politica dei regimi repressivi, in particolare nel mondo musulmano, ma non solo, e che viene brandita per unire, distinguere, giustificare in modo difficilmente confutabile.

 

Caratteristiche prevalenti della Riglobalizzazione

1. Resilienza delle Catene di Fornitura: A differenza della globalizzazione tradizionale, che spesso privilegiava la riduzione dei costi, la riglobalizzazione pone maggiore enfasi sulla resilienza e la diversificazione delle catene di fornitura. Ciò include la creazione di capacità di produzione locali e regionali per mitigare i rischi. Una rivisitazione della già vista glocalizzazione, si spera più equilibrata.

2. Sostenibilità: La riglobalizzazione, pur con l’alea di incertezza ampiamente illustrata, parrebbe volere, o forse dovere, integrare obiettivi di sostenibilità ambientale ed economica. Le aziende e molti governi stanno effettivamente tentando di adottare pratiche più ecologiche e socialmente responsabili, riconoscendo che una crescita a lungo termine dipenda anche dall’equilibrio con l’ambiente.

3. Inclusività: Un aspetto chiave della riglobalizzazione, perlomeno nelle dichiarazioni d’intenti, è l’inclusività. Ovvero si cercherebbe di garantire maggiormente che i benefici della globalizzazione siano distribuiti più equamente tra i paesi e all’interno delle società, riducendo le disuguaglianze e promuovendo un reale sviluppo economico globale. Ai posteri l’ardua sentenza.

4. Innovazione e Tecnologia: L’adozione di nuove tecnologie è indubitabilmente al centro della riglobalizzazione. Le aziende stanno investendo in innovazione per migliorare l’efficienza operativa, ridurre i costi e rispondere meglio alle esigenze dei mercati globali.

 

Impatti potenziali della Riglobalizzazione

La riglobalizzazione, fuori di dubbio, ha il potenziale per stimolare una nuova fase di crescita economica globale, ma è una sfida non priva di rischi piuttosto importanti. La transizione verso catene di fornitura più resilienti e sostenibili potrebbe comportare costi iniziali elevati. Tuttavia, con un po’ di ottimismo, nel lungo termine, questi investimenti potrebbero portare a un’economia globale più stabile e sostenibile.

Inoltre, una riglobalizzazione inclusiva potrebbe contribuire a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali, promuovendo uno sviluppo più equilibrato di quanto avvenuto in passato. Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi, sarà fondamentale una cooperazione internazionale efficace e una governance globale che tenga conto delle diverse esigenze e interessi dei vari paesi, che oggi pare piuttosto lontana e che di rado si è verificata nella storia.

 

Conclusioni

La riglobalizzazione potrebbe rappresenta una risposta tutt’altro che semplice, ma stimolante e forse, nel lungo termine, con poche alternative realistiche, alle sfide e alle lezioni del passato recente, offrendo una visione per un futuro più sostenibile, resiliente e inclusivo. Sebbene la strada da percorrere sia complessa e richieda uno sforzo concertato da parte di governi, aziende e società civile, la riglobalizzazione, se sarà in grado di superare i rilevanti ostacoli che la attendono, potrebbe segnare l’inizio di un nuovo capitolo più umano e equo per l’economia globale.

Saverio Pittureri
Easy Trade Srl

Per te una call di consulenza gratuita via Skype della durata di 20 minuti con i nostri professionisti dell'internazionalizzazione

Prenotala subito